“Cefalù” il libro fotografico di Angelo Pitrone, alla Terrazza del Mandralisca

Ritratto di Pino Lo Presti

12 Agosto 2012, 12:12 - Pino Lo Presti   [suoi interventi e commenti]

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Maria Teresa Dispensa, Direttrice della Fondazione

Saluta gli ospiti di questa serata speciale.
“Speciale” perchè viene presentato uno splendido libro fotografico di Angelo Pitrone, con introduzione da Matteo Collura.
Quello di stasera si può ben definire un “evento” per Cefalù perchè la protagonista di questa serata, in fondo, è la Città, che da questo libro emerge in tutto il suo fascino e la sua bellezza.
C’è una immagine nuova; Angelo Pitrone ha saputo cogliere scorci, vedute, panorami del tutto nuovi.
Il libro è stato voluto e patrocinato dalla Fondazione culturale Mandralisca e pubblicato dalla casa editrice “Sciascia” di Caltanissetta.
Presenta quindi gli ospiti secondo l’ordine in cui prenderanno la parola.



Angelo Piscitello, Presidente della Fondazione

La Fondazione culturale Mandralisca è lieta e onorata di presentare questo libro, che rappresenta un omaggio a Cefalù, alle sue bellezze - da quelle evidenti a quelle nascoste -, e che tali bellezze svela non solo agli occhi di chi Cefalù non conosce ma anche agli occhi degli stessi cefaludesi, che, assuefatti, spesso le dimenticano.
L'idea di questo libro è nata per caso all'inaugurazione della bella mostra sui "luoghi del romanzo", che due anni fa Angelo Pitrone ha tenuto nei locali di questa Fondazione; a quell'inaugurazione partecipò anche Matteo Collura, che era qui a Cefalù per altri motivi. Mentre i due - entrambi agrigentini - parlavano, io e Manlio Peri ci siamo scambiati una rapida occhiata di intesa e, seduta stante, abbiamo chiesto loro se fossero disponibili a lavorare insieme per creare un libro fotografico su Cefalù. Un tale libro esisteva già, era quello - eccellente - realizzato nel 1999 da Giuseppe Leone, con la prefazione di Vincenzo Consolo, ma un nuovo libro non sarebbe stata comunque una ripetizione.
Un fotografo artista che riprende la realtà, la interpreta con la sua sensibilità e la fa riscoprire pure a coloro che tale realtà hanno ogni giorno davanti agli occhi.
E, Cefalù, la cui bellezza è innegabile, è un soggetto che sicuramente affascina gli artisti e sfida la loro creatività.
La Fondazione Mandralisca ha voluto con questa pubblicazione rendere omaggio alla sua città, creando un volume prezioso che possa essere un biglietto da visita di Cefalù, da regalare a chi non la conosce, ovvero un ricordo per chi, dopo esservi stato, vuole portare con sé il ricordo delle bellezze assaporate e magari mostrarle ad altri, invitandoli a guardarle dal vivo.
E' quindi un volume rivolto a un vasto pubblico, anche internazionale: è per questo che i testi sono scritti sia in lingua italiana che inglese.
Andiamo al volume.
E' edito da Salvatore Sciascia, casa editrice nissena di grande tradizione, che, in un mondo editoriale di giganti - che, come in un videogioco, crescono inglobando i piccoli -, punta sulla qualità e valorizza le eccellenze della nostra terra. Vi invito a gustare la cura con cui il volume è stato edito, la raffinatezza della veste grafica che esalta la bellezza delle immagini e dei colori.
L'introduzione è di Matteo Collura, agrigentino ma cefaludese adottivo e "naturalizzato" con il conferimento della cittadinanza onoraria (il 31 ci sarà la cerimonia ufficiale). E' uno dei tanti che, giunti a Cefalù, se ne sono innamorati e si sono  legati  a lei  indissolubilmente.  E, di  questo  legame  Cefalù  deve  andare particolarmente fiera, perchè è un legame forte con qualcuno, con un raffinato uomo di cultura, che l'ha scelta tra tante.
Torna qui la metafora col "matrimonio", che lo stesso Collura utilizza nella sua introduzione, citando Brancati: una donna che si è sposata e che si desidera ancora di voler sposare.
Matteo Collura è un siciliano che vive e lavora a Milano, ma che ha posto la Sicilia al centro dei suoi numerosi scritti; ora Cefalù, che già altre volte lo aveva ispirato ha un posto ancora più importante nella sua produzione.
E, infine le foto, di Angelo Pitrone, anche lui agrigentino come Matteo Collura, e anche lui ispirato dalle bellezze di Cefalù: le sue foto sono foto di un maestro, nelle quali all'innato senso artistico si accoppia un sapiente uso degli strumenti, sia nelle foto di esterni - con riprese col grandangolo mozzafiato -, sia nelle foto degli interni, con prospettive a volte sorprendenti.
Le foto sono tutte bellissime, ma alcune mi hanno particolarmene colpito: l'ombra delle case proiettata su un mare verde-azzurro, con un gabbiano solitario che dall'alto si gode lo spettacolo, mentre degrada la luce del sole e degrada anche la forza del mare dopo il maestrale; o la Giudecca, vista dalla Rocca, che si staglia su un mare dal colore incredibile mentre, anche qui un gabbiano (la proiezione del fotografo?), osserva la scena; o ancora gli interni dei palazzi nobiliari, con gli spazi che si aprono e si rincorrono e, tra questi, l'interno del Castello Ortolani di Bordonaro con un incredibile gioco di specchi.
Insomma, vi invito non a guardare le foto, ma a gustarle una per una, osservandone i
particolari e scoprendone di nuovi a ogni nuova lettura.

Infine, una riflessione: in questo libro è raffigurata una Cefalù fatta di pietre, di mare e di cielo; come ha osservato Tano Gullo - su Repubblica recensendo il libro -, la gente di Cefalù non è presente; la gente di Cefalù deve però essere presente perchè ha una enorme responsabilità: conservare la bellezza che la natura e la storia le hanno regalato; conservare non vuol dire non svilupparsi, non vuol dire non crescere, ma vuol dire svilupparsi e crescere rispettando l'armonia, rispettando l'ambiente, rispettando il paesaggio. E ciò dovrebbe avvenire spontaneamente, per una cultura che speriamo di far crescere soprattutto nei giovani, e non per vincoli imposti dall'esterno e per timore di sanzioni. E' educando al bello - e ciò avviene anche guardando un libro come questo - che otterremo una Cefalù sempre più bella, anche nelle parti nuove, e non una Cefalù che, per godere della bellezza, deve voltarsi all'indietro.



Rosario Lapunzina, Sindaco di Cefalù

Desidero salutare, in particolare, il Dott. Angelo Piscitello, Presidente della Fondazione Mandralisca, Il Dott. Matteo Collura, nostro concittadino onorario, e Angelo Pitrone, autore del bellissimo libro fotografico che presentiamo questa sera.
Innanzitutto voglio porgere i complimenti alla Fondazione Mandralisca, che ha voluto fortemente la pubblicazione del libro, e al suo autore per l’elevata qualità tecnica e l’indiscutibile bellezza delle foto.
L’opera di Angelo Pitrone, impreziosita da una nota introduttiva di Matteo Collura, è più che un libro fotografico; è un’insieme di suggestioni e di emozioni, è un racconto della nostra città, del suo mare, delle pietre vive che la compongono, che la sovrastano, che la sorreggono. E’ la narrazione dell’anima della nostra città, dei suoi scorci suggestivi, della sua estrema bellezza.
Quella creata da Angelo Pitrone è proprio  una narrazione, non fatta di parole ma di immagini ma, proprio per questo, è più immediata ed efficace.



Se è vero, come sosteneva qualcuno (Giuseppe Verdi – Traviata -) che la bellezza, come l’amore, “ dagli occhi al cuore onnipotente va”, questo libro fotografico è più efficace di tanti saggi, perché pone colui che lo sfoglia immediatamente in contatto con il folgorante fascino della nostra città, il quale, attraverso lo sguardo, giunge direttamente al cuore del lettore facendolo innamorare inevitabilmente.
Ed è proprio degli effetti che ciò provoca in chi, visitando la nostra città, diviene spettatore ed insieme protagonista della sua bellezza, che si occupa la bellissima nota introduttiva scritta da Matteo Collura.
Questa sera non vi parlerò dello scrittore Collura, avrò il piacere di farlo nel corso della cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria che si terrà fra pochi giorni, desidero soltanto porre in evidenza come, nella introduzione a questo libro, egli sia riuscito a sintetizzare efficacemente l’essenza più vera di Cefalù e dei suoi abitanti.
Mi ha fatto riflettere in particolare la frase in cui egli sostiene che a Cefalù: “ senza muoversi, si può incontrare il mondo, perché è il mondo che di qui passa, giorno dopo giorno, stagione dopo stagione”. Devo ammettere che è proprio così; noi spesso abbiamo la voglia, la giusta ambizione, di visitare il mondo ma forse non ci accorgiamo che quotidianamente è il mondo che viene a trovarci a casa nostra. Da questa constatazione, che giustamente Matteo Collura ci rende evidente, deriva che noi cefaludesi abbiamo un privilegio e un dovere. Il privilegio è quello di poterci confrontare con mentalità, usi, costumi, modi di essere diversi e questo, in un mondo sempre più globalizzato, offre grandi opportunità di sviluppo umano e materiale.
Il dovere deriva dal fatto che se è il mondo intero a venire a farci visita a casa nostra, noi come degli ottimi padroni di casa, abbiamo il dovere di fare trovare la nostra città pulita, accogliente e vivibile.
Ma Matteo Collura da grande scrittore, quale egli è, non si limita a descriverci le cose, gli oggetti, le pietre presenti nella nostra città, al contrario attraverso la descrizione di immagini oggettive analizza la soggettività dei suoi abitanti e del nostro modo di essere. Un passaggio che mi ha particolarmente colpito è quello in cui si giustifica l’apparente indifferenza degli anziani che se ne stanno seduti sulle panchine di piazza Duomo, come se non vedessero né la cattedrale né i turisti che passano, con il fatto che la loro “saggia indifferenza” deriverebbe dall’aver interiorizzato la “divinità” di quest’angolo di meraviglie che è Cefalù.


Questa è una immagine bellissima del modo di essere del Cefaludese. Come ha ben notato l’autore, però, la sua indifferenza a ciò che lo circonda è solo apparente; proprio per questo, il compito di chi amministra questa città deve essere quello di fare in modo che i cittadini di Cefalù non smettano mai di meravigliarsi della bellezza del luogo in cui vivono, di sentire la responsabilità di contribuire ad accrescerla e ad preservarla e di sentire il bisogno, proprio come ci dice Matteo Collura, di “esprimere lo stupore, di comunicarlo, di farne contagio”.
Desidero concludere il mio intervento prendendo ulteriore spunto da un’altra affermazione presente nella introduzione al libro.
Il nostro cittadino onorario ci ricorda che una delle caratteristiche di Cefalù è quella di “ rimanere paese antico, dalle abitudini antiche, dai riti antichi, nel mentre non può fare a meno di aprirsi alla modernità più pressante”. Ecco, queste parole sintetizzano bene gli elementi sui quali occorre puntare per un pieno sviluppo della città.
Antico e moderno non devono essere due elementi da mettere in contrapposizione. L’antico è la base della nostra storia, del nostro modo di essere, di ciò che tutto il mondo ci invidia. Il moderno deve essere rispettoso dell’antico e deve offrire quelle opportunità di sviluppo che altrimenti sarebbero impossibili.
Questo deve essere l’impegno di tutti, ciascuno per la propria parte. Questo è il mio personale obiettivo che porterò avanti, con tutte le mie energie, cercando sempre la collaborazione di tutti coloro che, singoli cittadini e categorie, credono fermamente che Cefalù può puntare ad avere un futuro prospero senza snaturare la sua essenza.



Matteo Collura, Scrittore e Giornalista i cui testi accompagnano le foto del libro

Apprende stasera in modo ufficiale “di questa vostra, per me assai gratificante, decisione di conferirmi la cittadinanza onoraria di cefalù che effettivamente è il paese che amo”. Tiene a precisare che questo testo lo ha scritto prima e indipendentemente da questo.
Quindi legge la Introduzione al libro.
Quando mi trovo a Cefalù, luogo che ho scoperto da non più di dieci anni, essendomi forse involontariamente riservato di goderlo in età matura, allorché più acuti si fanno i nostri sensi e si ha più tempo per assaporare il bello, quando mi trovo in questa città che sa di mare e di pietra, appena posso eccomi lì, nella piazza, a uno dei tavoli che gli addetti ai bar sistemano come in preparazione di uno spettacolo. E' lì che porto subito i miei accompagnatori, se ne ho; è lì che costringo a venire a trovarmi gli amici che a Cefalù abitano o che, in quel momento, so che vi si trovano. Non mi stancherei mai di starmene così, l'aria imbambolata, su una sedia di metallo, a volte non comodissima, a fissare l'armoniosa mole del Duomo, perché raramente capita di poter ammirare un monumento così pesante, roccioso, gustandone nel contempo la misteriosa levità.
E mi diverte, standomene "in piazza", ascoltare i suoni delle diverse lingue che si mescolano a quelli dei cefaludesi, in gran parte anziani che vengono a sedersi sulle pubbliche panchine a chiacchierare delle cose loro. E' come se non vedessero né la Cattedrale davanti ai loro occhi, né i turisti che, a gruppetti, si contendono i tavoli dei bar. E invece no: guardano e vedono tutto, i sedentari anziani che si danno convegno in questo luogo, dove, senza muoversi, si può incontrare il mondo, perché è il mondo che di qui passa, giorno dopo giorno, stagione dopo stagione.



E' in luoghi come questo che si avverte il divino, qualunque cosa questa parola possa significare per ogni essere umano. Dopo un viaggio in Sicilia, il grande storico dell'arte statunitense Bernard Berenson, scrisse che "se soltanto uno potesse impadronirsene e serbarla entro di sé, sarebbe un dio". Forse è la consapevolezza di esserne parte, di serbare entro di sé quest'angolo delle meraviglie, a rendere così saggiamente indifferenti quegli anziani. E confesso che anch'io, messo piede nella piazza del Duomo, ogni volta sento di acquisire un po' della "divinità" di quei vecchi, anche se mi è impossibile mostrare la loro saggia indifferenza. Al contrario, sento il bisogno di esprimere lo stupore, di comunicarlo, di farne contagio.
"Sono a Zafferana Etnèa e desidero ferventemente di essere a Zafferana Etnèa. Ma se già mi trovo in questo piccolo paese?", annotava Vitaliano Brancati, nel suo Diario. E spiegava: "Ebbene, desidero lo stesso di trovarmi in questo piccolo paese. Non che la realtà mi lasci deluso: al contrario, mi dà un diletto così forte da spingermi al desiderio acuto di lei.
Così può accadere di sposare una donna, e desiderare per tutta la vita di poterla sposare". Bello questo parallelo con la donna, forse il più bello che a una moglie si possa dedicare, e altrettanto lo è quel desiderare, da parte dello scrittore, di essere a Zafferana mentre già vi si trova.
Non saprei come meglio spiegarlo, ma anch'io, quando mi trovo a Cefalù, sento il bisogno di esserci, come di luogo che so non appartenermi e perciò destinato a starne il più delle volte lontano.
Certe mattine, a Milano, dove da molti anni lavoro e abito, la tazzina del caffè in mano, per meglio propiziarmi la giornata, immagino di trovarmi in un angolo, che so io, la Rocca davanti, e gli scogli color carne della Kalura a far da argine a un mare i cui riflessi mutano di continuo, e che per i cefaludesi è una sorta di ambiente domestico, dove si va a passeggiare più che a navigare. So quel che dico perché, grazie alla generosità di una coppia di amici che hanno casa proprio nella parte più antica del paese, quella che si affaccia sul porto vecchio, di tanto in tanto mi capita di potermi svegliare davanti a quel mare. Una distesa d'acqua placida dove la gente passeggia, i piedi a mollo, parlottando e gesticolando, così come si fa all'uscita della messa, la domenica. Non mi è mai capitato di assistere a uno spettacolo del genere. Un mare che si fa piazza dove la gente si ritrova. E non voglio dire, con questo, che non vi siano nuotatori, in quel tratto di mare, che anzi se ne vedono molti schiumare tra i bagnanti. Si può nuotare, certo, nel mare di Cefalù, ma vi si può anche passeggiare. E lo si può constatare da alcune foto che Angelo Pitrone raccoglie in questo libro dalle immagini preziose, che danno misura di un luogo tra i più frequentati dai turisti, ma che rimane tra i più genuini di Sicilia.



E' questa una delle caratteristiche di Cefalù: il suo rimanere paese antico, dalle abitudini antiche, dai riti antichi, nel mentre non può fare a meno di aprirsi alla modernità più pressante. Soltanto in due occasioni mi è capitato, in Sicilia, di assistere a un funerale con la banda musicale al seguito. Una volta in un paese della provincia di Ragusa, di cui non ricordo il nome, e l'altra, a Cefalù, durante una giornata di caldo feroce: difatti, ricordo che una ragazza della banda, forse a causa di un colpo di sole, si accasciò e dovette intervenire un'ambulanza.
Camminare nei vicoli, di sera, a Cefalù, significa immergersi in un
mondo che si pensava scomparso. Certo, i vicoli ci sono anche a Palermo o altrove, in Sicilia, ma quelli di Cefalù hanno un aspetto così antico, potrei dire primitivo, da costringere a moderare il passo, mentre si ha l'impressione, per niente spiacevole, che una selva d'occhi, dietro le persiane,   vi   stia   a  guardare,   non  per  spiarvi,   ma  perché   pronta, all'occorrenza, a soccorrervi.
E questo perchè, anche di notte, i vicoli di Cefalù non hanno niente di spettrale; fanno pensare piuttosto a scenograficifondali di teatri approntati per compiacere gli spettatori forestieri.
Le auto passano a malapena in quei vicoli, come corpi estranei, che davvero sembrano appartenere a un altro tempo e a un'altra civiltà. Come  se Cefalù si fosse aggrappata a un passato che le si addice, e non voglia,  saperne di lasciarlo andare. Questo mi fanno pensare le immagini che Pitrone dedica al centro storico.
E poi, la Rocca, lo scenografico promontorio che; come una madre, sembra tenere in braccio la città, così come Ignazio Buttitta dice di Monte Pellegrino ("A muntagna cu Palermu nte vrazza"). Non a caso questo libro si apre con una veduta panoramica di Cefalù presa da occidente, quella che i pittori prediligono per rendere la bellezza di questo luogo: la curva perfetta della spiaggia, le case ammucchiate sotto la Rocca, le torri del Duomo come inconfondibili emblemi di una meravigliosa peculiarità artistica e storica. Una peculiarità che sembra farsi consapevolezza nel volto di Uomo ignoto, il capolavoro di Antonello da Messina conservato nel Museo Mandralisca, in cui il fotografo sembra essere entrato in punta di piedi, come si addice ai luoghi sacri. Vale un viaggio intrapreso dalla parte opposta del pianeta, il ritratto di Antonello, nel quale l'autore di questa nota ritiene di avere scoperto un particolare così appariscente da essere rimasto, come tutto ciò che è "troppo" evidente, segreto in tutti questi anni; un segreto di cui ho scritto altrove e di cui qui non dirò altro, invitando i lettori a scoprirlo da sé.
Chiudo con un cenno agli interni di alcune case qui fotografate. Vi si coglie quell'atmosfera di mondo domestico che ormai non è più possibile trovare nei moderni e più comodi appartamenti. Sono interni di case borghesi e aristocratiche, cimeli di un passato che a Cefalù sembra non passare. E come se il fotografo ci riaprisse quei salotti poco usati di certe antiche dimore, dove i quadri, le porcellane e i mobili di famiglia tuttora rappresentano più un obbligo sociale che un fasto ormai scomparso dalle consuetudini. E' struggente immaginarne la vita, i sogni, le ansie, gli amori, le attese che vi sono stati consumati.
Un balcone aperto sul mare-agorà di Cefalù racconta di questo paese
più di quanto possano fare mille scrittori. Ricordo di aver visto un altro
balcone, così spalancato sul mare e perciò abbagliato dalla medesima luce,
dal medesimo arcano, in Portogallo. Cefalù ha una dimestichezza così naturale con il mare, così modesta nella abitudini, da ricordare certi angoli costieri lusitani. Ed è singolare che si possa dire questo di un paese il cui aspetto rupestre sembra avere il sopravvento su tutto. Mare e pietra, dicevo all'inizio. Volendo significare un connubio naturale che incanta gli amanti del mare e nello stesso tempo quanti, come me, prediligono il paesaggio rupestre.



Angelo Pitrone, autore delle Foto

Visto che Matteo ha letto la sua prefazione o vi faccio vedere direttamente le foto del libro ... anche per capire di cosa stiamo parlando.

(vengono proiettate le diapositive)

Faccio alcune considerazioni sulla mia Cefalù su questo viaggio tra le case, le pietre, la spiaggia, la luce.
Ecco io volevo darvi la sensazione, molto rapidamente, di quello che è stato il lavoro di questo libro: un percorso attraverso la luce sostanzialmente. Io sono stato qua in diversi momenti dell’anno, soprattutto ho evitato l’estate. Mancano alcune cose evidentemente, non è un libro che vuole mostrare la città per un depliant turistico anche se poi, alla fine, è una vetrina della città nei suoi angoli più suggestivi, più misteriosi, e non uso questo termine per caso.
Quindi dicevo, ho seguito un percorso di suggestione, guidato dalle stagioni soprattutto autunnali e primaverili e seguendo un percorso della luce; la luce che è straordinaria, la luce che trasforma il colore del mare che diventa di mille sfumature; è veramente unico nel suo genere. Io vengo dall’altro lato della Sicilia (Agrigento come Collura) dove il mediterraneo è più blu; forse il tirreno ha delle venature di grigio che il nostro amico Guccione ben conosce nei suoi quadri.
Dicevo, una città misteriosa, è questo è stato un pò il tema di alcune immagini e di un percorso che cercava di scoprire, soprattutto negli interni ma no solo: la salita alla Rocca è una ricerca di questo mistero, un cercare per vicoli degli scorci, delle angolature e delle pietre molto particolari. Ci sono molti dettagli che io non ho potuto inserire nel libro per ovvi motivi di spazio.

E’ un libro che nasce negli anni ’90, quando io cominciai a frequentare - grazie ad un amico comune che è Roberto Vanadia - la Fondazione di Cefalù; ed era una certa idea di Sicilia, una certa idea di città. Io l’ho vista un pò mutare nel corso di questi anni, il traffico è diventato più caotico ma anche le persone sono cambiate, persone che io non ritraggo nelle mie immagini ma che sono comunque presenti; sono presenti nei graffiti, sono presenti nei segni che lasciano nella città. Credo che è un modo mio personale , è una traccia un pò archeologica del passaggio dell’uomo dentro una città. Per me è più affascinante questa scoperta del volto svelato come nella fotografia neorealista che spesso caratterizza il passato fotografico della Sicilia.
Un libro fotografico di questo tipo non nasce tutti i giorni, non è una cosa facile, non tutte le città hanno questo onore - se volete -, questo privilegio. La mia non c’è l’ha per esempio.
E’ un libro raro, una Sicilia che comunque ha un aspetto positivo, un aspetto che ci fa onore di essere siciliani al di là dei luoghi comuni.
Matteo Collura ha condensato nella poesia della sua introduzione veramente quello che è lo spirito del lavoro che ho cercato di svolgere e soprattutto ha svelato un’anima segreta di Cefalù.

Manlio Peri, Vicepresidente della Fondazione


Il compito di chi è chiamato a concludere una serata è certamente quello di sintetizzare quanto detto da chi lo ha preceduto ed aggiungere qualche piccolo tassello per ultimare quella sorta di mosaico costruito dai vari intervenuti. Vorrei però lasciare a voi il compito di fare sintesi, mentre credo giusto aggiungere un tassello al nostro mosaico. Un tassello per certi versi fuori della norma.
Ma andiamo con ordine.
E' assodato che Matteo Collura e Angelo Pitrone sono poeti, due grandi poeti.
Matteo scrive in prosa, e non so se abbia mai scritto poesie, ma spesso, molto spesso, la sua prosa è grande poesia.
Angelo scatta fotografie che, altrettanto spesso, sono bellissime poesie.
Non so se queste mie opinioni siano condivise dai diretti interessati, ma ribadisco che il libro di Angelo e lo scritto di Matteo, che lo introduce, sono una forma alta di espressione poetica.
Ma, se io amo immensamente la poesia, non mi fido però dei poeti perché, sempre a mio modesto avviso, essi hanno il potere di trasformare la realtà.
E a questo punto sorge spontaneo un interrogativo.
La Cefalù di oggi è quella di Matteo Collura e di Angelo Pitrone?


E' la città che con i loro occhi hanno visto due grandi poeti?
Oppure la vera Cefalù è quella che si presenta agli occhi di un vecchietto disincantato, quale io posso ormai definirmi, un vecchietto che, a causa dell'età, di un pessimismo sempre più radicato, e di una nostalgia sempre più tenace, non riesce a non vedere un'altra Cefalù?
Questo vecchietto vede una città tutta da ricostruire: materialmente, moralmente, civilmente e culturalmente.
Lo scempio compiuto a partire dagli anni '70 è sotto gli occhi di tutti: non credo ci sia angolo del territorio di Cefalù che non sia stato cementificato, deturpato, devastato. La ricerca dell'arricchimento a tutti i costi ha spazzato via i valori positivi che erano retaggio di questa comunità: solidarietà, rispetto per il prossimo, attenzione alla natura e all'ambiente sono valori scomparsi o ai quali pochi conformano la propria prassi di vita. Dal punto di vista culturale la Cefalù del XXI secolo è molto più povera di quella di una volta. Antonio Castelli, Pasquale Culotta, Giuseppe Di Francesca, Nico Marino, Domenico Portera, Pietro Saja (e non vogliatemene se dimentico qualcuno) hanno lasciato un vuoto che i pochi veri intellettuali rimasti riescono solo in parte a colmare.
La tensione morale, culturale, civile che caratterizzò Cefalù dopo la seconda guerra mondiale, e negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, si è affievolita sino a scomparire del tutto. In quegli anni, a Cefalù, si lavorava per ricostruire; la comunità era solidale, la circolazione delle idee era prassi consolidata e si dibatteva civilmente e democraticamente sul futuro.
Voi mi direte che l'intero nostro paese è da tempo in declino morale e culturale, cui si è aggiunto ora anche il declino economico; che quindi Cefalù non fa che condividere un destino comune. Perché dovrebbe essere l'eccezione alla regola?
Mi permetto di dissentire. Esistono in Italia, soprattutto al Centro e al Nord, piccole comunità, più o meno delle dimensioni della nostra, fortemente coese, ricche di senso civico e solidarietà sociale, dove si pratica istintivamente una cittadinanza attiva e dove soprattutto si custodisce gelosamente e si preserva con orgoglio il patrimonio ambientale, monumentale e delle tradizioni locali.
E poi, anche se così non fosse, io non sono dell'avviso che il "mal comune sia mezzo gaudio".


Io non mi rassegno all'attuale stato dei fatti. Io rivoglio quella Cefalù che conobbi negli anni Sessanta, quando per la prima volta la frequentai per motivi di studio e me ne innamorai profondamente, tanto da decidere di trasferirmi qui definitivamente. Io non so perché Cefalù sia tanto mutata e non voglio addentrarmi in considerazioni sociologiche che non sono il mio campo.
E' fuor di dubbio che la scoperta della sua vocazione turistica - conseguenza inevitabile della bellezza e del fascino della città in quegli anni -; la scoperta, dicevo della sua vocazione turistica, se ha indiscutibilmente portato benessere e fatto entrare Cefalù nella modernità, ha però snaturato l'identità della città, anche per il forte afflusso di emigrazione dai comuni limitrofi.
Ma non sono neanche tanto interessato alle cause del fenomeno. Torno a dire che rivoglio indietro la mia Cefalù, che tanto ho amato. Ed ho amato in particolare  la   Fondazione  Mandralisca,  eredità  di  un  grande  cefaludese,  e  il  Museo Mandralisca, che quell'eredità custodisce.
Per spiegare l'intensità di questo amore posso solo usare una similitudine e dire che sono legato al Museo come si può essere legati ad un figlio che si è curato e salvato da una grave malattia, un figlio ritrovato quando lo si credeva perduto. Non molti sanno o ricordano, infatti, che quando nel 1994 assunsi la presidenza della Fondazione, questa era sull'orlo del collasso economico-finanziario, e il Museo in completo sfacelo. Ho lavorato tanto, abbiamo lavorato tanto, per risanarli e riportarli in salute, e da allora io non me ne sono più separato. Anche dopo il termine del mio mandato ho continuato a frequentarlo, a parlare con i dipendenti, a seguirne le vicende, sempre un po' con il fiato sospeso.
E adesso che sono ritornato in veste di consigliere di amministrazione, continuo a lavorare, accanto al Presidente Angelo Piscitello e agli altri consiglieri, a lavorare con tenacia, a volte quasi con testardaggine, perché la Fondazione, nonostante le perenni difficoltà economiche, possa adempiere alla sua missione, possa essere centro di diffusione della cultura e di valorizzazione del territorio cefaludese e madonita.
Lungi da me l'idea di pormi quale esempio, davvero non ne ho la pretesa, ma forse .... forse se tutti coloro che ne hanno la capacità e la possibilità, si spendessero un minimo per questa città, se - ognuno nel proprio campo - fabbricasse un solo tassello di un mosaico tutto da ricostruire, forse allora Cefalù potrebbe tornare ad essere quella che fu.
Potrebbe tornare ad essere per tutti, anche per la gente comune, quella che Pitrone e Collura hanno visto con i loro occhi di grandi poeti e ci hanno restituito con le immagini e le parole perché non ne perdiamo memoria.

Scusate il piccolo sfogo e grazie.



Il Sindaco

Che dire che se abbiamo il privilegio di avere un libro, ancor prima di Agrigento e di altre città, per noi è un motivo di vanto ed è un impegno a conservare e a rendere sempre più bella Cefalù. Certo  per riportarla negli anni ’60 dobbiamo affidarci a Varzi e basta, in quell’archivio meraviglioso che ha la famiglia Varzi e che si è visto poco tempo fa in una mostra fotografica ancora aperta.
Per il resto dobbiamo cercare di affidarci ad una seria programmazione urbanistica perchè è impossibile andare avanti con questo modo di operare degli ultimi anni; per cui, senza un quadro di regole precise, legate ad un P.R.G. che ormai è molto vecchio e che non può dare alcun tipo di sviluppo a questa città.
Per cui, da subito, io ho affidato il compito all’ing. capo del comune di Cefalù; abbiamo già fatto degli incontri con progettisti come Marcello Panzarella per cercare di velocizzare quelle procedure per arrivare al più presto al P.R.G. per dare certezza a chi investe ma per avere una programmazione urbanistica ordinata ed evitare di fare varianti che poi seguono l’insieme. La città deve essere salvaguardata con uno sviluppo ordinato nel quale ci si renda conto in quale luogo viviamo.
Scherzando, in questi 90 giorni che faccio il Sindaco, ho detto che emetterei una ordinanza rivolta ai cittadini di Cefalù: almeno una volta al mese bisogna salire sulla Rocca, perchè soltanto da lassù ci si rende conto di dove si vive. Noi ogni tanto ce ne dimentichiamo lasciando la macchina fuori posto, non rispettando le regole e transitando nelle ore meno opportune, buttando le carte a terra, conferendo i rifiuti in orari sbagliati e avendo tanti comportamenti che sono veramente non rispettosi di una città stupenda.

Commenti

Vorrei, in questa occasione che vede protagonista il paese, che tutti quanti si tornasse con i piedi per terra e si riconoscesse in modo esplicito che nell'universo creato esistono innumerevoli altri luoghi di grande bellezza fuori da queste mura  e da questa nostra natura; e vorrei che si smettesse di far uso di aggettivi iperbolici (splendida, magnifica,eccezionale etc.)( e non solo in riferimento al luogo ma anche a questa o quella manifestazione : se una cosa è mediocre o brutta bisogna pur saperlo capire  e saperlo dire ).E vorrei anche che ci si dedicasse un pò più a conoscere pietra per pietra, centimetro per centimetro, lo spazio reale in cui viviamo e poi moriamo.

Nessuna ordinanza sindacale può obbligare cefaludesi e non a conoscere Cefalù ; ma tante altre ordinanze si possono fare per impedire che tanti luoghi, sconosciuti ai più ( ma non agli speculatori "turistici") vengano cancellati dall'avidità e dall' ignoranza e dall'incuria. Rinunciando alla diplomazia, e forse all'educazione, mi viene da dire che tutto quanto ho sentito e visto durante la presentazione del libro era abbastanza scontato, idilliaco e direi banale, tranne per l'inatteso e lucidissimo e forse troppo bonario "sfogo" di Manlio Peri.

Quasi niente posso dire del contenuto del libro, non avendone visto il contenuto nella sua interezza, e quindi sconoscendo la totalità delle immagini raccolte, se non quelle poche proiettate.Mi sento soltanto di fare una piccola nota : non sono sufficienti due stagioni, un anno, due o dieci per scoprire pezzo per pezzo un paese, sia pur piccolo come Cefalù, e raccontarlo ( con parole o immagini) come Marco Polo a Kublai Kan : il racconto di tante città per raccontarne in fondo una sola.

Condivido in pieno il tuo giudizio. Mi piacerebbe che ci fosse meno piaggeria, come ha dimostrato Manlio Peri nel suo sfogo. Mi piacerebbe che i Cefalutani distinguessero il bello e lo riconoscessero come tale per loro personale consapevolezza e non perché altri li hanno abituati a condividere i loro giudizi. Se ne avessero (o ne avranno) consapevolezza, allora, forse, rispetterebbero (o rispetteranno) di più il loro territorio, che è la loro culla. Una culla di uomini e non di neonati, che la sporcano con i loro escrementi. Lo rispetterebbero di più, questo loro territorio, non aspettando che qualcuno venga a dir loro che esso è bello, perché bello lo è a prescindere e come tale devono meritarselo ogni giorno.