Ancora sui pianti e sul porto

ritratto di Angelo Sciortino

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Figlio mio, caro Dafni, ho ritardato a risponderti, perché in questo tempo, come tu sai, sono troppo impegnato. E' primavera, e mi tocca illuminare la Terra e gli uomini per più ore al giorno. Il tempo del riposo si fa più breve e a me riesce difficile mantenere un ritmo accettabile per ascoltare coloro che si rivolgono a me, come hai fatto tu.
Soltanto ora trovo questo tempo e nella mia stanzetta a Occidente la Luna Piena mi illumina questo foglio, sul quale sto scrivendoti. Che dirti, figlio mio? Di crucci me ne hai dati tanti, ma non perché avevi un cattivo carattere. Anzi, eri così buono, che non sapevi lasciare scontento nessuno, nemmeno le donne, dalle quali cercavi di stare lontano, ma con troppa gentilezza. Fu così che non sapesti rifiutare quel vino, che ti fece tradire inconsapevolmente tua moglie e fu causa delle tue disgrazie. Tentai di convincere Giunone della tua mancanza di dolo, ma fu irremovibile: volle accecarti. Stabilì pure che chiunque ti fosse stato vicino doveva fare la tua stessa fine: prima ubriacarsi e poi restare cieco, quantomeno metaforicamente.
A questo non pensai, quando ti trasformai in roccia in quella spiaggia che ti ospitava. Non pensai che tutti coloro che sarebbero vissuti nei secoli vicino a te, sarebbero stati amanti dell'alcool e ciechi. Non vedi quante birre e quanti liquori si consumano in quel paese sorto ai tuoi piedi, chiamato Cefalù? Cieco come sei ti è risparmiata la vista dei tanti giovani e anche di uomini maturi con la loro brava bottiglia in mano, mentre con passo incerto avanzano verso il nulla, ma ciechi del destino che si preparano. Come te si fanno male con l'alcool e come te sono ciechi. Come dio ho il dovere di aiutarli, anche se per aiutarli dovrò colpire te. Lo farò, anche se con gran dolore per l'affetto che ti porto. E anche se così facendo deluderò la preghiera di Saro Di Paola e le sue suppliche.
Quando sprofonderai tutto intero, come non ebbi la forza di fare quando sentivo il tuo pianto, non soffrirai più, perché, oltre a non vedere, non ascolterai più quelle che hai definito vacuità. E forse, quando non ci sarai più, questa maledizione del Fato, che vuole che chi ti sta vicino ripeta nella sua vita le tue tristi avventure, i tuoi dolori e le tue lacrime, finalmente tornerà a vivere da uomo. Tornerà a godere della simpatia e dell'aiuto di Prometeo, perché la smetterà di piangersi addosso come te.