Contro il culto dell'imbecillità

ritratto di Angelo Sciortino

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“L'imbecillità è un difetto, e come tale va rispettato : chi ne è del tutto immune scagli la prima pietra. Ma il culto dell'imbecillità, no, non è semplicemente un difetto: è ben altro. Il culto dell'imbecillità è una malattia perniciosa, l'imbecillite; questa malattia ingenera un comportamento criminale, l'imbecillismo; questo comportamento sfocia nel più allucinante flagello, l'imbecillocrazia.
Questo morbo, questo crimine, questo flagello, costituiscono ad un tempo la base più profonda e la manifestazione più appariscente e tangibile della situazione catastrofica e intollerabile di disgregazione e sfacelo dell'intero nostro pseudoapparato statale. Ivi il culto dell'imbecillità ha assunto il ruolo di religione riconosciuta e indiscussa. Ivi è il trionfo dell'imbecillite acuta, dell'imbecillismo consolidato, dell'imbecillocrazia impudente. Lo Stato è soffocato, nel necessario sviluppo dei suoi compiti e della sua efficienza, da un'inestricabile farragine di residuati anacronistici, che ne appesantiscono e inceppano l'attività, condannandolo a progressiva paralisi: leggi e norme ispirate a concezioni antidiluviane, strutture istituzionali e procedure burocratiche cui è rigorosamente estraneo ogni criterio di funzionalità, mancanza di uffici che occorrerebbero e proliferazione di uffici ed enti inutili o dannosi, scarsezza di dipendenti negli uffici dove ci sarebbe da svolgere un lavoro proficuo e pletora dove è vero l'opposto.”
Anche se le condivido una per una, queste non sono parole mie, ma quelle con le quali nel 1965 Bruno de Finetti, matematico, logico e filosofo italiano del Novecento noto in tutto il mondo, iniziò il suo “Manifesto di battaglia contro il culto dell'imbecillità”. Alludeva, chiaramente, all'imbecillità di quella burocrazia statale, che riesce a trasformarsi in profondamente pericolosa, quando diviene attiva per il potere che le viene concesso senza lo straccio di un controllo politico. E per controllo politico non deve intendersi quello dei nostri beneamati rappresentanti, ma quello dei cittadini tutti.
Non che in passato, nella cosiddetta Prima Repubblica, sia stato grande questo controllo, ma gli effetti non erano ancora molto visibili, perché l'Italia viveva ancora sull'onda dell'entusiasmo della riconquistata libertà. I problemi si fecero più evidenti e quasi assillanti quando mutò il clima politico e lo Stato si trasformò in una specie di mamma caritatevole o in una mucca dalla quale suggere il latte, senza preoccuparsi che per produrre quel latte essa doveva mangiare. Oggi che la vacca è quasi improduttiva per il digiuno, burocrazia e classe politica annaspano e non sanno come saziare i vitellini. Promettono rivoluzioni e crescita, lunghi ponti e maggiore equità, ma non capiscono che stanno solamente guadagnando tempo e che a nulla è servito diffondere l'imbecillità in tutto il Paese con quei loro diabolici mass media e con la distruzione del sistema scolastico. Non è servito a nulla, perché la povertà e l'indigenza non si percepiscono soltanto con il cervello, ma anche con la pancia. Questa è la situazione dell'Italia di oggi e Cefalù ne rappresenta il modellino, con la sua burocrazia e la sua classe politica.
Dio ci salvi!