Oreste, le Furie e il Procuratore Capo

ritratto di Angelo Sciortino

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Sono ormai venticinque secoli che interpretiamo la saggezza greca, per trovarvi le domande che val la pena di porsi per vivere da uomini e le risposte che furono date a queste domande. Noi non facciamo altro che aggiornare quelle riflessioni, per adeguarle al linguaggio contemporaneo e per trovarvi ciò che ci è necessario per continuare a vivere come esseri civili e animati da tensioni morali e culturali.
Se la nostra interpretazione sarà concettualmente sbagliata, allora corriamo il rischio di un regresso. Fatto, questo, pericolosissimo. Se poi a sbagliare interpretazione è qualcuno che gode di quella autorevolezza, che gli deriva dal potere che rappresenta, allora la pericolosità diventa drammatica; diventa tragica se la si comunica ai giovani.
Queste sono le riflessioni, che ho fatto quando, nella cronaca del Giornale di Sicilia su un incontro avente per tema il teatro antico come mezzo di promozione della legalità, ho letto, virgolettata, questa frase del procuratore di Palermo, dottor Messineo: “Oreste, una sorta di primo pentito della storia, che, sottraendosi alla legge tribale del clan degli Atridi, compie un passo verso la giustizia.”
Ho riletto la tragedia di Eschilo, ma non vi ho trovato alcun pentimento di Oreste. Vi ho trovato, semmai, altre cose che meritano la nostra riflessione.
Eschilo visse nel momento in cui la Grecia passava dalla barbarie alla civiltà, per cui le sue tragedie, e quella di Oreste in particolare, possono essere interpretate come delle vere e proprie opere morali e politiche, che dovevano dare agli Ateniesi, e ai Greci in generale, indicazioni precise su come organizzare politicamente le polis, per diventare società democratiche, i cui cittadini sarebbero stati soggetti soltanto alla legge.
Per sommi capi la trama della tragedia è la seguente: Oreste, che ha ucciso la propria madre, perché aveva ucciso, insieme al suo amante Egisto, il proprio marito Agamennone, padre dello stesso Oreste, viene inseguito dalle Erinni, le Furie vendicatrici dei Latini, e si rifugia nel tempio della dea Atena, dove esse non possono entrare, perché quello è il tempio della saggezza e in quanto tale è precluso a loro, che sono spinte non dalla ragione, ma dall'ira, dall'irrazionale. La loro sete di vendetta è però tale, che minacciano di morte i cittadini, se non consegneranno Oreste. Interviene la stessa Atena, che stabilisce di far processare Oreste e dà precise indicazioni per la scelta della giuria, che presiede ella stessa.
Si apre il processo con il dibattimento, in cui sia le Erinni accusatrici che l'imputato Oreste esprimono liberamente le loro ragioni. Infine la giuria vota, ma la votazione si conclude in parità. Soltanto il voto di Atena permette che prevalga la sentenza di assoluzione di Oreste.
Questa la trama. Vediamo che cosa se ne può ricavare. Eschilo dice chiaramente che Oreste non può essere ritenuto colpevole prima che gli sia stato celebrato un processo, in cui ha tutto il diritto di difendersi, e che comunque l'ultima decisione dev'essere ispirata a una saggezza superiore, divina, com'è quella di Atena.
A noi miseri mortali non è dato di avere a disposizione questa saggezza divina e dobbiamo accontentarci di una Corte di Cassazione o di una Corte Costituzionale. Nello stesso tempo non possiamo considerare un “pentito” Oreste che si difende, ma piuttosto le Erinni suoi accusatori come una sorta di Procuratori o Sostituti Procuratori che siano. E questo senza toglier a costoro il grande merito di investire le giurie del giudizio su cittadini sospettati di essere meritevoli della vendetta della società, che diviene giustizia nel momento in cui tali cittadini vengono giudicati secondo Legge.
Questo, secondo me, è il vero messaggio che dobbiamo comunicare ai giovani.