2 Giugno, Festa della Repubblica Italiana - L’Omaggio del MASCI di Cefalù alla Unità d’Italia, nel suo 150° (1° parte)

ritratto di Pino Lo Presti

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(La sfilata, la deposizioni delle corone, l’alzabandiera, le note storiche del prof. Franco)

-i preparativi

-si parte

-arrivo in piazza Garibaldi

-la tromba suona “il silenzio”

-la prima corona deposta è per Andrea Maggio cefaludese

-la seconda è per Salvatore Spinuzza cefaludese

-deposta dal Sindaco di Cefalù, dott. Giuseppe Guercio

la terza, per Francesco Bonafede di Gratteri è deposta dal Sindaco di Gratteri, Giuseppe Muffoletto

la quarta, per Francesco Bentivegna di Collesano è deposta dal Vicesindaco di Collesano, Carlo Panzarella

Altre corone, in memoria di Alessandro e Salvatore Guarnera di Cefalù, David Figlia di Mezzoiuso, Cesare Civello di Campofelice, Giovanni Palamara di Collesano, Carlo Botta di Cefalù

Si procede adesso verso la villa Comunale per deporre la corona ai piedi del monumento a Nicola Botta

- a deporla è il Presidente del Consiglio Comunale di Cefalù. prof. Giuseppe Barracato

Si fa ora ritorno verso piazza Duomo

-ci si prepara all’alza-bandiera


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Il Professore Antonio Franco: “Il contributo della città di Cefalù alla causa della Unità d’Italia”

I moti rivoluzionari che, nel novembre 1856, scoppiarono in vari centri del Palermitano rivelano il processo storico complesso di maturazione dei principi che condussero, nella nostra terra di Sicilia, da lì ad appena quattro anni, alla diffusa e sentita partecipazione dei diversi ceti sociali al movimento di liberazione e adesione all’Unità d’Italia promosso dalla spedizione dei Mille guidati da Giuseppe Garibaldi.
Nell’arco di poco più di quarant’anni alle rivendicazioni antidinastiche del 1812, volte a superare il feudale sistema di privilegi borbonico si erano aggiunte le istanze separatiste del 1820, poi passate ad un autonomismo, quello del 1848, di matrice decisamente liberale ma non del tutto chiuso agli influssi democratici.
Questo processo di maturazione ebbe le sue drammatiche tappe anche a Cefalù e in questo nostro circondario madonita, raggiungendo l’apice della tensione proprio quel 25 novembre 1856: già nel 1820 un gruppo di cittadini aveva dato vita ad una rivolta disorganizzata, presto scaduta nel sangue e nel saccheggio, finita con esecuzioni sommarie e atti d’arbitrio; nel 1848, invece, l’intelligenza organizzativa di Enrico Pirajno di Mandralisca condusse alla costituzione di un Comitato che aderì al Governo Rivoluzionario di Palermo, nel cui Parlamento il Mandralisca ebbe un ruolo attivo. A questa breve esperienza di gestione liberaldemocratica, orientata a realizzare un Regno di Sicilia costituzionale e aperto all’adesione ad una più ampia compagine Nazionale, presero parte esponenti di altre famiglie illustri di Cefalù (gli Agnello, i Bordonaro, i Cirincione) e in essa, in particolare, si distinsero i giovanissimi Salvatore Spinuzza e Nicola Botta.

Tornata la repressione borbonica nel 1849, alcuni di questi patrioti, in primo luogo appunto Botta e Spinuzza, non rinunciarono a coltivare i progetti di Libertà nel quadro di un più ampio movimento influenzato dai fermenti di Unità nazionale italiana: quel che colpisce di questi sette anni fino al ’56 è il costituirsi, nel nostro territorio, di due realtà dal notevole valore sociale e politico. Si tratta della nascita a Cefalù di un gruppo di giovani, sensibili ai segni dei tempi e determinati all’azione, che era costituito, fra gli altri, in particolare da Salvatore Spinuzza e suo fratello Antonio, i fratelli Carlo e Nicola Botta, Pasquale Noto, Alessandro e Salvatore Guarnera, Pasquale e Andrea Maggio, Giuseppe Vazzana, Giuseppe Bianca, Stefano e Salvatore Maranto, Francesco Bonafede, Giovanni Palamara, il frate francescano Alfonso d’Istriano e Filippo Agnello, che mise rischiosamente a disposizione dei congiurati la sua villa sul promontorio di S. Lucia; l’altra novità è l’intrecciarsi di una fitta rete di contatti su un territorio abbastanza vasto, segno di una singolare dinamicità nella circolazione locale delle idee e di un energico consolidamento delle relazioni fra i patrioti cospiratori della nuova generazione.
Sono senz’altro rilevanti i rapporti intercorsi fra lo Spinuzza e Francesco Bentivegna, il nobile che guidò l’insurrezione a Corleone e Mezzojuso (estendendola anche a Villafrati, Campofelice di Fitalia, Ciminna e Ventimiglia) e versò il proprio sangue finendo fucilato il 20 dicembre 1856; ma va sottolineata, al tempo stesso, l’intensa attività di Cesare Civello da Campofelice di Roccella, che cercò invano di sollevare i patrioti di Termini Imerese e guidò all’insurrezione il suo paese natale, insieme al Palamara che, originario di Collesano, la spinse ad aderire al moto rivoluzionario; altresì Gratteri fu sensibilizzata dall’azione di Carlo Botta e Alessandro Guarnera. L’esistenza di tale rete di relazioni cospirative, fondate sui comuni ideali di Libertà e sui sentimenti di solidarietà giovanile, è comprovata dal fatto che Spinuzza e gli altri patrioti successivamente in fuga, trovarono coperture e appoggio nei territori delle stesse Gratteri e Collesano e persino in paesi estranei all’insurrezione, come Pettineo, dove furono ospitati da Giovanni Sirena nella cui casa furono arrestati dopo tenace quanto vana resistenza (73 giorni dopo la rivolta), ma come già San Mauro, dov’erano stati aiutati dal sacerdote Zito, da un cugino dei Botta (maurini d’origine) Mauro Giallombardo e da Rosaria Calascibetta. Quest’ultima non fu la sola donna partecipe del moto del 1856, anzi le donne ebbero a Cefalù un ruolo da protagoniste: sia la madre dei Botta, Concetta Miceli, che le figlie Elisabetta e Giuseppina, autrici della bandiera tricolore da loro per prime sventolata a segnale dell’insurrezione, nonché Gaetana Spinuzza, sorella di Salvatore, presero parte attiva a quei giorni febbrili e subirono poi la repressione borbonica con un duro periodo di prigionia e vessazioni d’ogni genere.

Il moto rivoluzionario del 1856 coniugò queste brillanti novità alle precedenti rivendicazioni di natura liberaldemocratica e costituzionale, contenendo al minimo le istanze più radicali: infatti, ed è di particolare emozione dirlo giusto oggi, gli insorti di Cefalù forzarono il carcere dov’era stato rinchiuso Spinuzza al grido di “Viva la Costituzione!” e questi, nel successivo processo che lo condannerà a morte, volle messo a verbale che egli lottava per le libertà costituzionali, in coerenza con i principi già professati nel 1848.
Malgrado tali caratteristiche innovative sul piano sociale e generazionale da un lato, ma aspiranti, dall’altro, a una rivoluzione non radicale né anticlericale, il sostegno del popolo all’insurrezione del 25 novembre 1856 fu molto deludente e l’intervento borbonico della fregata Sannio con i suoi 500 soldati fu decisivo per spezzare, dopo neppure due giorni, i sogni di Libertà dei giovani insorti cefaludesi.
Eppure no! … Non è possibile classificare questi moti del 1856, sia a Cefalù che negli altri centri dove si svolsero, come un fallimento: non poterono passare inosservati il pubblico martirio di Francesco Bentivegna a Mezzojuso e quello di Salvatore Spinuzza, fucilato a Cefalù, al “Chiano di Porta Terra”, il 14 marzo 1857, dopo che gran parte dei concittadini e la chiesa con in testa il Vicario episcopale ne avevano chiesto la grazia; non poterono passare inosservate le indicibili sofferenze di così tanti giovani fra i 20 e i 30 anni, che furono torturati fino alla morte, come Filippo Agnello, o rimasero anni nelle tremende carceri borboniche, come Antonio Spinuzza, Nicola e Carlo Botta, Alessandro Guarnera e Andrea Maggio, venendo liberati solo dopo lo sbarco dei Mille.
La loro testimonianza di giovanile ardore patriottico, di limpido servizio alla Libertà, di rifiuto di ogni efferatezza o meschinità, in particolare lo spirito di sacrificio fino al cosciente, estremo dono della propria Vita certamente seminarono fra la gente sentimenti di civile solidarietà e fecero fermentare la presa di coscienza, ben più diffusa, di una doverosa partecipazione alla comune lotta per superare i guasti e i disagi causati dall’Ancien Régime, sempre più dispotico verso i suoi oppositori interni.

Appena quattro anni dopo, infatti, il concorso del popolo siciliano alla spedizione di Garibaldi fu di tutt’altra, rilevantissima entità e fu determinante per l’esito vittorioso dell’impresa dei Mille: la nostra Cefalù vi prese parte attiva e certo più numericamente qualificante, con ben in vista alcuni di quei coraggiosi del ’56, cioè i fratelli Botta, il Palamara, i Guarnera, Andrea Maggio, stavolta nuovamente Enrico Pirajno di Mandralisca (che nel 1856 era stato trattenuto brevemente in arresto a Napoli, dove si trovava per le sue attività scientifiche); questi rappresentò il Collegio elettorale di Cefalù come Deputato al primo Parlamento italiano che proclamò l’Unità d’Italia il 17 marzo 1861 e, quando egli morì nel 1864, a quel seggio fu eletto proprio Nicola Botta, per ben sette legislature, fino alla sua morte nel 1886.
Cefalù riscattava così e rendeva fruttuoso il sangue versato dai patrioti Spinuzza e Agnello, tanto da meritarsi, nel 1862, dal balcone dell’allora Casa Municipale, parole indimenticabili del generale Garibaldi in persona: “Ed ancor per voi sento tutta la mia stima, popolo di grande iniziativa”.
Questo pubblico elogio di un tanto autorevole fondatore dell’Italia unita ricolmi di fierezza la mente e l’animo dei figli di Cefalù, costituisca l’auspicio, l’impegno per tutti noi a rendere la nostra Città all’altezza del suo nobile, millenario passato, proiettata in un futuro di operosa prosperità per i suoi abitanti e di generosa accoglienza verso i suoi ospiti e visitatori: in tal modo resterà incorrotta la sublime vocazione di Cefalù alla Convivenza e alla Bellezza.
Ringraziamo tutti il MASCI di Cefalù, i suoi dirigenti, in particolare il suo Magister, il dott. Rosario Ilardo, per questa straordinaria manifestazione, ed io personalmente li ringrazio per la significativa opportunità donatami di comprovare che la nostra Storia è, come sosteneva Tucidide, un nostro prezioso “patrimonio per sempre”. Grazie a tutti! W Cefalù! W il 2 giugno! W l’Italia!