Mistagogia Pasquale

ritratto di Giuseppe Riggio

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MISTAGOGIA PASQUALE

A conclusione di questa Settimana Santa celebriamo il Triduo Pasquale immergendoci nel mistero-sacramento della Cena del Signore, che di per sé già esaurisce quello della Sua Morte (Venerdì) e della Sua Risurrezione (Domenica).
La celebrazione liturgica del Mistero cristiano ha un valore sostanzialmente diverso dalle manifestazioni commemorative di avvenimenti del passato, perché essa non cerca tanto di ricordare l’oggetto della celebrazione per riproporne i valori, ma presume e di fatto rende presente il mistero che celebra. Perciò chi partecipa al Mistero entra effettivamente in contatto spirituale e fisico con il Divino e ne fa esperienza, viene penetrato dallo Spirito che lo santifica.
Ciò non avviene soltanto nella Liturgia Pasquale, ma tutte le volte che si celebra l’Eucaristia e tutti gli altri Sacramenti, che preparano ad essa o da essa derivano.
Perché tale realtà misterica venga percepita e diventi consapevolezza individuale e comunitaria, è necessario che valutiamo i sacramenti non come ‘oggetti’ che si ricevono, ma come ‘azioni sacre’ che la Comunità santa celebra nell’unità dei partecipanti, a loro volta santi, grazie al sigillo dello Spirito (il carattere), che nel Battesimo ci ha sradicati per sempre da Adamo peccatore e ci ha trapiantati nella realtà soprannaturale di Cristo Signore.
Non è la santità morale dell’osservanza dei dieci comandamenti, ma la santità ontologica per essere diventati nuove creature, che vivono di fede, speranza e carità, recuperando in quest’ultima la Legge mosaica che ci ricorda sempre la nostra fragilità umana, ma che tutt’al più può impolverarci i piedi, come dice Gesù a Pietro, perché avendo fatto il bagno, siamo mondi.
Ci hanno sempre insegnato che siamo pieni di peccato, raramente ci hanno detto che siamo pieni di grazia. E ciò perché il peccato non è una bazzecola che commettiamo tutti i giorni, ma è una cosa seria, se è vero che per commetterne uno degno di quel nome, il Catechismo prevede il verificarsi di tre condizioni: che la materia sia grave, che ci sia la piena consapevolezza di compiere il male, che ci sia la piena volontà di offendere Dio. Ma soprattutto perché lo Spirito che è in noi veramente ci fa vivere costantemente nella grazia del Signore.
Domani Giovedì Santo, l’emotività popolare mette in primo piano la teatralità della lavanda dei piedi, mentre il tema liturgico dominante è la Nuova Alleanza, che si realizza nella Cena del Signore, sacramento della sua morte e della sua risurrezione.
La prima lettura ci racconta la Pasqua ebraica in terra d’Egitto come inizio di un cammino che si concluderà sul Sinai, quando nelle Tavole della Legge si concluderà l’Alleanza tra Dio e il suo popolo.
Nella seconda lettura S. Paolo ci racconta che Cristo celebra la nuova alleanza nel suo corpo e nel suo sangue, mentre noi cristiani vi partecipiamo perché ne mangiamo e ne beviamo; e ciò facendo annunziamo la sua morte nel presente e finché egli venga.
L’essenza del sacramento è espressa nei verbi: mangiate, bevetene tutti; tutte le volte che ne mangiate e ne bevete, voi annunziate… Certo mangiamo il corpo del Signore, beviamo il suo calice perché noi abbiamo pregato il Padre di mandare il Suo Spirito a santificare il pane ed il vino che abbiamo offerto, e sappiamo che nella narrazione della istituzione del sacramento veramente lo Spirito li ha santificati in corpo e sangue.
La Liturgia tuttavia ci dice che l’intera azione sacra della messa è orientata alla comunione, mentre la consacrazione è la condizione necessaria perché «l’azione del mangiare del bere insieme» sia Nuova Alleanza.
Capiamo allora, ed è lo Spirito d’intelletto che ce lo fa capire, che non ha senso partecipare all’Eucaristia senza comunicarsi…chi non mangia e non beve si priva della ricchezza presente della Nuova Alleanza.
A differenza di Pietro (‘Tu ora non lo capisci’), noi sappiamo, perché lo Spirito di Scienza ce l’ha fatto capire nella comprensione della portata salvifica del sacrificio di Cristo, che il servizio nella carità insegnato da Gesù nella lavanda dei piedi esprime la nostra fedeltà all’Alleanza: ‘Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi’. La Nuova Alleanza viene vissuta nella carità, e la Liturgia lo afferma senza indugio dandoci la chiave interpretativa del brano evangelico che andremo a leggere, facendoci cantare immediatamente prima (nel Tratto) il versetto di Giovanni, 13,34: ‘Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore, che vi amiate a vicenda, come io ho amato voi’; nel quale l’inciso ‘dice il Signore’ indica la realtà nuova rispetto a quella degli Apostoli: mentre loro devono ancora capire, per noi chi sta parlando è il Signore, che ha già realizzato il mistero di salvezza morendo e risuscitando, nel quale e al quale noi crediamo.
Tutto viene ribadito nel momento culminante della celebrazione: all’Antifona di Comunione la Liturgia ribadisce ‘Questo è il mio corpo che è per voi; questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue’, dice il Signore, ‘ogni volta che ne mangiate e ne bevete, fatelo in memoria di me’. La Parola annunziata è diventata realtà sacramentale in noi.
Nella preghiera finale chiederemo al Padre che nella vita terrena ci nutre del suo Figlio, di accoglierci come commensali al banchetto dell’eternità.

Il Venerdì santo siamo totalmente compresi dalla presentazione del servo sofferente di Isaia, che viene poi esaltato per la sua obbedienza a Dio; e dal racconto della Passione di Cristo. Sarebbe auspicabile che anche il Sacerdote officiante tacesse, per far parlare dentro di noi lo Spirito Santo nella sua azione di illuminazione che ci fa comprendere sempre meglio il mistero che la Parola ci annunzia.
Da tale consapevolezza nasce la Preghiera universale: nella sua funzione sacerdotale, il Popolo Santo di Dio, prega anzitutto per se stesso perché possa comprendere i frutti della Redenzione e goderne pienamente; e così per ognuno che nella Chiesa svolge funzioni di servizio: dal papa, ai vescovi a tutto il Clero; per coloro che hanno intrapreso il cammino di fede verso il Battesimo, per tutti i Cristiani perché, pur nella diversità delle storicizzazioni del messaggio evangelico, trovino unità nella carità; per gli Ebrei perché finalmente trovino in Cristo il Messia che hanno atteso per secoli; ma anche per i non cristiani e per gli atei, affinché camminino in sincerità di cuore e praticando i valori umani finiscano per incontrare Cristo; per coloro che hanno responsabilità di governo delle genti, perché promuovano su tutta la terra una pace duratura, il progresso sociale e la libertà religiosa; per finire con coloro che soffrono tribolazioni, perché ognuno abbia a sperimentare il soccorso della misericordia di Dio.
Segue il rito dell’Adorazione della Croce. La Liturgia ha una tale considerazione della grandezza di questo simbolo che ne propone l’adorazione, perché oggi in esso noi celebriamo la vittoria di Cristo sulla morte, sul male, sul mondo, nel significato evangelico di regno del male; tutto il suo valore deriva dal fatto che a quel legno fu appeso Cristo, Salvatore del mondo.
Sarebbe auspicabile che venisse mostrata per l’adorazione la nuda croce, senza il crocefisso; così vuole la Liturgia, non da ora, ma da sempre. In tempi recentissimi è stato quasi generalizzato l’uso di esporre il crocefisso, ma si tratta solo di un cedimento ai sentimenti pur legittimi del popolo, quasi che come Tommaso, per credere abbia bisogno di vedere e di toccare, lasciandosi sfuggire il senso profondo di quello che celebra. I sacerdoti alimentando tali sentimenti, ci mantengono in una infanzia spirituale che non riesce ancora a mettere a frutto la straordinaria opera dello Spirito Santo che ci rende adulti e robusti nella fede. Alla cerimonia, baciate la croce, non i piedi del crocefisso!
Il Crocefisso infatti lo adoriamo subito dopo, alla Comunione. Ci nutriamo del Corpo di Cristo che ci collega al sacrificio eucaristico del Giovedì precedente. Facciamo ciò solo da pochi anni, rispetto ai secoli della storia del Cristianesimo, ma molto opportunamente questa Comunione offre alla nostra comprensione il legame inscindibile tra il mistero che abbiamo celebrato ieri e la realtà tangibile della crocefissione che celebriamo oggi nel trionfo della Croce.

La Veglia Pasquale è il capolavoro della Santa Liturgia. Vi celebriamo l’intero mistero della salvezza vedendone e toccando con mano le meraviglie: i simboli parlano da soli, diventano in noi realtà salvifica, ci fanno esplodere nell’Alleluja di certezza e di gioia: Cristo è risorto, veramente!
Si inizia con il Rito della Luce: Benedizione del nuovo fuoco, dal quale accendiamo il Cero, che trionfalmente portiamo all’altare, osannando per tre volte a Cristo Luce del mondo.
L’Exultet canta il mistero di salvezza nelle meraviglie di questa celebrazione che lo attualizza: ‘Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte risorge vincitore dal sepolcro…’. La Liturgia usa i verbi sempre al presente indicativo, e quando nel racconto degli eventi li trova al passato, vi premette l’avverbio ‘oggi’, ‘questa notte’: ‘Oggi, Cristo è nato per noi’; ‘questa è la notte in cui ha liberato i figli d’Israele, ha vinto le tenebre del peccato con lo splendore della colonna di fuoco’…; che nell’invocazione diventa: ‘manda il tuo Spirito… a santificare questi doni…e rinnova la faccia della terra’… .
La Liturgia della Parola percorre le tappe più significative della Storia della Salvezza: inizia con la creazione fino alla proclamazione della sovranità dell’uomo su tutti gli esseri viventi, si sofferma su Abramo alla cui obbedienza corrisponde la fedeltà di Dio alle sue promesse; fedeltà e potenza di Dio vengono esaltate nel passaggio del mar rosso; sempre della fedeltà e dell’amore di Dio verso il suo popolo parla Isaia, che prospetta ad israele un futuro radioso che si realizzerà nella libertà, lontano da ogni oppressione; si realizzerà soprattutto nella intimità con il suo Dio, che per lui sarà sorgente di acqua viva, e grazie alla nuova alleanza sarà riferimento per i popoli della terra: perché Israele trae da Dio la sua salvezza. Il profeta Baruc scuote Israele dal torpore (perché invecchi in terra straniera?) per ricordare che dalla parte di Dio ritroverà la prudenza, la forza, l’intelligenza per conoscere che nella Legge del Signore è la vita; infine Ezechiele oppone all’infedeltà d’Israele la volontà di Dio di mostrare al mondo la sua santità, proprio attraverso quel popolo infedele: santificandolo con una alleanza nuova, mettendo dentro di loro un spirito nuovo, dando loro un cuore di carne al posto del cuore di pietra, per cui Israele vivrà secondo gli statuti del Signore.
Nell’Epistola San Paolo, riprende il discorso di Ezechiele e lo applica ai credenti in Cristo: nel battesimo siamo stati sepolti con Cristo nella morte, con lui risuscitiamo per camminare in una vita nuova. La totale assimilazione a Cristo ci fa partecipi della sua sorte, e la nostra sorte è la vita!
Nel brano evangelico, le donne trovano il sepolcro vuoto e un Angelo proclama loro che Cristo è risorto: andatelo a dire ai suoi discepoli. I discepoli credettero dopo che il Risorto apparve anche a loro.
Nella straordinaria realtà del mistero di questa notte santa, anche noi crediamo non più e non tanto perché le donne e poi gli Apostoli ce l’hanno raccontato e testimoniato, ma soprattutto perché noi lo vediamo e lo tocchiamo nel momento in cui mangiamo del suo corpo e beviamo del suo calice. E’ la Liturgia ad attualizzarcelo nell’antifona di Comunione, quando ci fa ripetere: Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato (nell’Eucaristia che abbiamo celebrato), perciò celebriamo la festa in purezza (realtà della purificazione battesimale) e in verità (realtà della presenza in noi dello Spirito di Verità, che ci fa comprendere tutto il mistero).
Siamo arrivati a quel punto attraverso la Liturgia Battesimale, con la benedizione dell’acqua nella quale abbiamo immerso il Cero- Luce – Cristo ed invocato lo Spirito Santo per santificarla, e dopo avere rinnovato le promesse battesimali, che stavolta assumono un significato esistenziale più forte di quando siamo stati battezzati, perché le pronunziamo con lo Spirito Santo che ci arde dentro, nella consapevole penetrazione del senso del Mistero del Signore che lo Spirito Santo ha operato in noi, nella maturità di figli che responsabilmente nello Spirito, con Cristo ed in Cristo, celebriamo la nuova alleanza con il Padre.
Giuseppe Riggio

ritratto di Giuseppe Riggio

Mistagogia Pasquale

Questa riflessione vuole esprimere i miei auguri per la Santa Pasqua a tutti voi della redazione, e a chiunque dei lettori possa dare motivazioni interiori e maggiore luce per celebrare nella partecipazione ai Riti del Triduo Sacro il mistero fondante la nostra vita cristiana.Giuseppe Riggio.

ritratto di Saro Di Paola

GRAZIE PROF. RIGGIO

Per gli auguri per la santa Pasqua che ha voluto esprimerci con la Sua SAPIENTE RIFLESSIONE.
Le ricambio gli auguri di vero cuore.

ritratto di Gianfranco D Anna

Grazie e Buona Pasqua

Mi unisco a Saro Di Paola nel ringraziarLa per questa sua riflessione e nell'augurarLe una Santa Pasqua di tutto cuore