Dialogare Amministrazione e popolazione

Ritratto di Angelo Sciortino

4 Dicembre 2020, 23:09 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Chi non ha vissuto gli anni '50, quando Cefalù viveva i primi passi verso un futuro fatto di crescita turistica, avviatosi con il Village Magique, trasformatosi poi in Club Mediterranée, o il Jolly Hotel, non potrà mai comprendere la tristezza che sento in questo momento per la scomparsa della più grande delle ricchezze possedute allora da Cefalù: il buonsenso della sua popolazione. Un buonsenso, che era insieme cultura ed educazione, rispetto per i doni della natura e della storia. A nessuno veniva in mente di deturpare una collina e il suo paesaggio naturale; a nessuno veniva voglia di rinunciare al suo lavoro di artigiano, perché in esso poteva esprimere la sua intelligenza e la sua fantasia e lasciava agli altri il desiderio del cosiddetto “posto” pubblico. Lo stesso lavoratore agricolo, e allora ce n'erano ancora tanti, faticava e grondava sudore, ma si sarebbe sentito come carcerato dentro un ufficio, lontano dal suo campo e dal suo mulo, che gli permetteva di spostarsi con poca fatica e lo aiutava a trasportare i pesi, frutto del suo lavoro, per accontentare la sua clientela.

Poi, piano piano, tutto cambiò. Lentamente, ma inesorabilmente, alla soddisfazione per tutto quello che rendeva serena e soddisfatta la sua vita si sostituì il desiderio di ricchezza; un desiderio così forte, che per soddisfarlo si cominciò a sacrificare tutto ciò che aveva fatto definire Cefalù la Perla del Tirreno. La crescita urbanistica verso ovest, lungo l'attuale via Roma, allora viale (sì, viale) Principe Umberto, si ritrovò monca del bene più grande per una città che si rispetti: una piazza; la sua stazione ferroviaria, in nome di una malintesa comodità, si è ridotta a un parcheggio sia nella sua piazza antistante e sia al suo interno, dove una volta rimanevano i vagoni merci per lo scarico; lo Spinito, poi, è cresciuto come un labirinto, anch'esso senza una piazza; le verdi pendici attorno appaiono come popolate delle più strane costruzioni. In una parola, non si è conservato nulla di quella Cefalù, che piacque ai primi turisti, anche se qualcuno riuscì a rimpinguare il proprio conto in Banca.

Ma non rimpiangiamo il passato, a condizione, però, che si smetta di ripetere gli stessi errori. Purtroppo, però, questi errori continuano, perché è peggiorata la nostra cultura ed è quasi scomparso il buonsenso e il buongusto. Ormai è quasi inutile cercare le facili ricchezze con l'imprenditoria edilizia e sarebbe opportuno far rinascere Cefalù dalle ceneri del suo passato. Ma non con le piante lungo le sue vie del centro storico e nemmeno con le più assurde panchine, perché il solo risultato di entrambe le cose è quello di renderla più brutta, ostacolando pure, nel contempo, persino il traffico pedonale. Cefalù potrà rinascere soltanto con un serio piano edilizio, che si dice in itinere, ma del quale non si sa nulla.

Allora, ecco qual è, a mio parere, il vero torto di questa Amministrazione: l'assenza di dialogo con la popolazione, se non al momento di farlo con le querele. E il dialogo manca, perché essa non ha un progetto chiaro del futuro di Cefalù. Si limita a gestire il contingente, decidendo sui piccoli problemi quotidiani, magari accontentando singole piccole esigenze, oppure ostacolando iniziative con decisioni frutto di una errata e imprudente interpretazione della legge, che viene regolarmente contestata e infine annullata da una sentenza. Così non si dà un futuro a Cefalù!

Si pensi, prima che alle panchine e ai vasi di fiori, al Piano di Utilizzo del Demanio Marittimo; si pensi a un regolamento urbanistico; si pensi a dotare il paese di parcheggi; si pensi a una o più piazze nella cosiddetta zona nuova della città; si pensi a creare una volta per tutte un mercato settimanale, fornendolo di quei servizi igienici, che attualmente mancano.

Ecco, di queste cose deve parlare un sindaco vero, ma non con comunicati o con dichiarazioni senza controparte, semmai con il dialogo e quindi ascoltando i cittadini, a meno che essi non siano considerati minus habentes, incapaci d'intendere e di volere, anche se in parte potrebbe essere vero, visto quali sono state le loro scelte elettorali. Ma solo in parte, per fortuna!

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