Pubblicata, per la prima volta, una Tragedia ritovata di un poeta cefaludese del '700

ritratto di Fondazione Mandralisca

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Il prossimo 8 gennaio 2010, alle ore 17:30 presso la sala conferenze della Fondazione Mandralisca, si svolgerà la presentazione della prima edizione critica, curata dal dott. Ignazio Castiglia, nostro concittadino e acuto studioso di Letteratura Italiana, di una tragedia, Aristodemo ossia la morte di Dirce, composta da un poco noto autore cefaludese del Settecento: Michele D’anna. Alla presentazione del volume interverranno, oltre al curatore dell’opera, l’editore, Salvatore Marsala e il prof. Carmelo speciale, docente di letteratura Italiana presso l’Università degli Studi di Palermo.
L’ottimo lavoro svolto da Ignazio Castiglia ha un duplice pregio. Da un lato egli riscopre l’opera di un poeta vissuto tra la fine del Settecento e i primissimi anni dell’Ottocento che, se bene misconosciuta già ai suoi contemporanei, presenta un notevole valore letterario.
Dall’altro egli risveglia, nell’ambito della memoria storica cefaludese, troppo spesso obnubilata, la figura di un suo illustre concittadino del passato che ha rinunciato ad una facile popolarità e ad una sicura carriera artistica per non sottostare al ‘servo encomio’ nei confronti del tirannico potere borbonico e non aggiungere il proprio nome all’elenco degli adulatori di regime. Come sostiene, pertanto, il curatore dell’opera siamo convinti che la riscoperta figura di Michele D’Anna “sia, ancora oggi, di grande attualità perché in grado di parlare con immutato vigore a tutti gli uomini amanti della pace e della giustizia sociale e solleciti al bene comune”.

Riportiamo, di seguito una breve nota biografica del curatore dell’opera e la presentazione del volume:

Ignazio Castiglia, cefaludese, è dottore di ricerca in Italianistica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo. Ha publicato articoli su Rospigliosi, D’Anna e Verga e si è particolarmente occupato di drammaturgia italiana sei – settecentesca. Sta, inoltre, per pubblicare una monografia su Giulio Rospigliosi intitolata I teatri del Paradiso. Giulio Rospigliosi e il melodramma romano barocco e un’edizione commentata della tragedia Il Pellegrino di Tommaso Aversa.

UN POETA RITROVATO: MICHELE D’ANNA (1760-1810)

di Ignazio Castiglia

«Quale ho fatta nel mondo e nella patria mia importante figura perché io di me medesimo scriva, come altri famoso e di chiaro nome fece già di se stesso?... E chi peraltro lo scritto mio, io ancora vivendo o dopo la morte mia, vorrà leggere, fuorché taluno de’ pochi caldi amici e sinceri ch’io mi avessi? Piangano pure allor qualche lacrima, e l’amico compiangano, negli anni suoi sventurato». Con queste parole lo «sventurato» poeta cefalutano Michele D’Anna, dopo aver faticosamente e inutilmente cercato di dare alle stampe qualcuno dei suoi numerosissimi scritti, giunto ormai alla fine della vita, prendeva atto con vivo rammarico dell’impossibilità di conseguire dalla sua produzione letteraria quella gloria, quel pubblico riconoscimento a cui avrebbe avuto diritto. La sua stessa città natale non ha saputo in alcun modo serbarne il ricordo, e il suo nome è stato per lungo tempo relegato a una mole non indifferente di manoscritti inediti custoditi dalla Fondazione Mandralisca. Un primo tributo all’opera di D’Anna giunge tuttavia in questi giorni, in occasione del bicentenario della sua scomparsa, dalla pubblicazione per le Editore Salvatore Marsala di un volume contenente l’edizione critica della sua tragedia Aristodemo ossia La morte di Dirce preceduta da un saggio su Michele D’Anna e il teatro tragico in Sicilia tra Sette e Ottocento – volume che verrà presentato il prossimo 8 gennaio alle ore 17:30 presso la Sala conferenze del Museo Mandralisca.
Nato intorno al 1760 nella cittadina normanna e morto nel 1810 a Palermo, D’Anna fu autore di sonetti, favole in versi, satire, tragedie e traduzioni da Orazio, Boileau-Despréaux e Chateaubriand, tutti lavori nei quali si riflettevano le diverse sollecitazioni cui la cultura siciliana tra Sette e Ottocento era sottoposta, dal gusto arcadico dei componimenti giovanili all’adesione alle poetiche neoclassiche e preromantiche delle opere drammatiche e delle ultime liriche. Fu inoltre eminente funzionario pubblico in qualità di segretario della Deputazione del Regno di Sicilia negli anni della permanenza della corte borbonica nell’isola a seguito dell’occupazione napoleonica del Mezzogiorno. A differenza però di buona parte del mondo intellettuale panormita, che si prosternava senza pudore innanzi al sovrano in cerca di prebende e uffici, egli, sensibile agli ideali umanitari e libertari figli dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese, denunciò nelle sue opere, soprattutto nelle tragedie, la natura sanguinaria e feroce di quel potere e il degrado morale da cui erano pervasi la nobiltà e il clero. Così, se nell’Aristodemo rappresentò la vicenda di un nobile tanto ambizioso da consentire con animo risoluto all’eccidio sull’altare della sua stessa figlia pur di ottenere, col sostegno di una classe sacerdotale corrotta, il trono, nell’Andreasso metteva in scena la vicenda di un re di Napoli dispotico e disumano, rendendo l’allusione al regime borbonico di un’evidenza lampante. E nel successivo Giugurta, incentrando il dramma sulla corruzione messa in atto dal re numida nei confronti dei senatori romani e sugli incitamenti del tribuno Memmio al popolo a reagire alle malversazioni e ai soprusi compiuti dai patrizi, l’autore manifestava la propria adesione di fondo alle istanze riformatrici provenienti d’Oltralpe e il grave disagio in cui dovette trovarsi di fronte a una realtà politica come quella siciliana, dominata da un’aristocrazia iniqua e indifferente alle sorti comuni. Egli non abbracciò mai, tuttavia, una prospettiva autenticamente rivoluzionaria, ma professò piuttosto un liberalismo moderato di stampo girondino, aperto alla speranza di un riscatto e di un coinvolgimento delle classi popolari in un processo politico di rinnovamento sociale.
La mancata popolarità di D’Anna si può allora ragionevolmente attribuire – egli stesso ne era persuaso – alla sua diversità rispetto ai letterati coevi, alla sua ostinata volontà d’indipendenza morale e politica, alla sua incapacità di farsi sedurre dalle lusinghe del potere. Dei componimenti servilmente proni ai potenti di turno e smaccatamente celebrativi della classe dirigente avrebbero potuto agevolmente aprirgli la via del successo, ma egli preferì percorrere sentieri più impervi e scomodi tenendosi discosto dalla vile turba degli adulatori.
Impietoso atto d’accusa contro le mostruosità e gli orrori del regime borbonico come di ogni potere che si fa crudo strumento d’oppressione calpestando i più elementari diritti umani, l’opera di D’Anna risulta dunque ancora oggi di grande attualità ed è in grado di parlare con immutato vigore a tutti gli uomini amanti della pace e della giustizia sociale e solleciti del bene comune.