CRONACA DELLA RETROCESSIONE DEI LOCALI DEL COMPLESSO EX CONVENTUALE DI SAN DOMENICO ALLA CHIESA CEFALUDENSE

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Riceviamo dal dott. Rosario Ilardo il seguente documento:

Prendo spunto dai recenti resoconti giornalistici, che hanno fatto da corollario alla riapertura al pubblico culto della chiesa della SS. Trinità, per cercare di focalizzare i termini di una questione – la retrocessione dei locali del complesso ex conventuale di S. Domenico alla Chiesa cefaludense – i cui passaggi chiave sono, per la verità, ancora oggi, poco noti se non del tutto ignorati. E lo faccio con cognizione di causa, avendo vissuto in prima persona e in prima linea, non senza trepidazione – quale sindaco della Città prima (1970-73), come componente del Consiglio di Amministrazione della Rettoria del S. Domenico, nonché come Vicario del Rettore per i lavori di restauro e ristrutturazione del complesso monumentale dopo – quella che il Rettore, Mons. Crispino Valenziano ha definito, il 24 settembre c.a., un’”avventura”.
La vicenda, per sommi capi, ha avuto inizio in tempi a noi relativamente vicini, nella seconda metà del XIX secolo e trae origine dall’emanazione di due leggi, cosiddette eversive, la prima del 7 luglio 1866, n° 3036 con la quale si pervenne alla soppressione di tutte le corporazioni religiose (art. 1) ed alla contemporanea devoluzione dei loro beni al demanio dello Stato (art. 11), fatta eccezione per le chiese aperte all’uso pubblico del culto (art. 18), e la seconda la n° 5784 dell’11 agosto 1870 con cui venne chiarita, all’art. 4, la portata dell’art. 18 della prima legge, la n° 3036, comprendendo nell’esclusione dalla devoluzione al demanio dello Stato, oltre che le chiese aperte al pubblico culto, anche «gli edifici necessari ad uso di ufficio delle rispettive amministrazioni o di abitazione dei rettori, coadiuvatori, cappellani, custodi ed inservienti della chiesa, con limitazione alla parte strettamente necessaria». In testa ai Comuni, con tale ultima disposizione, poteva restare soltanto quella parte di fabbricato degli ex conventi che sopravanzava dopo il distacco della quota destinata all’Autorità ecclesiastica. Questo concetto venne successivamente confermato dalla legge 27.5.1929, n° 848, con la quale fu data esecuzione al Concordato con la Santa Sede – Patti Lateranensi – dell’11 febbraio 1929, nel quale all’art. 8 si faceva obbligo ai Comuni e alle Province cui erano stati concessi i fabbricati ex conventuali, soppressi con le leggi eversive, di retrocedere alla Chiesa i locali degli uffici e l’abitazione del Rettore.
In dipendenza di ciò, il vescovo del tempo Mons. Giovanni Pulvirenti (1922-1933), avanzò al Ministro di Grazia e Giustizia e degli Affari di Culto, cui a quel tempo era demandata la competenza in materia, apposite istanze per la retrocessione all’Autorità ecclesiastica della quota ad essa spettante sui fabbricati ex conventuali in possesso del Comune di Cefalù. La pratica si trascinò avanti per molti anni, senza giungere ad alcuna conclusione.

In questo iter, così complesso e tanto travagliato, si inserì, nel frattempo, un altro episodio che vide come protagonisti oltre al Comune e alla Chiesa di Cefalù, anche i Frati Minori Cappuccini della Provincia monastica del Val Demone. L’episodio si riferisce alla costruzione da parte del Comune di Cefalù, di un edificio scolastico per le scuole elementari, la cui area, scelta ed indicata come ottimale dall’apposita commissione, come da verbale del 10 febbraio 1951, andava a ricadere proprio su un terreno di proprietà dei Frati Minori Cappuccini del convento di Gibilmanna, con colture ortive e agrumicole e su cui sorgeva l’ospizio-infermeria posto tra il viale Principe Umberto (oggi via Roma), il viale Margherita (oggi via Aldo Moro) e l’attuale via Giglio. Il problema per ottenere la disponibilità dell’area, si presentava di difficile soluzione e senza via d’uscita, almeno in tempi brevi (nel frattempo, l’opera già finanziata con i fondi di cui all’art. 38 dello Statuto regionale, era stata appaltata). In tale occasione, il vescovo di allora, Mons. Emiliano Cagnoni (1934-1968), al fine di facilitare la costruzione dell’edificio scolastico, si dichiarò disponibile a trovare insieme una rapida soluzione e in tal senso si pervenne alla stipula di una convenzione che venne firmata il 24 giugno 1953 nei locali della Presidenza della Regione Siciliana dal vescovo, dal sindaco di Cefalù e dal rappresentante dei Cappuccini del convento di Gibilmanna, alla presenza dell’allora capo di Gabinetto dell’Assessorato regionale ai LL.PP.. La convenzione fu approvata dal Consiglio comunale di Cefalù nella seduta del 20 dicembre 1953. Con tale documento, al fine, fra l’altro, di consentire una coerente e adeguata sistemazione dei religiosi, costretti a lasciare i locali dell’ospizio-infermeria, nell’ex convento di S. Francesco e di favorire l’organizzazione, nel centro urbano, di una infermeria e casa di quiescenza, la Regione, il Comune e la Chiesa di Cefalù decisero di intervenire come appresso: 1) la Regione corrispose al convento l’importo dell’indennità di espropriazione e intervenne ulteriormente con la concessione di un contributo pari a Lire 10.000.000 per partecipare alle spese di riattamento dell’ex convento di S. Francesco; 2) il Comune di Cefalù cedette al convento di Gibilmanna l’intero fabbricato dell’ex convento di S. Francesco, in suo possesso, comprensivo sia della quota di spettanza della Chiesa di Cefalù, sia di quella propria, impegnandosi a soddisfare l’Autorità ecclesiastica della quota da essa ceduta, con la cessione di una equipollente parte dell’ex convento di S. Domenico; 3) il vescovo concesse – rectius rinuncia – la quota di spettanza dell’Autorità ecclesiastica sull’ex convento di S. Francesco, a condizione di venire rivalso o compensato dal Comune di altrettanta parte nei locali dell’ex convento di S. Domenico, e ciò non appena l’ex convento si fosse reso libero dalla Pretura e dal carcere.
Il Comune di Cefalù diede esecuzione agli impegni assunti con la suddetta convenzione, cedendo l’intero fabbricato dell’ex convento di S. Francesco al convento di Gibilmanna con atto in Notar Ignazio Cassata del 24.6.1961, registrato l’1.7.1961 al n° 8. Rimase da eseguire la parte della convenzione riguardante il punto 3 della stessa.
Nel frattempo, in questa lunga vicenda, i locali ex conventuali di S. Domenico, devoluti al Demanio dello Stato, furono concessi al Comune di Cefalù che, a sua volta, li aveva messi a disposizione del Ministero di Grazia e Giustizia per allogarvi la Pretura e le carceri mandamentali. Nel 1967, constatata la pericolosità del complesso ex conventuale di S. Domenico, «le cui condizioni strutturali si presentano ormai staticamente compromesse […] per cui allo stato l’intero edificio è instabile e di pregiudizio per la incolumità di chi voglia a qualsiasi titolo introdursi nei locali» (relazione dell’Ufficio Tecnico comunale), la Pretura fu trasferita in via provvisoria nei locali provinciali di Via Porpora, in attesa di venire definitivamente allogata nel costruendo Palazzo di Giustizia di via Cavour, così come successivamente venne pure trasferito il carcere mandamentale nel Comune di Termini Imerese.
In quello stesso lasso di tempo – siamo attorno agli anni ’50 del secolo scorso – il vescovo Cagnoni affidò la chiesa della SS. Trinità, assieme a tutti i locali posti a Mezzogiorno dell’edificio stesso (Oratorio del Rosario e Oratorio del Rosariello, annessi al convento di S. Domenico) agli Scout di Cefalù (ASCI prima, AGESCI dopo). Una risoluzione, questa, lungimirante e provvidenziale, attraverso cui fu possibile:
assicurare al movimento scoutistico lo svolgimento di tutte le attività finalizzate all’educazione ed alla formazione dei giovani;
porre fine ai reiterati furti ed agli atti vandalici consumati impunemente all’interno dei locali;
salvare dal degrado e dall’incuria la chiesa e i locali annessi, grazie ai gratuiti interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria intrapresi dagli Scout su tutte le principali strutture degli edifici (l’Oratorio del Rosariello venne ristrutturato, con il rifacimento di tutta la copertura e della pavimentazione e con la sua destinazione a palestra per i giovani);

riaprire al pubblico culto la chiesa della SS. Trinità con la costanza della celebrazione domenicale dell’Eucaristia ( a cura degli Assistenti ecclesiastici via via succedutisi), che chiamò a raccolta non solo i giovani Scout, ma anche la comunità ecclesiale della zona (Via Costa, cortile Rosariello, ecc.);
consentire al Sindaco, con la riapertura al pubblico culto della chiesa, – è questo l’aspetto “provvidenziale” dell’affidamento della chiesa della SS. Trinità agli Scout – di poter dare corso alla pratica della retrocessione, stante il preciso e lapidario disposto della legge secondo cui la retrocessione poteva essere consentita solo qualora la chiesa fosse risultata aperta all’uso pubblico del culto.

Nel 1968 il vescovo di Cefalù, Mons. Calogero Lauricella (1968-1974) con nota del 29 aprile n° 142/A diretta al Comune di Cefalù, essendosi verificata la condizione contemplata dal n° 3 della convenzione del 24.6.1953 (trasferimento della Pretura e delle carceri mandamentali fuori dei locali conventuali di S. Domenico), chiese la retrocessione della quota parte relativa alla rettoria della chiesa di S. Francesco

e quella concernente la rettoria della chiesa di S. Domenico, entrambe aperte all’uso pubblico di culto e dotate entrambe di personalità giuridica per espresso riconoscimento del Presidente della Repubblica, con i decreti, rispettivamente del 31.07.1962 e del 22.08.1969.
Successivamente la Prefettura di Palermo dietro sollecitazioni del vescovo rivolte al Ministero degli Interni, nel frattempo divenuto competente per materia, indirizzò al Comune di Cefalù diverse note per la ripresa e la trattazione della pratica. Consapevole della delicatezza dell’argomento e, al contempo, della necessità di dover trovare, quanto prima, una soluzione equa e definitiva al problema, con la solerte ed intelligente collaborazione dell’assessore al Patrimonio, Dr. Salvatore Li Vecchi, procedetti alla costituzione di una commissione di studio, nelle persone di 8 consiglieri in rappresentanza di tutti i gruppi e partiti politici presenti in seno al Consiglio comunale (D.C., D.C. dissidente, P.S.I., P.S.D.I., P.C.I., P.R.I., M.S.I., P.S.U.P.) e affidai al ch.mo prof. Gaetano Catalano, ordinario di diritto ecclesiastico presso l’Università degli Studi di Palermo, l’incarico di fornire alla civica Amministrazione un parere pro veritate circa gli obblighi dell’Ente in tale materia. Secondo il docente sussisteva l’obbligo da parte del Comune di dare esecuzione alla convenzione del 24.6.1953 per la rettoria di S. Francesco e per la rettoria di S. Domenico al disposto della legge 1929 n° 848, riconoscendo all’Autorità ecclesiastica il duplice diritto per le due quote di retrocessione nell’ambito dei locali conventuali di S. Domenico. Suggerì, inoltre, la eventualità di pervenire ad un accordo fra le parti per la determinazione del quantum da retrocedere. Presi contatti, a tal fine, col vescovo Lauricella, giudicai eccessive le sue richieste, dal momento che queste si sarebbero dovute mantenere nell’indispensabile e dichiarai, a nome del Comune, onde evitare comunioni di beni e il frazionamento dei locali, che non avrebbero giovato né al Comune, né alla Chiesa di essere disponibile, a cedere l’intero complesso del S. Domenico a condizione che l’Autorità ecclesiastica rinunciasse ad ogni pretesa sui fabbricati dell’ex convento dell’Itria, siti in piazza F. Crispi. Il vescovo di Cefalù accettò la proposta, ritenendola, alla fine, una soluzione equilibrata.
In tale direzione, con due distinte deliberazioni del Consiglio comunale, la n°. 236 e la n° 237, entrambe del 20 luglio 1972, si provvide alla retrocessione al Fondo per il culto e, per esso, all’Autorità ecclesiastica di Cefalù, di tutti i locali ex conventuali di S. Domenico in possesso del Comune, condizionando la retrocessione stessa alla espressa rinuncia da parte della Chiesa cefaludense ad ogni diritto sui locali dell’ex convento dell’Itria.

Il relativo documento di accettazione della retrocessione dei suddetti locali al Fondo per il Culto da parte del Comune di Cefalù con il contestuale trasferimento in proprietà all’Autorità ecclesiastica, in persona dell’Ordinario diocesano di Cefalù del tempo, Mons. Salvatore Cassisa (1974-1976), venne sottoscritto nei locali dell’Intendenza di Finanza di Palermo il 18 dicembre 1974). La consegna dei locali ex monastici di S. Domenico avvenne in data 10 ottobre 1975 come da verbale di consegna di pari data, redatto nella sede dell’Ufficio del Registro di Cefalù, sottoscritto dall’Ordinario diocesano, dal Sindaco di Cefalù e dal Direttore dell’Ufficio del Registro.
Fu così che dopo due anni di vivace e intensa attività giuridico-amministrativa, di proficue e costanti interrelazioni con i diversi gruppi consiliari, con l’Ordinario diocesano, con i funzionari del Ministero delle Finanze, del Ministero dell’Interno, del Fondo per il Culto e della Prefettura di Palermo, a capo di una Amministrazione di centro-sinistra composta da un gruppo di democristiani dissidenti, socialisti, socialdemocratici e repubblicani, appoggiata dall’esterno dai consiglieri del P.C.I. e del P.S.U.P., ho potuto mettere fine ad un secolo di contestazioni, controversie e incomprensioni tra la civica Amministrazione e la Chiesa di Cefalù, instaurando fra le due Istituzioni un clima di fruttuosa convivenza e di fattiva collaborazione.
È stato grazie, anche, a questa complessa serie di “avventurosi” passaggi, che, dopo 30 anni dagli ultimi provvidenziali rintocchi della campana della SS. Trinità per mano degli Scout, il nuovo vescovo della Chiesa cefaludense, Mons. Vincenzo Manzella, rompendo ogni indugio, il dì 24 settembre c.a., ha potuto ri-salire il campanile e ri-suonare a festa la campana della SS.Trinità, riaprendo al pubblico culto la “nuova chiesa”, che, restaurata, definita e riformata liturgicamente, sembra destinata a riprendere un luminoso cammino di fede e di speranza.

Rosario Ilardo