Sovranità popolare e Carta Costituzionale

ritratto di Giuseppe Riggio

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Sovranità popolare e Carta Costituzionale
( A costo di ripeterci, ragioniamo per capire)
Tutti i giorni ascoltiamo lezioni di democrazia, ma se non sapessimo già cos’è resteremmo alquanto disorientati: la sovranità è del popolo, ma chi lo afferma si esprime in prima persona, come se la detenesse in esclusiva; la democrazia rispetta le minoranze, ma chi detiene il potere, per avere mano libera, dichiara di essere stato eletto da tutti gli italiani, quindi non accetta che ci sia la minoranza; in democrazia da oltre due secoli i poteri sono bilanciati ed indipendenti, e non è scritto da nessuna parte che tutti e tre i poteri (legislativo – giudiziario - esecutivo) debbano essere eletti direttamente dal popolo sovrano, cosa che invece avviene solo per quello legislativo; ma c’è chi afferma che il potere legislativo, proprio per l’investitura popolare, è il più alto… perché fa le leggi dello Stato e, a determinate condizioni, può modificare anche la Costituzione. Affermazione di principio che non ha riscontro costituzionale: una eventuale riforma in tal senso dovrebbe fare i conti proprio con la sovranità popolare, che certamente non permetterà mai che senza Organi di controllo si legiferi in base ad una interpretazione estemporanea e di comodo della Carta Costituzionale. Pretendere un potere incontrollato significa non avere la benché minima idea di cosa debba essere una democrazia.
Il popolo italiano ha esercitato direttamente, per autorità propria, la sovranità solo due volte: quando ha scelto la Repubblica e quando ha eletto l’Assemblea costituente, significando con ciò che affidava ai padri costituendi l’elaborazione della Carta Costituzionale, che avrebbe affermato e proclamato la sua sovranità, ma avrebbe nello stesso tempo fissato le regole dell’esercizio di tale sovranità, che in definitiva si sostanzia nella partecipazione effettiva all’organizzazione economica, sociale e politica dello Stato. E’ sempre la Costituzione a definire l’ordinamento dello Stato, distinguendovi e definendo i tre poteri, senza mai pronunciarsi sulla superiorità di uno sull’altro, ma attribuendo loro specifiche funzioni e poteri, non ultimo quello di controllarsi a vicenda. Tutte le volte che oggi il popolo esercita la sovranità, e cioè a dire quando vota per eleggere chi eserciterà il potere legislativo o per abrogare una legge ( o parte di essa), lo fa in forza della Costituzione; e quando il Parlamento approva una legge non lo fa in forza del voto popolare, ma in forza del potere che gli riconosce la Costituzione. Il voto popolare serve solo ad indicare quali persone possono svolgere la funzione attribuita al Parlamento dalla Costituzione.
La stessa Legge elettorale (l’ultima è stata definita una porcata, perché ha dimezzato la sovranità popolare impedendole di scegliersi i candidati, che invece vengono designati e nominati dalle Segreterie dei Partiti, ubbidendo ad interessi corporativi, ideologici e territoriali, che non hanno nulla a che fare con la sovranità popolare, ma sono appannaggio di quei politici che considerano lo scranno parlamentare eredità testamentaria!) regolamenta il voto del popolo sovrano, perché la Costituzione dà al Parlamento il potere di legiferare in questa materia. E se la Legge elettorale prevede che gli elettori possono indicare sulla scheda il nominativo del futuro primo ministro, questi, per poterlo essere, avrà sempre bisogno dell’incarico da parte del Presidente della Repubblica e della fiducia del Parlamento. I cittadini di fatto eleggono il parlamentare e nello stesso tempo lo indicano al Presidente della Repubblica perché su di lui indirizzi la scelta; ed è normale che il Presidente rispetti l’indicazione degli lettori, ma lo fa dopo avere verificato se c’è realmente una maggioranza parlamentare che gli dà la fiducia. Se per un accidente qualunque, vedi il caso d’ineleggibilità o anche il semplice improvviso impedimento personale, la persona indicata dagli elettori non potesse ricevere l’incarico o vi rinunziasse, il popolo non tornerebbe a votare; ma l’incarico verrebbe dato ad altro parlamentare, o addirittura ad un non parlamentare, che trovasse una maggioranza in Parlamento. Perché questo prevede la Carta Costituzionale, ed è già successo. E così sarà fino a quando la nostra Repubblica da parlamentare non diverrà presidenziale.
Che la nostra Costituzione vada modificata l’aveva già capito Giorgio la Pira nel 1965, quando erano ormai fin troppo evidenti i mutamenti sociali, politici, economici e culturali rispetto all’immediato dopo guerra. Quello spirito profetico, consapevole che chi detiene il potere possa avallare la cristallizzazione delle istituzioni, parlava di Costituzione ‘semper reformanda’, per non ingabbiare le trasformazioni che già si annunziavano, anche se non se ne prevedeva la repentinità, la velocità, la complessità e la globalità. Oggi è quanto mai appropriata la classica metafora del ‘vino nuovo nell’otre vecchio’, che causa disagio tra i cittadini ed improvvisazioni e stravaganze tra gli addetti ai lavori. Ma attenzione, la Costituzione non può essere cambiata solo da una maggioranza parlamentare, tale solo in forza della legge elettorale ‘porcata’, ma sproporzionata rispetto alla maggioranza reale venuta fuori dalle urne; che pretende d’imporre la propria visione dello Stato all’altra metà della popolazione! La posta in gioco è troppo alta! E’ necessaria una vera e propria Assemblea Costituente, formata da parlamentari e da rappresentanti di altre Istituzioni, da ‘laici’, proprio per evitare che i soli parlamentari finiscano per essere condizionati da interessi di partito e da aspettative di futuro potere, dando l’impressione di avere cambiato tutto senza di fatto avere cambiato niente, ma insinuandoci l’idea di ridicole svolte epocali. Giuseppe Riggio.

ritratto di Pino Lo Presti

Grazie, professore

C'è bisogno di lucidità

ritratto di Angelo Sciortino

La Legge come limite

Caro Professore, non è casuale che nel titolo abbia scritto Legge con la maiuscola. Da alcuni decenni, infatti, si ritiene che qualsiasi prescrizione giuridica, purché approvata dal Parlamento o dai Parlamentini regionali, sia legge, come purtroppo insegnano persino alcuni docenti universitari.
Ma non si tratta di leggi, molto spesso, ma di norme amministrative, delle quali si serve l'Esecutivo per governare.
La Legge, invece, è ben altra cosa. Nel nostro caso è la nostra Costituzione, semper emendanda, come Lei ha ricordato, ma secondo regole ben precise, per evitare che una norma amministrativa calpesti un diritto inviolabile del cittadino, di qualsiasi cittadino. Guai se non fosse così: si cadrebbe nella vituperata "dittatura della maggioranza", che preoccupò tanto Tocqueville. Si finirebbe in una sorta di populismo sudamericano - alla Peron - con buona pace della libertà e della democrazia vera, che è tale soltanto se accompagnata dall'aggettivo liberale.
Per il resto condivido le sue osservazioni e, in particolare, quella sulla legge elettorale "porcata". "Porcata" perché illiberale e offensiva per la nostra dignità.
Continui a scrivere, perché misurarsi su problemi veri è sempre edificante. E perché, come diceva il saggio tedesco, il valore di un uomo si riconosce dalle mete alle quali tende e non da quelle che ha raggiunto.
Cordialmente, Angelo Sciortino

ritratto di Giovanni Marino

Legge...porcata

Perchè nessuno dei nostri politici ha pensato ad un referendum abrogativo per abolire l'attuale legge elettorale?
Che forse ...sotto sotto..questa "porcata" che abolisce di fatto e mortifica la cosidetta "sovranità popolare" non piaccia anche all'opposizione ?

Giovanni Marino