La coerenza politica

ritratto di Nicola Pizzillo

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Costituisce ancora un valore oggi (anno domini 2010) professare le proprie idee sempre e soltanto in un dato schieramento politico, caratterizzato da precisi orientamenti ideologici, che sfociano in conseguenti stesure programmatiche e opportune alleanze realizzate tra forze omogenee, al fine di poter vincere la competizione elettorale?
In passato, senza ombra di dubbio, potrei rispondere che colui il quale apparteneva a un partito e successivamente, magari dopo molti anni di onorata militanza, si iscriveva a un altro partito era poi punito dagli elettori che sovente lo additavano di essere un “trasformista” e un “opportunista”, che per finalità di affermazione personale ripudiava il proprio passato ed i propri compagni di partito, a maggior ragione se poi il nuovo movimento era situato nell’opposto schieramento di alleanze (ad es. dal PCI al PLI).
Oggi non potrei più essere sicuro che l’opinione pubblica sia così intransigente verso i “transfughi” al punto da punirli ed emarginarli dalla vita politica locale o nazionale, anzi non è raro il caso che questi elementi vengano accolti dall’altro schieramento a braccia aperte, incentivando il loro passaggio offrendogli ponti d’oro (vedi Capezzone dai Radicali al PDL, Adornato o Bondi dal PCI al Forza Italia, Mastella dal UDEUR al PDL, Follini dall’ UDC al PD) ma quello che stupisce di più è che l’elettorato di riferimento li vota tranquillamente come se fossero stati dei loro da sempre.
Le cause di tale mutamento culturale sono diverse ma, pur non essendo sociologi, è facile riconoscerle: in primis il fatto che l’elettorato non è più ideologizzato come in passato, il crollo del muro di Berlino ha aperto le porte alla formazione di partiti leggeri, molto meno organizzati, con scarsa o assente del tutto vita partecipativa degli iscritti, insomma dei meri movimenti elettorali che si risvegliano solo in occasione di votazioni politiche per preparare liste e fare campagna elettorale. In questi partiti non vi è più alcuna dialettica tra gli iscritti, essi a volte non si conoscono nemmeno all’interno della stessa sezione, per il semplice fatto che o non ci si riunisce o perché mancano proprio i luoghi fisici dove riunirsi. L’elaborazione del pensiero politico avviene tra le alte sfere del partito e diramata ai propri militanti tramite i mass media (tv, giornali, radio, internet) oppure in maxi congressi detti convention, dove i big espongono il verbo a una vastissima platea di simpatizzanti con i quali è quasi impossibile intavolare un qualsiasi serio contraddittorio. Siamo quindi ai partiti-format, dei contenitori preconfezionati da prendere e votare così come sono, nei quali il militante è solo sfruttato come manovalanza cerca voti o attacca manifesti ma che non ha alcun potere di incidere nella vita del proprio partito, addirittura nel PD gli iscritti non eleggono il segretario ma lo propongono ai simpatizzanti non iscritti che fanno poi le primarie mentre nel PDL non c’è nemmeno questo momento democratico, in quanto il leader non viene neanche eletto ma come nelle monarchie assolute riceve l’investitura direttamente a divinis e poi osannato pubblicamente.
In questo nuovo universo politico chi cambia casacca non è nemmeno notato, se non magari perché un giornalista scrive un pezzo su di lui, anzi, il fatto di lasciare magari degli incarichi nel partito viene gradito da altri che ambiscono a ricoprire quel posto che garantisce un po’ di visibilità, sì perché oggi se non compari in tv o in altri mezzi d’informazione non sei nessuno e non fai carriera politica.
La nostra vita è inoltre imperniata sul cosiddetto relativismo morale, che anche la Chiesa cattolica ha criticato (vedesi enciclica papale Gaudium et spes), ovvero sull’adozione di regole di condotta imperniate sui bisogni di un gruppo sociale o di un individuo e non su principi assoluti quali potrebbe essere la fede in Dio, papa Ratzinger arriva addirittura a parlare di dittatura del relativismo che “non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. In un clima come questo la coerenza, nella fattispecie politica, che potrebbe costituire un valore assoluto, diventa invece un impedimento al raggiungimento di altri obiettivi personali o del proprio gruppo politico, merita di essere quindi messa da parte, sacrificata, anzi coloro che continuano a praticarla diventano anacronistici e finiscono addirittura per passare per stupidi, in quanto non adeguano il proprio agire ai continui mutamenti che lo scenario politico propone.
Per tornare alle nostre beghe paesane si potrebbe dire che l’incoerenza di un sindaco che prima fa un’alleanza con alcuni partiti, poi cambia addirittura lui il suo partito passando dall’UDC al MPA, finendo per allearsi con uno dei partiti che aveva osteggiato e sconfitto in campagna elettorale (il PDL) dove addirittura attinge per scegliere due suoi assessori e il vice-sindaco, passa per essere una grande manovra politica d’indubbio successo anche nell’opinione pubblica, mentre l’essere rimasti sempre fedeli alle proprie convinzioni e posizioni come il PD, passa per una sconfitta politica o incapacità a gestire il partito.
In quest’occasione si è tornato al relativismo di Machiavelli de “il fine giustifica i mezzi”, ne prendiamo atto, servirà in future campagne elettorali laddove il confronto a questo punto non si farà più sui programmi, spesso fotocopia, ma su modelli valoriali del rispetto del mandato ricevuto dagli elettori (governare o fare opposizione), contro quello dell’azione spregiudicata alla conquista del potere e del suo mantenimento ad ogni costo, nel quale l'elettore rappresenta solo un oggetto da asservire allo scopo, all'occorrenza anche raggirandolo.