Coronavirus, dopo le soluzioni per l'oggi non devono mancare quelle per il domani

Ritratto di Angelo Sciortino

24 Marzo 2020, 18:42 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

Versione stampabileInvia per email

Siamo arrivati alla crisi del coronavirus nel modo peggiore: un debito pubblico ai massimi e una crescita ai minimi. In queste condizioni non può escludersi che alla crisi dovuta alla epidemia segua un periodo di carestia, se le iniziative del governo dovessero essere ancora improntate alla superficialità, com'è accaduto finora. Che senso ha, infatti, spendere seicento milioni di euro per fare di Alitalia una proprietà dello Stato, quando si danno alle partite IVA soltanto seicento euro per aiutarle a superare la crisi dovuta al blocco delle vendite? Ma c'è di peggio con la decisione di aiutare il lavoro in nero. E che dire della proliferazione della burocrazia per decreto di questo governo, che prolifica più del virus, visto che in pochissimi giorni l'autocertificazione ha subito ben tre mutazioni? L'elenco potrebbe continuare ancora, ma lo risparmio ai lettori, soprattutto in considerazione che invece di criticare sarebbe opportuno proporre soluzioni. Anche perché un quadro del genere è preoccupante non soltanto per l'oggi, ma anche e soprattutto per il domani.

Sia chiaro che la mia preparazione non è forse sufficiente per suggerire soluzioni, per cui mi avvalgo di un esempio storico riferito a un momento in cui l'Italia, uscita sconfitta e distrutta dalla II Guerra Mondiale, ebbe la forza di risollevarsi e divenire in un solo decennio una potenza economica mondiale. Come fece? E quali furono le azioni dei governanti di allora?

Non posso non cominciare con una citazione di Luigi Einaudi. In occasione del messaggio al Parlamento dopo l’elezione al Colle, il 12 maggio 1948 espresse il rimpianto di “non poter più partecipare ai dibattiti, dai quali soltanto nasce la volontà comune; e di non poter più sentire la gioia, una delle più pure che un cuore umano possa provare, la gioia di essere costretti a poco a poco dalle argomentazioni altrui, a confessare a se stessi di avere, in tutto o in parte torto, ed accedere, facendola propria, all’opinione di uomini più saggi di noi”.

Insomma, allora non si fecero dichiarazioni notturne sui social e senza l'interlocutore principe in una democrazia, il Parlamento, come ha imparato a fare invece l'attuale Presidente del Consiglio. Questo perché egli non cerca “l'opinione dei più saggi”, ma quella dei burocrati, che gli scrivono i decreti, che neppure preparati avvocati riescono a interpretare, figuriamoci i cittadini. Invece nessuna decisione e nessun indirizzo per vincere i difetti italiani, diversamente da come si fece allora. Alla fine della dittatura Einaudi, partecipando attivamente ai lavori dell’Assemblea costituente, scongiurò l’eccessivo fiscalismo che sarebbe risultato pernicioso per la disastrata economia post-bellica, e fu considerato il “salvatore della lira”, poiché dietro la politica economica del Governo nella sua collegialità, operò la sua personale regia, mirante ad assicurare al Paese stabilità economica e monetaria, a supporto ineludibile anche di quella sociale. Aggiungeva poi, Tra le cause della disoccupazione, mise in evidenza il divieto dei licenziamenti e di mobilità interregionale, l’assunzione di dipendenti inutili nella Pubblica amministrazione “a scopo di carità verso i disoccupati”, il mantenimento di salari e di condizioni di lavoro privilegiate per quanti operavano all’interno di industrie protette, e così via. È giocoforza che per una simile politica occorreva anche un fisco più giusto ed egli diceva bene, quando scrivevaL’elusione di un Fisco rapace da parte del contribuente vessato, poteva addirittura costituire un’azione di legittima difesa”.

Se ci riflettete, oggi avviene tutto il contrario di quanto si fece allora, risollevando l'Italia. Oggi il fisco è più rapace che mai e ha quasi distrutto la classe media, quella dei commercianti e quella delle libere professioni; sulla scuola, allora ancora prodotto della riforma Gentile, stendo un velo pietoso; sulle altre differenze lascio la scelta a chi mi ha letto fino a qui.

Spero, servendomi di questi esempi storici, di aver fatto comprendere quali sarebbero le soluzioni più idonee per risolvere i problemi dell'Italia in questo particolare momento, ma soprattutto quelli che lo seguiranno. Temo però che la cialtroneria imperante nella classe politica e l'ignoranza di tanta parte del popolo rappresentano un pericoloso ostacolo.

Commenti

Tacito, a proposito di Vespasiano, in un capitolo del terzo libro degli Annali ne mette in evidenza la parsimonia, definendolo "uomo all’antica nel modo di mangiare e di vestire". E aggiunge: Con lui il rispetto verso l’imperatore e il desiderio di imitarlo ebbero più efficacia delle pene minacciate dalle leggi e della paura”.