Le apparizioni, i pellegrinaggi e il disappunto del Vescovo

Ritratto di Angelo Sciortino

30 Settembre 2019, 07:47 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Ogni tanto mi accade di leggere qualcosa che mi diverte, seppure non meriti considerazione alcuna. Oggi ho avuto questo grande piacere con il seguente articolo di Cefaluweb: https://www.cefaluweb.com/2019/09/29/presunte-apparizioni-di-san-michele-arcangelo-marciante-nessuna-approvazione-dalle-autorita-ecclesiastiche/ .

Di che cosa si tratta? Semplicemente di una vera e propria levata di scudi del Vescovo di Cefalù contro un pellegrinaggio a Monte dell'Alto a Petralia per ricordare le frequenti apparizioni dell'Arcangelo Michele a tale signor Salvo Valenti. Ora, a parte che sono personalmente convinto che dubito persino delle mie personali apparizioni, che al suo risveglio la mia ragione mi dimostra false o semplicemente un effetto onirico, non posso fare a meno di ricordare due episodi simili avvenuti in Sicilia, in due diverse città, nel XVI secolo, giudicati diversamente a seconda delle convenienze: alla donna che dichiarava d'essere rimasta incinta, perché le era apparso Gesù e aveva avuto un rapporto sessuale con lei, le fu dato credito e fu venerata; l'altra, che dichiarò la stessa cosa, non fu creduta e gliene derivò una punizione.

La stessa cosa mi sembra che stia accadendo oggi, almeno a giudicare dal vigoroso intervento del Vescovo di Cefalù. Confesso ai miei lettori che simili battaglie da un lato mi divertono, dall'altra mi spingono a dubitare che un siffatto modo di agire e di reagire possa mai spingermi a guadagnare una fede religiosa. Somigliano, infatti, alle lotte ideologiche all'interno dei partiti politici o fra i partiti politici e non conducono ad altro, se non a lasciare tutto come lo si è trovato. E non credo che un vero Dio, creatore dell'Universo e degli uomini, voglia una cosa del genere dalle sue creature. Come il mio Nonno materno, e diversamente da mia nonna fervente credente, oggi mi ritrovo agnostico e non mi permetto di giudicare la fede altrui e meno che mai se egli dichiara di avere avuto simili apparizioni, delle quali la mia ragione sorride, sebbene io provi nei suoi confronti una certa invidia per le sue certezze. È questa la ragione per cui concludo con le parole di Voltaire: “Signore, io non condivido le vostre idee, ma lotterò fino alla morte affinché voi possiate professarle liberamente.” E io non credo alle apparizioni dell'Arcangelo Michele a Salvo Valenti, ma non può piacermi la volontà del Vescovo di Cefalù d'impedirgli di raccontare i suoi “sogni” e agli altri di crederci.

Commenti

Quelle parole Voltaire non le ha mai nè dette nè scritte, e il Vescovo ha fatto il suo dovere di pastore. Siamo certi che le apparizioni siano dell'arcangelo Michele e non di qualche suo collega a suo tempo esiliato dal Paradiso?

Non so se Voltaire le abbia dette, perché nel '700 non ero ancora nato, ma le ha scritte. Sui doveri del Vescovo visti dalla parte del credente e dei codici canonici non metto lingua, ma se le considero in forza della storia, della ragione, della coscienza e dell'insegnamento di Tommaso d'Aquino (Padre della Chiesa), non posso evitare di dirmi quantomeno perplesso. Che poi le apparizioni siano dell'arcangelo Michele o del suo collega Lucifero poco importa, si tratta comunque di "apparizioni".

Voltaire non ha mai detto: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire»Come Galilei non ha mai scritto: « Eppur si muove» e in nessun luogo delle opere di Machiavelli si trova: « Il fine giustifica i mezzi», allo stesso modo Voltaire non ha mai scritto né detto «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire». E allora da dove nasce questa leggenda metropolitana?Ricordo che il giornalista televisivo Sandro Paternostro, vanesio e inconcludente corrispondente estero della Rai, colui che ha impostato definitivamente, anche per chi l’ha succeduto, il “canone” delle corrispondenze televisive da Londra sulla filiera tematica cappellini-della-regina-mostre-canine-e-via-minchionando ( e tutta l’Inghilterra di Hume e di Dickens, del Labour e di Shaw che vada a farsi benedire) amava ripetere questa formula nel programma televisivo “Diritto di replica” di qualche decennio fa.Ancora oggi viene ribattuta con grande enfasi e magnanimità citrulla tutte le volte che si fa mostra di elegante tolleranza nei confronti del proprio avversario. Essa è tanto pregna di un fair play vanitoso quanto logicamente destituita di senso solo se ci si pone a pensare che se concediamo al nostro avversario la libertà di poter dire tutto, anche l’intenzione di uccidere, noi o altri, egli da un lato lo farebbe di già e molto prima che noi ci immolassimo per consentirgli di dirlo, oppure lo farebbe col nostro consenso. L’idea di tolleranza non può che partire da un “minimo etico” e non può non essere che reciproca, ovviamente, ma non può ammettere nell’interlocutore idee di sterminio o altri abomini, che pertanto nessuno, e per giunta a sacrificio della propria vita, può consentire di dire ad alcuno. Se infatti si deve essere tolleranti coi tolleranti, viceversa non si può essere che intolleranti con gli intolleranti.Ma tagliando corto, il signor di Ferney non ha mai detto simile frase. Come mai allora gliela si attribuisce?La sola versione nota di questa citazione è quella della scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall, «I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it. », The Friends of Voltaire, 1906, ripresa anche nel successivo Voltaire In His Letters (1919).Per chiudere la storia di questa falsa citazione, Charles Wirz, Conservatore de "l'Institut et Musée Voltaire" di Ginevra, ricordava nel 1994, che Miss Evelyn Beatrice Hall, mise, a torto, tra virgolette questa citazione in due opere da lei dedicate all’autore di « Candido», e riconobbe espressamente che la citazione in questione non era autografa di Voltaire in una lettera del 9 maggio 1939, pubblicata nel 1943 nel tomo LVIII dal titolo "Voltaire never said it" (pp. 534-535) della rivista "Modern language notes", Johns Hopkins Press, 1943, Baltimore.Ecco di seguito l’estratto della lettera in inglese:«The phrase "I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it" which you have found in my book "Voltaire in His Letters" is my own expression and should not have been put in inverted commas. Please accept my apologies for having, quite unintentionally, misled you into thinking I was quoting a sentence used by Voltaire (or anyone else but myself).» Le parole "my own" sono messe in corsivo intenzionalmente da Miss Hall nella sua lettera.A credere poi a certi commentatori (Norbert Guterman, A Book of French Quotations, 1963), la frase starebbe anche in una lettera del 6 febbraio 1770 all’abate Le Riche dove Voltaire direbbe :« Monsieur l'abbé, je déteste ce que vous écrivez, mais je donnerai ma vie pour que vous puissiez continuer à écrire. » Peccato che se si consulta la lettera citata, non si troverà né tale frase e nemmeno il concetto. Essendo breve tale lettera, è meglio citarla per intero e scrivere la parola fine su questa leggenda.A M. LE RICHE,A AMIENS.6 février.Vous avez quitté, monsieur, des Welches pour des Welches. Vous trouverez partout des barbares têtus. Le nombre des sages sera toujours petit. Il est vrai qu’il est augmenté ; mais ce n’est rien en comparaison des sots ; et, par malheur, on dit que Dieu est toujours pour les gros bataillons. Il faut que les honnêtes gens se tiennent serrés et couverts. Il n’y a pas moyen que leur petite troupe attaque le parti des fanatiques en rase campagne.J’ai été très malade, je suis à la mort tous les hivers ; c’est ce qui fait, monsieur, que je vous ai répondu si tard. Je n’en suis pas moins touché de votre souvenir. Continuez-moi votre amitié ; elle me console de mes maux et des sottises du genre humain.Recevez les assurances, etc.Ma ormai la frase di Miss Hall aveva varcato l’Atlantico e dopo un piccolo rimbalzo nei circoli ristretti dei liberal era entrata nel formidabile circuito dei media americani, tramite il popolare Reader's Digest (Giugno 1934) e la Saturday Review (11 Maggio 1935). E da allora la sua diffusione è stata inarrestabile.(Alcuni brani tratti da da "wikipedia.fr" e "en.wikiquote.org")  E sufficiente?
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Direbbe bene: “se concediamo al nostro avversario la libertà di poter dire tutto, anche l’intenzione di uccidere, noi o altri, egli da un lato lo farebbe di già e molto prima che noi ci immolassimo per consentirgli di dirlo”, che fa il paio con la frase precedente: “Ricordo che il giornalista televisivo Sandro Paternostro, vanesio e inconcludente corrispondente estero della Rai, colui che ha impostato definitivamente, anche per chi l’ha succeduto, il “canone” delle corrispondenze televisive da Londra sulla filiera tematica cappellini-della-regina-mostre-canine-e-via-minchionando”, non foss'altro che per i termini usati e per quel “l'ha succeduto” invece del più corretto “gli ha succeduto; direbbe bene, se non si riferisse a una minaccia (l'intenzione di uccidere), mentre invece l'intero mio intervento si riferisce alla libertà di esprimere il proprio pensiero.

Sorvolo sul suo esercizio di erudizione, degno di miglior causa, perché, seppure possa fare dubitare che Voltaire abbia usato la frase citata, è fuori dubbio che essa rispecchia in pieno il pensiero da lui espresso in ogni rigo delle sue opere, così come le altre frasi da lei citate come false su Galilei e Machiavelli. Tutto ciò mi ricorda una riflessione, che spesso mi torna in mente: l'erudizione raramente è segno di cultura. E anche di apertura mentale e di giudizio indipendente, specialmente sulla fede degli uomini. L'erudizione serve soltanto a riempire il nostro cervello, ma non a creare il mondo della mente e delle ipotesi: come diceva Senofane, “la realtà è una ragnatela di ipotesi”, figuriamoci le fedi religiose! Mi spiace, ma ho trovato la sua risposta insoddisfacente e persino pericolosa.