Un imperatore a Cefalù

Ritratto di Angelo Sciortino

12 Settembre 2013, 14:55 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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L'imperatore Giustiniano aveva deciso di riunificare l'Impero di Roma e aveva dato incarico a due suoi valenti generali: Narsete e Belisario. In poco tempo la Sicilia, il Sud d'Italia e Ravenna furono conquistati e divennero province dell'Impero d'Oriente, con capitale Bisanzio.

Fra le tante città siciliane, una sembrava ancora indipendente: Cefalù. L'Imperatore aveva dato incarico ai suoi generali di conquistarla, ma Narsete lo sconsigliò, dichiarando che ci se ne poteva impadronire senza colpo ferire, perché ormai da tempo essa era come una città in vendita. Giustiniano volle visitarla, per rendersi personalmente conto delle ragioni che gliene impedivano il controllo. E così quattro trireme, provenienti da Capo Milazzo e da Lipari, un bel mattino si presentarono davanti alla spiaggia antistante la Città. L'Imperatore fin dall'alba aveva ammirato le coste sinuose e i monti che fanno da corona a quel luogo impareggiabile. Sbarcato insieme alla sua scorta, gli venne incontro un uomo rotondetto e basso, accompagnato da un altro più giovane ed emaciato come un innamorato non corrisposto, che non dorme la notte pensando al suo amore.

L'uomo rotondetto gli si presentò, definendosi il capo della tribù dei Cefalutani. Presentò anche il giovane, chiarendo ch'egli era il suo consigliere spirituale. Si disse onorato della sua visita e gli espose i problemi del paese, che secondo la sua opinione risalivano a una precedente colonizzazione greca, in cui aveva spadroneggiato un'etera, che aveva le chiavi del cuore e della mente del capo ufficiale, che la lasciò libera di agire anche a sua insaputa. A questa colonizzazione ne era seguita un'altra latina, il cui governatore lasciò la carica senza onore né gloria.

A lui era toccata questa pesante eredità e stava disperatamente cercando di risolvere i problemi, che angustiavano il paese e ne rendevano incerto l'avvenire.

“Da quanto tempo sei il capo?” gli chiese l'Imperatore.

“Da quindici mesi.” rispose l'uomo rotondetto.

“E quali e quanti problemi hai risolto?” incalzò l'Imperatore.

Quel che fu la sua risposta, piena di bizantinismi e vuota di contenuti, colpì l'Imperatore, che per un attimo si sentì alla sua corte di Bisanzio, quando alcuni suoi consiglieri esprimevano giudizi e opinioni privi persino della più elementare logica. Consiglieri che per questa ragione aveva licenziato.

Scelse, però, di essere benevolo, e si lasciò accompagnare in un giro per la Città. Fu un giro lungo, che durò fino a sera. L'Imperatore volle salire sul monte, che sovrastava il Paese e che chiamavano la Rocca. Qui il panorama parlava con la voce di Dio e quindi trovò inutili e dannose le parole del consigliere spirituale, che faceva sfoggio di una preparazione da guida turistica. Gli chiese di tacere.

Guardando verso il basso, confidò a un suo ministro il luogo scelto per la costruzione di una basilica in onore dell'Onnipotente. Raggiunsero quel luogo il mattino seguente e già nel pomeriggio cominciarono gli scavi per le fondamenta. Furono raggiunti dall'uomo rotondetto, dal suo consigliere spirituale e da un uomo che dava l'idea della flaccidità, che chiamavano duca. Fu proprio questo duca a far presente che la costruzione in itinere era non conforme. Per fortuna intervenne l'uomo rotondetto, che chiese allo stesso duca se essa era almeno compatibile. Alla risposta affermativa, si lasciarono proseguire i lavori e un mese dopo la basilica si ergeva ritta al fianco della Rocca. Furono decisi i festeggiamenti, anche se l'Imperatore era rimasto sconcertato da alcune dichiarazioni dell'uomo rotondetto, che aveva proclamato di essere stato lui a invitare l'Imperatore, a scegliere il luogo dove doveva sorgere la basilica e che ogni merito era suo.

Giustiniano aveva già convocato l'imperatrice Teodora, che giunse proprio al mattino in cui si sarebbero tenuti i festeggiamenti. Sbarcò nella stessa spiaggia in cui era sbarcato l'Imperatore e insieme alle sue odalische si diresse incontro al marito, che l'attendeva davanti alla basilica.

Quando si furono salutati, l'Imperatore la prese per mano e la condusse dentro la basilica. Le guardie impedirono all'uomo rotondetto e al consigliere spirituale di seguirli, per cui furono costretti ad attendere oltre un'ora che i due uscissero. Lo spiazzo davanti era affollato di uomini e donne, curiosi di vedere quell'imperatrice padrona del cuore del grande Giustiniano. Speravano pure di potersi nutrire lautamente, perché quasi al centro dello spiazzo erano stati allestiti molti tavoli, che erano già imbanditi con tovaglie color porpora e con bicchieri di terracotta.

Quando i sovrani uscirono, presero subito posto al centro di quella tavolata. L'uomo rotondetto fu lesto a sedersi alla sua sinistra. Quando si furono tutti seduti, Teodora, che era rimasta in piedi, fece segno ad alcuni uomini e subito furono adagiati alcuni tappeti dai disegni persiani. Tappeti mai visti a Cefalù.

Teodora si mise dinanzi all'Imperatore su questi tappeti, circondata a semicerchio dalle sue odalische. Al suono di un flauto tutte cominciarono a ballare danze orientali. Teodora era la più brava e Giustiniano ne era molto compiaciuto. Dopo un po' una ragazza di nome Ambra si avvicinò all'imperatrice e le disse qualcosa all'orecchio. Teodora fece segno di invitarla a ballare a sua volta. Le odalische si ritirano e rimasero soltanto l'Imperatrice e Ambra, alla quale qualche tempo prima l'uomo rotondetto aveva vietato di esibirsi.

La danza a due ebbe inizio e lo stesso Giustiniano non sapeva decidere chi era la più brava delle due donne. Sul suo viso si leggeva la compiacenza per la capacità di quelle due donne di cantare le loro lodi all'Onnipotente con la semplice danza. Tutti i presenti erano compiaciuti ed estasiati, soltanto sul viso dell'uomo rotondetto e del suo consigliere spirituale si leggeva un leggero disappunto, venato dalla preoccupazione che, se l'Imperatore avesse saputo come quella ragazza era stata trattata alcune settimane prima, poteva derivargliene una punizione.

La preoccupazione aumentò, quando Giustiniano fece segno ad Ambra di sedere alla sua sinistra, facendo alzare l'uomo rotondetto.

Per fortuna il resto della serata finì senza alcun accenno al fattaccio. L'Imperatore comunicò che sarebbe partito il mattino dopo, portando con sé l'uomo rotondetto e tutto il suo seguito. Uomini di quella tempra, disse, dovevano essere suoi consiglieri a Bisanzio. A Cefalù avrebbe affidato il governo a un suo governatore militare, che in breve sarebbe stato capace, per il potere che gli dava e per l'abilità, che aveva fatto cadere la sua scelta su di lui, di risolvere in breve tutti i problemi di Cefalù.

La mattina dopo tutto era pronto per la partenza. Le barche avevano portato sulle trireme Giustiniano e il suo seguito e l'uomo rotondetto con l'altro suo seguito, quando Ambra e il suo compagno si fecero vedere sulla spiaggia. Guardavano tristi i partenti. Teodora si avvicinò a Giustiniano e gli disse: “non meritano di essere lasciati in mezzo a tanta incolta barbarie, portiamoli con noi.” L'Imperatore acconsentì e una barca li portò felici sulla trireme imperiale.

Quando queste trireme cominciarono ad allontanarsi, sul ponte rimasero soltanto i due giovani, Giustiniano e Teodora. Gli altri erano scesi sotto il ponte e nella stiva furono incatenati ai remi, condannati a remare. All'uomo rotondetto fu dato il permesso di battere sul tamburo notte e giorno il ritmo dei rematori.

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