“Unicuique suum”

Ritratto di Giuseppe Maggiore

26 Gennaio 2014, 18:10 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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“UNICUIQUE  SUUM”   -  (24  Gennaio 2014: convegno sul “Cineturismo” al teatro “Cicero”).
di  Giuseppe Maggiore.

 

Ieri, 24 Gennaio 2014, nell’ambito della 1ª edizione dell’evento “Cefalù Città del Cinema - Premio Arco d’Oro” (premio dedicato alla memoria di Salvatore Di Francesca, pioniere del cinema in Cefalù) si è svolta una  “matinee”  al teatro comunale “Salvatore Cicero”, qui a Cefalù.

Convegno organizzato dagli Assessorati Turismo e Cultura del Comune di Cefalù e curato dalla prestante e competente Dott.ssa Angela Macaluso, Consulente al turismo ed eventi dello stesso ente locale.

Foto di Peppe Turdo tratta da facebook

La conferenza, programmata sul tema “Cine-Turismo” e coordinata dal moderatore Nuccio Vara,  è stata scandita dalle prolusioni dei relatori invitati per l’occasione.

Dopo il saluto di benvenuto espresso dal Sindaco, Rosario Lapunzina, in nome proprio e della cittadinanza, hanno preso la parola, alternandosi al microfono: la già menzionata Angela Macaluso, il Prof. Pietro Di Miceli, dirigente del “Film Commission” della Regione Siciliana, Tatiana Lo Iacono, Totò Cascio (allora piccolo interprete e protagonista del film di Tornatore “Nuovo cinema Paradiso”), il direttore di produzione Marco De Rossi, il Prof. Giovanni Cristina e la Dott.ssa Antoniella Marinaro, fattivo e prestigioso Assessore alla Cultura del nostro Comune.

L’incontro, che, iniziato alle 11 si è protratto sino alle 13, ha messo in evidenza l’ingente richiamo che le varie “locations” di film, più o meno di successo, esercitano su un vasto pubblico eterogeneo determinando un conseguente sviluppo turistico (così come è già avvenuto in altri posti – il “Commissario Montalbano” di Camilleri insegna) dal quale le città interessate non possono che trarre benefici economici utilissimi per un proprio maggiore e ulteriore sviluppo.

Le relazioni sono state estremamente forbite, esaurienti ed esaustive. Si è parlato di tutto e di più, sulla materia in cartello. Si sono toccati, insomma, tutti i tasti del settore, individuando le possibili strategìe atte a far raggiungere i fini prefissati e sperati.

Alla fine, dopo l’attribuzione di una targa all’attore Totò Cascio, siamo stati inaspettatamente (almeno io) chiamati sul palco a dire la nostra (all’impiedi, come dinanzi ad una accorta commissione d’esame): il “grande regista e maestro” (così è stato ufficializzato, certamente per merito, sulla stampa locale dalla “vox populi”) Turdo ed il sottoscritto.

Totalmente impreparato, sia perché l’invito rivoltomi (fulmine a ciel sereno!) si è perfezionato a mia completa insaputa e sia perché la valenza dei relatori, come sopra espresso, aveva completamente esaurito il tema, a mia volta sono salito sul palco senza sapere che cazzo (mi si passi il termine) dire.

E, fatta di necessità virtù, contrastando una certa insorta emozione e ritenendomi più discente che docente, ho cominciato a parlare trattando alla meglio l’argomento dal punto di vista dell’autore indipendente ed  eludendo, forse, le comuni aspettative di quanti mi stavano a sentire.

Non vorrei, comunque, aver proferito minchiate (tanto per insistere su abusate espressioni gergali di dubbio gusto, si, ma di sano effetto espressivo).

Eppure, se fossi stato  avvertito prima e, quindi, se avessi potuto metabolizzare l’invito e fossi rimasto “compos mei” coartando la tensione emotiva del momento, avrei potuto benissimo cominciare con una battuta, tanto per ingraziarmi l’uditorio. Avrei potuto dire, per esempio, che so: “…spero di poter dire qualcosa di intelligente…ma non so se mi viene…”; oppure, rivolgendomi ai relatori che con atteggiamento cattedratico mi osservavano: “…che volete che dica, adesso, dopo che avete detto tutto voi…”.

Perché, e qui lo dichiaro, io non amo parlare in pubblico, tranne che dinanzi ad una  ristretta cerchia di persone o, necessariamente, alla troupe sui “set” dei film indipendenti che ho avuto l’opportunità di girare. L’emozione mi blocca. L’oratoria propriamente detta non mi si confà. Il parlare a “braccio” non è per me. Cicerone non è per niente mio parente, neanche lontano e neppure Tommaso Romano, che ho avuto l’onore di conoscere ed apprezzare. Mi trovo meglio “dietro i riflettori”;  fra le “quinte”, le “seste”, le “settime” e così via.

Preferisco scrivere più che parlare, insomma. Mi è pi congeniale.

Perché ognuno nasce (di grazia ricordiamocelo) con una sua ben precisa connotazione. Lo stesso Dante esprime. “…C’è chi nasce Melchisedech e chi Quirino…”. E, ancora, il detto latino sancisce: “…unicuique suum!...” (donde il titolo della presente disamina).  C’è chi è bravo in matematica e chi eccelle nelle lettere. Vai a scoprire i ghiribizzi della natura, “alma mater”!

Inoltre, continuando opportunamente il mio ipotizzato eloquio, avrei ben potuto disquisire su molteplici argomenti col Prof. Di Miceli particolarmente, nella sua qualità e competenza. Avrei potuto chiedergli perché mai non venga  foraggiato anche il settore cinematografico indipendente, con i contributi che la Regione annualmente eroga a fondo perduto per il capitolo spettacolo.

Se è ben vero che il cineturismo non è insensibile al richiamo delle zone dove sono stati girati dei film che hanno portato le bellezze paesaggistiche ed architettoniche del comprensorio focalizzato  alla conoscenza esterna, quanto  maggior apporto a tale divulgazione potrebbero dare i film indipendenti, soprattutto documentari, realizzati al 90% con intendimenti niente affatto commerciali, con il loro semplice partecipare alla miriade di festivals nazionali ed internazionali che ogni anno vengono programmati.

Gli avrei potuto chiedere (e non solo a lui ma anche al Produttore De Rossi) perché mai nei nostri civilissimi anni duemila il cinema come storia, esegetica e tecnica, non assurga a studio sistematico sin dalle scuole elementari.

E anche altre cose, che, forse, in fase di scilinguagnolo, superato l’iniziale attacco molto problematico, mi sarebbe venuto facile chiedere e delle quali adesso non mi sovviene.

Così ho liquidato la mia comparsa in pochi sofferti minuti e (buonanotte al secchio!) me ne sono tornato al mio ambito anonimato.

 

Cefalù, 25 gennaio 2014                                                                                                                                                              Giuseppe Maggiore

Commenti

In riscontro al Suo: "Non sapevo che la Sig.ra Macaluso si fosse laureata....in tal caso, Auguri!":

Non chiedo mai alle persone di cui tratto se sono laureate o meno.

Dal modo spigliato e dalla competenza mostrati dalla Sig.ra Macaluso ho dedotto che sia laureata.

In ogni caso, data la sua professionalità, una laurea (ove non l'abbia) anche honoris causa se la merita.

Giuseppe Maggiore.

Se i miei due termini, di natura squisitamene gergale, utilizzati nel mio intervento "Unicuique suum" ieri pubblicato,  abbiano potuto turbare delle pudibonde orecchie tanto da non farne  concludere a qualcuno la lettura io me ne scuso con molta umiltà. Ma vogliamo arrivare a tanto? Vogliamo scandalizzarci per due parole che non offendono affatto la morale in una dimensione culturale come quella odierna in cui certi termini gergali sono entrati di diritto nell'uso linguistico e scritturale comune e che, di certo, non destano più alcuna meraviglia? Basta scorrere certa sampa, svezzata da mediovalismi ipocriti o seguire dei programmi televisivi o assistere a dei comizi (la Littizzetto e Sgarbi insegnano!), basta volgere l'attenzione al mondo contemporaneo per sentirne di cotte e di crude: frasi che fanno impallidire la comune decenza e che rendono i miei due termini usati quasi verginali. Vogliamo aprirne un dibattito?  Lo stesso vocabolario italiano riporta i due "termini" contestati.  Qualifica il primo, seppure in senso lato, come simbolo di stoltezza e di insufficienza, con frasi idiomache quali:  "testa di c..." (per dire buono a nulla) o, ancora,  "non capisci un c...."  o  "non me ne importa un c...."  e consimili. Quante volte noi,  spesso anche in società,  ci siamo lasciati andare in espressioni gergali del genere destando non turbamenti nell'uditorio ma soltanto qualche risata!  No? E poi, il secondo "termine": è espresso e inteso come "stupidaggini", "cose senza costrutto", "fesserie",  "idiozie"  e quant'altro del genere. E' pacifico, allora, che le dette parole contestate  sono state da me usate nell'articolo per una maggiore resa ironica del concetto espresso. E' innegabile che spesso l'espressione, definiamola "fiorita",  rende comicamente più evidente il significato di  ciò che si vuole dire, appunto perchè frase "fiorita".  E poi, nel mio caso, va considerato il fatto  (e ciò è facilmente desumibile dai miei precedenti numerosi lavori pubblicati) che io non sono per niente abituato ad usare certa terminologia;  ma se alle volte, se il lessico me lo richiede perchè il termine ci sta, a mò di "battuta"  mi viene di adoperare una frase "fiorita" (purchè non sia lasciva  ma induca ad un sorriso) io l'adopero senza tentennamenti; nè apprezzo di essere limitato nella mia libertà di espressione (sempre consona, comunque, ai dettami di un certo codice perbenista) da giudizi moralistici che ritengo fuori luogo. L'interruzione della lettura per protesta, pertanto, mi sembra veramente esagerata! La protesta stessa mi appare impropria ed anche sterile! Se il commento in epigrafe provenisse da persona bigotta, espressione di un orizzonte  culturale limitato, da un parvenu insomma, potrei anche capirlo! Ma non da parte di un Professionista di tutto rispetto, culturalmente integrato e di acclarata maturità e saggezza. No, in questo caso non lo capisco. Grazie per l'attenzione.

Cefalù, 27 Gennaio 2014                                                                                                                                            Giuseppe Maggiore

Sono d'accordo! Niente di più efficace del "fiorito".
Io di quelle che iniziano con la emme ho fatto un "neologismo" :  "minkiate" e quando sono veramente grosse preciso di quelle con la K maiuscola "minKiate"

Caro sig. Maggiore, l'elogio per la bravura di una persona che eccelle in un campo é ben diversa rispetto a chi affronta anni di studio, esami, tesi ecc. ecc. inoltre Le ricordo che un titolo honoris causa, di solito, si concede a professionisti che hanno anni di carriera affermata. Non spariamo "m"

P.s. Mi chiami pure Architetto. Conseguii la laurea nel 2001. Tesi "la nuova stazione di Cefalú" relatore Marcello Panzarella presidente di commissione di Laurea Bibi Leone.

Preg/ma. Sig.a  Architetto Valeria Piazza, io non ho il piacere di conoscerLa se non attraverso questi Suoi due commenti al mio articolo  "Unicuique suum" che ha avuto la cortesìa di rivolgermi.  Il Cielo mi guardi dal misconoscere la Sua laurea tanto egregiamente conseguita, dal momento che me la ha appalesata. E' intuitivo che se nella mia precedente risposta io non La ho qualificata come "Architetto", ciò è avvenuto esclusivamente, Le ripeto, perchè non avevo, ne ho, il piacere e  l'onore di conoscere nè Lei nè i Suoi titoli; Le ho, comunque, rivolto l'epiteto di "Gentilissima", se ricorda, che è, come Lei ben sa, l'usuale  esternazione di profondo rispetto espresso verso una persona seppure sconosciuta. Debbo, tuttavia, manifestarLe che trovo alquanto "piccato" questo Suo ulteriore intervento  (e molto ironico, il primo), entrambi espressi come se Lei, o a me (?) o a Terzi, avesse qualcosa da rimproverare. Non capisco i motivi che La hanno spinta a far ciò, nè mi interessa saperli. Nel contempo La ringrazio per la lezione impartitami circa la differenza che passa fra una persona che ha conseguito un titolo studiando e chi no e circa l'iter comunemente seguito per  l'attribuzione di un titolo "honoris causa". S'impara sempre nella vita!

Gradisca cordiali saluti.                                                                                                                               Giuseppe Maggiore