L’invasività pubblicitaria ce l'ha consigliata il medico?

ritratto di Pino Lo Presti

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Se nò, si può fare qualcosa per difendersi almeno da quella telefonica e cartacea?

Tutta la considerazione per quei ragazzi che lavorano, come distributori, nelle strade e, come telefonisti, nei col-center; il problema certo non sono loro.

Il problema è che si è creata confusione su un Princìpio: “se voglio qualcosa sono io che mi muovo” (cioè sarà mia cura “agire” in qualche modo la mia volontà).

Oggi, nell’epoca “dei servizi”, non è più così; vengono a casa tua a sollecitare il tuo volere-qualcosa (un qualcosa che non hai manifestato di aver desiderato).

La disposizione a concedere di venir “sollecitati” si è manifestata trionfante - come fenomeno sociale - nell’accettazione della pubblicità televisiva in cambio di prodotti culturali commerciali, ai primi degli anni '90 (vi fu un referendum).
Questi, a loro volta, inducono ad un maggiore consumismo.

Un pericoloso giro vizioso.
La dipendenza dalla pubblicità di tutto un popolo è il sogno del manager di grido: un asino che gira la mola, inseguendo una sempre nuova “fava”, produce energia, valore, potere, da maneggiare.

Questa continua sollecitazione a consumare prodotti e servizi, al di là dei suoi portati ideologici, resta, credo, comunque fastidiosa per molti.

Sentirsi chiamare al telefono, mentre si è a pranzo o a cena o presi da altri fatti propri, da un Claudio, una Francesca, una Simona - che non si conosce - che ci sollecita, in perfetto stile “sirena”, a migliorare la nostra vita in qualche modo e con minore spesa;

oppure trovare la posta - che attendiamo - tutta costretta, malridotta, tra fasci di stampa “informativa”, sono cose per le quali penso si abbia ancora il diritto di provare fastidio.

“A casa mia” - sono sicuro - molti ritengono debbano “entrare” solo le Autorità, gli Enti pubblici che ne hanno titolo e, dei privati, solo quelli con cui “si vuole” avere rapporto.

Non vi è oggi è il reato di stolking? Dovrebbe essere esteso alle forme di pubblicità a domicilio non espressamente richiesta!

E, poi non è quella “cassetta” la “cassetta della Posta? E normale che uno passi e, approfittando di quella lecita forma di ricettività, vi si inserisca "abusivamente" con serie di “informazioni” scritte e visive sulle proprie prestazioni e agli eventuali sconti sul loro prezzo; e in quantità e volumi tali da impedire persino, in alcuni casi, all’atteso postino di fare il suo dovere?

Ritengo che alla “informazione” commerciale “non sia lecito” entrare nei luoghi delle privacy se non in forza di una volontario esplicito atto di volontà da parte del privato stesso (com’è per esempio nel caso del telecomando).
Essa inoltre non dovrebbe usufruire, da parte delle Poste, di tariffe agevolate come per la stampa sociale: associazioni morali o politiche.

Se non si stabilisce una soglia, oltre la quale c’è poi la propria “casa", continuando di questo passo, ci si potrebbe trovare pericolosamente (nell’abbandono alla beata idea che tanti, attorno a noi, pensano e lavorano al “nostro servizio" e ”per il nostro bene) a scoprirci così giorno non più capaci di intendere e di volere autonomamente.

Non da fastidio che te la infilino pure sotto la porta, in ogni fessura possibile del tuo mondo?