Il silenzio di Dio

Ritratto di Giuseppe Riggio

20 Marzo 2020, 19:43 - Giuseppe Riggio   [suoi interventi e commenti]

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Con qualche piccolo adattamento di circostanza, socializzo parte della riflessione che proponevo, su invito del Parroco don Domenico Messina, ai fedeli della Parrocchia di Sant’Agata alla Kalura, nell’ormai lontano Martedì Santo del 2012.

Il tema aveva suscitato un certo scalpore già dieci anni prima per bocca di Papa Giovanni Paolo II che, commentando Geremia 14, 17-21 si riferiva a una tragedia maggiore di quelle di cui parla Geremia: se già gravi sono la guerra e la fame, che mettono a dura prova l’esistenza del Popolo di Dio, ancora più grave è la sensazione che Dio non si rivela più, sembra essersi rinchiuso nel suo cielo, quasi disgustato dell’agire dell’umanità.

L’espressione di Giovanni Paolo II ebbe molta risonanza sia dentro che fuori della Chiesa: si ripercorse la storia del 20° secolo, con le sue numerose guerre, con la Shoàh e tanti altri genocidi, per giungere alle tragedie presenti provocate dagli esodi di massa, dalla fame e dalla sete, dalle malattie, dall’ignoranza, dalle dittature ancora diffuse nel mondo, dai soprusi dell’uomo sull’uomo… che provocano sgomento e solitudine esistenziale, che generano insicurezza e grave insoddisfazione.

E’ il grave problema della presenza del male, in tutte le sue forme; lo temiamo, lo sperimentiamo sulla nostra pelle e trovandolo più forte di noi non riusciamo a capacitarci che Dio non intervenga, che taccia, che si giri dall’altra parte! Un Dio dal cuore insensibile, che non viene incontro ai suoi figli. Un Padre che va contro natura, se possiamo analogicamente attribuirgli sentimenti umani!

Ripercorrevo il trattamento di tale tematica nell’Antico Testamento, ove è presente sotto le metafore del ‘nascondimento del volto di Dio’ e della ‘ricerca del suo volto’, soprattutto nei Profeti e nei Salmi, e mettevo in evidenza il modo antropomorfico di pensare al rapporto di Dio con noi: nel rapporto tra esseri umani guardarsi in faccia è un modo di comunicare, anche se non necessariamente benevolo, mentre volgersi la faccia, girarsi da un’altra parte, è segno di interruzione di comunicazione, di chiusura, di rifiuto.

Nel NT non si parla espressamente del silenzio di Dio, né del nascondimento del suo volto. Ma esiste silenzio più profondo di quello dell’Orto di Getsemani e della Croce? Lo cogliamo anzi come un silenzio assordante, se il Figlio di Dio arriva a chiedergli: Padre, perché mi hai abbandonato?

Quale silenzio è più grande di quello del Sepolcro che si espande nello sgomento e nella paura dei discepoli, per i quali la morte di Gesù è la fine di una storia, della loro storia, della loro speranza. Dov’è Dio? Dov’è quel Dio che si manifestava nella vita di Gesù, il quale parlava con autorevolezza e in nome di Dio compiva segni straordinari, guarendo e liberando gli uomini dal male?

Siamo a metà Quaresima e ci apprestiamo a celebrare la dominica laetare, ma forse tra venti giorni non potremo nemmeno andare in Chiesa per celebrare la Pasqua di Resurrezione! Nell’assenza liturgica vivremo con maggiore intensità il dramma della Passione del Signore e l’attesa del Sabato Santo, e forse anche noi, cercando di coniugare la sofferenza e la morte nostra con quella di Cristo, pensando ai venerdì e ai sabato santi della nostra vita e della storia dell’uomo saremo tentati di chiederci: dov’era Dio ad Auschwitz, a Dakau e nei campi di sterminio di tutti i tempi? Perché non interviene sulle ingiustizie del mondo facendo morire i tiranni; perché non illumina i potenti della terra a governare il mondo in equità e giustizia; perché fa prosperare l’empio e fa soffrire l’innocente? Dove sei, mio Dio, mentre mio padre, mia madre, mio figlio, mio fratello soffrono e muoiono a causa di un morbo universale che oltre ai lutti ci riserverà altre lacrime amare ? Dove sei, quando io t’invoco e non mi ascolti? Perché non vedi la mia sofferenza e la mia disperazione? Perché mi nascondi il tuo volto?

Forse però dovremmo farci domande diverse: dov’era l’uomo ad Auschwitz e a Dakau? Dov’è l’uomo quando si instaurano e si favoriscono regimi autoritari e quando si costruiscono armi per fomentare guerre intestine? Dov’ero io quando mio figlio cresceva e aveva bisogno di essere ascoltato? Dov’erano i grandi del mondo quando centinaia di migranti morivano in mare? Dov’erano quando in nome di un insano arricchimento il mondo della finanza minava i sistemi economici di mezzo mondo e provocava la grave crisi che da tempo attraversiamo ed ancora oggi sta lucrando sulla miseria e sulla tragedia che stiamo vivendo? Dove eravamo noi tutti, oggi persone di mezza età o anziani, quando il mondo cambiava globalmente e velocemente nella cultura, nel sociale, nella morale, nell’economia…e non abbiamo saputo gestire il mutamento, trovandoci oggi con il giocattolo rotto in mano?

E in tutto questo Dio che c’entra? E’ proprio vero che Dio tace o si gira dall’altra parte? O è vero che, proprio al Getsemani, sul calvario e nel sepolcro l’uomo ha creduto di spegnere la Parola Dio, mentre Lui, la Parola incarnata, nel suo totale annientamento, parla molto più di quando faceva miracoli e discorsi, dando senso alla sofferenza e alla morte, quale necessario passaggio alla vita e alla risurrezione?

Dobbiamo fare una riflessione culturale importante: chi è il protagonista della storia? Dio o l’uomo?

Nel mondo classico ( L’Iliade – L’Odissea – L’Eneide – La Tragedia greca e latina) l’uomo era eticamente irresponsabile: gli dei inducevano gli uomini a agire bene o male. E c’era una entità astratta che decideva ancora sopra gli stessi dei e sugli uomini: il Fato, che non era nemmeno un dio superiore. Il destino, al quale ci si appellava e ancora oggi continuiamo ad appellarci quando non sappiamo o non vogliamo cogliere il nesso della consequenzialità tra il nostro modo di essere e i frutti del nostro operare o della nostra ignavia.

Nella stessa cultura biblico-veterotestamentaria domina il teocentrismo: Dio è il protagonista della storia del mondo e di Israele in specie. Attenzione, parlo di una cultura teocentrica, cioè a dire di come lo scrittore biblico, il profeta e lo stesso Popolo consideravano Dio e interpretavano la propria storia. Interpretazione teologica della storia. Persino la malattia e la povertà venivano interpretate come punizione da parte di Dio, perché il malato o il povero aveva peccato.

Nel Vangelo, in tutto il Nuovo Testamento, nel Cristianesimo, ci muoviamo su un altro pianeta: Dio non tace e tanto meno nasconde il suo volto! Il Verbo (la Parola) si incarna, e con Cristo finisce il teocentrismo e si proclama l’antropocentrismo.

L’uomo è il protagonista della storia, è l’unico responsabile di quello che è e di quello che fa. Il messaggio evangelico si può sintetizzare in una semplicissima espressione: Uomo, realizzati pienamente.

E’ finito il tempo della de-responsabilizzazione, quando chiedevi a Dio o agli dei di risolvere i tuoi problemi, ed è giunto il tempo del tuo protagonismo.

Quella Parola fatta carne, immagine visibile del Dio invisibile, l’uomo perfetto Gesù Cristo, ti indica l’utopia nella quale devi immergerti totalmente senza mai stancarti: sei chiamato ad essere perfetto come è perfetto il Padre tuo che è nei cieli.

Ecco l’utopia: la perfezione è di Dio e tu sai di non poterla raggiungere mai. Ma vi devi tendere, perché l’utopia è il motore della storia.

Quello che conta non è la piccola conquista o il piccolo fallimento quotidiani, conta la tensione verso la meta: gli altri ti valuteranno in termini di successo o insuccesso, tu stesso invece ti valuterai in termini di efficacia = chi sei e cosa fai in coerenza con quello che vuoi essere! Nella intenzionalità della nostra coscienza conta la qualità del percorso, non il risultato immediato.

In quest’ottica dovremmo fare penitenza in questa Quaresima: prendere coscienza di quello che siamo e valutarne la coerenza esistenziale.

Rivedere il percorso della nostra esistenza, vedere quanto è efficace il nostro modo di pensare e di fare in funzione del piano di Dio e nostro, procedere nella conoscenza e nella comprensione della Parola evangelica per confrontarla con la realtà sociale, politica, economica, etica della quale facciamo parte, e nei confronti della quale ci poniamo come portatori di un messaggio di Giustizia, di amore e di pace.

Perciò, il nostro protagonismo non è superbia, né tanto meno affermazione di autosufficienza nei confronti di Dio; al contrario è la nostra risposta di fede alla sua Parola nella coerenza di quello che siamo.

Cosa vuol dire tutto ciò nella contingenza attuale? Siamo vittime sacrificali o stiamo subendo le conseguenze della nostra perdita di senso, quasi cercata e voluta negli ultimi 50 anni della nostra epoca? Continueremo a ragionare con la logica del ‘quanto’ o torneremo saggiamente alla logica del ‘quale’? Capiremo finalmente che l’uomo vale per quello che è e non per quello che ha, che l’interesse privato ha senso se orientato al bene comune ? Quando smetteremo di livellare tutto e tutti nel falso convincimento che 1 vale 1, annullando competenze e meritocrazia nell’incoscio tentativo di de-responsabilizzazione collettiva? Quando i politici finalmente taceranno per essere immediatamente operativi e addirittura previgenti? Quando decideremo di osservare le disposizioni di tutela e di difesa contro il coronavirus per potere finalmente smettere di contare i morti e soffermarci invece sul numero dei guariti e dei sani?

In quest’ottica di cristiana responsabilità individuale e collettiva, francamente, avremmo fatto volentieri a meno di manifestazioni superstiziose e quasi scaramantiche che, se si potevano e dovevano capire fino alla prima metà del secolo scorso, risultano oggi anacronistiche e dannose, perché sono solo archeologismo spirituale. E chi ha da intendere, intenda.

 

20 Marzo 2020                                                                                                                          Giuseppe Riggio

Commenti

Gentile Professore, il suo spessore culturale e spirituale lo rispetto, non ho affatto condiviso alcune sue passate riflessioni indirizzate al nostro vescovo su questo Blog, ma almeno in quelle circostanze lei si rivolgeva a persone ben individuate e conosciute sulla base di argomentazioni che lei ha esposto e sulle quali non intendo dilungarmi. Ho appena finito di leggere questa interessante riflessione sul silenzio di Dio che ho apprezzato quasi per intero perché, operando un salto logico che non ho ben compreso, lei poi arriva a parlare nell'ultimo paragrafo di "manifestazioni superstiziose" e di un non meglio precisato "archeologismo spirituale". Tutto ciò mi stupisce, in virtù delle sue precedenti chiamate in causa con destinatari ben individuati e sulla base di considerazioni che sono state solamente le sue, ma adesso non capisco questa voluta reticenza, conclusa peraltro con una sibillina "E chi ha da intendere, intenda". Personalmente non mi trova d'accordo e lo trovo anche in contraddizione con quella "cristiana responsabilità individuale e collettiva" da lei enunciata, la stessa che, mi permetto io di integrare, ci impone sull'esempio del Maestro di fare attenzione alle nostre parole: "Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno" (Mt 5, 37). Pertanto, poiché siamo cristiani e non tutti con le scuole alte, in nome della già citata cristiana responsabilità individuale e collettiva, di cosa stiamo parlando quando si tirano in ballo "manifestazioni superstiziose" e "archeologismo spirituale"? Chi dovrebbe intendere?

Non sta a me ribattere o precisare. Questo sarà compito del professore Riggio se lo vorrà. Io mi limito a riportare Matteo 5, 20: "Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli". Quando la fede si affida al chiedere a Dio, come si fa quando gli si chiedono i miracoli o quando ci si spoglia delle nostre responsabilità, scaricandole su Lui, allora si è scribi e farisei e si perderà la gioia del regno dei cieli...ma anche di questa terra.

Dopo la sonata delle campane a "scunciuru", hai bisogno di altre risposte? Seo troppo intelligente per non capire che non sei tu quello che deve intendere. Ti potrei portare decine di episodi in diocesi avvenuti e che stanno avvenendo...mi limito solo a dirti che tante delle pratiche di pietà disseppellite in questi ultimi anni per me sono superstizioni: che le chiedano i fedeli, li rispetto, perché purtroppo questa è la loro fede, non la FEDE; che le proponga il clero è solo scandaloso.