Studenti in sciopero ..... ma gli sprechi ?? (ecco un piccolo elenco)

ritratto di Giusi Farinella

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I 55 mila euro per studiare un “approccio multidisciplinare” in grado di assicurare la conservazione dell’asino dell’Amiata,
le 320 sedi distaccate nelle località più disparate (da Ozzano nell’Emilia a Priolo Gargallo, appena dodicimila abitanti),
i corsi di laurea con un solo studente (37),
le facoltà con meno di 15 iscritti (327).
Un lungo elenco per dimostrare sempre la stessa tesi di fondo: “affermare che l’Italia spende poco per l’università è falso”, ma che il problema semmai è la qualità della spesa, che ha alimentato nel corso degli anni “sprechi e privilegi non più sostenibili”.
Dopo le proteste dei giorni scorsi e alla ripresa dell’esame parlamentare del ddl Gelmini, il ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca stila la black list degli sperperi atenei italiani, caratterizzati da una ricerca spesso “sempre più autoreferenziale”, che ha perso di vista “gli interessi strategici e le necessità di sviluppo e di crescita del Paese”.
E via con l’inventario delle bizzarrie, come il corso di laurea in Scienze dell’allevamento e del benessere del cane e del gatto (attivato a Bari) o in Scienza e tecnologia del Packaging (a Parma).
Un record che assegna all’Italia il primato per il numero di insegnamenti (5.500 contro la metà del resto d’Europa) e per materie insegnate (circa 170 mila contro una media continentale di 90 mila).
Come conseguenza, cattedre e posti per professori sono raddoppiati in meno di un decennio i corsi sono raddoppiati (nel 2001 erano 2.444), peraltro senza tener conto spesso delle reali esigenze degli studenti.