'Isnello piccolo e bello', di Giuseppe Riggio e Giuseppina Sepporta - ed. Arianna.

ritratto di Giuseppe Riggio
Versione stampabile

Sabato 26 Novembre il Dr Giuseppe Mogavero, Sindaco di Isnello, ha presentato presso la Galleria-Caffè Letteraio, il libro 'Isnello piccolo e bello' del prof. Giuseppe Riggio.Ritengo utile e piacevole far conoscere al grande pubblico la dotta e originale relazione del Sindaco Mogavero che va ben oltre i limiti del libro e ci coinvolge in unan riflessione sull'intera area madonita.

Isnello piccolo e bello, non solo.

“…ci si vive bene.
… L’aria è salubre, le acque sono fresche e abbondanti. E’ al centro del Parco regionale delle Madonie, ne rappresentata gran parte e nel suo territorio vi sono le zone di più alto pregio ambientale. Il paesaggio è incantevole e vario e suscita continua meraviglia. Splendide opere d’arte nelle sue antiche chiese, oggi, recuperando l’antica tradizione, pregevoli ricami su rete di filet e sfilato: seta, filo d’oro, coralli, esposti nel museo “Trame di filo”.
Un patrimonio urbano fatto di case antiche e dignitose, vicoli e cortili. Un paese pulito. Vi si apprezza la dimensione del tempo, scandito da silenzi e dai suoni e dagli odori di una volta: un possibile, bellissimo, albergo diffuso.
Oggi, accoglie anche le attenzione del mondo scientifico internazionale ...”

E’ quanto si legge nella postfazione al libro, a me richiesta dal prof. Riggio.
A me ha fatto molto piacere, sia per la stima del professore nei miei riguardi ed anche perché mi ha coinvolto, in qualche modo nel fare un ragionamento sul mio paese, un paese dove vivo, lavoro e dove mi occupo di responsabilità amministrative da decenni.

Stasera parliamo di Isnello ma avrei voluto dire che le considerazioni sono più generali. E però, ahimè, penso proprio che ci troviamo dinnanzi una realtà che ha connotazioni sue proprie, ahimè un distinguo accentuato rispetto a un comprensorio più allargato, che ha a che fare con la sua storia, con il suo territorio, con le dinamiche sociali ed economiche sue proprie. Una storia, certo, non dissimile da quella che ha interessato questa parte di Sicilia.
Carlo Levi nel suo “Le parole sono pietre” dice di “un tempo che vi è passato, in questo villaggio come in tutti gli altri, senz’altri avvenimenti che il mutare dei signori feudali, Saraceni, Aragonesi, Borboni, Principi di Santacolomba e Conti di Isnello e, più avanti, dei preti dotti che vi abitarono nell’ottocento e hanno scritto dei dotti volumi sulla storia di questo paese senza storia”. Ma la storia non è una successione di eventi e di date. Ha a che fare come gli eventi incidono nelle abitudini di vita e sociali di quel territorio, di quella gente, le cosiddette identità culturali che, nel caso delle Madonie, ritengo, non consentono di definire una identità culturale madonita, un tentativo di omologazione che viene costantemente fatto ma che è difficile poi spiegare, le origini e le appartenenze sono diverse in questo fazzoletto di territorio, da un punto di vista, appunto culturale, di storia urbanistica e di materiali e, quindi, di economie, di abitudini ora rassicuranti ora non soddisfacenti. E allora si parla di fascia costiera, di Alte Madonie, di Basse Madonie, di Comuni con precipue vocazioni, anche, ad esempio, nelle attività manuali e artistiche. E, quindi, identità diverse per le singole realtà, i singoli Comuni, Castelbuono, Isnello e Collesano e Cefalù. Dove stà il collante. I dialetti, gli accenti, Castelbuono e Isnello e le Petralie, dove stà il collante. Quando senti parlare un Castelbuonese in Italia o all’estero, non dice lui è delle Madonie. No. Dici è di Castelbuono, o è di Petralia, o di Gratteri, o di Cefalù. Anche nei fatti della storia: la contea dei Ventimiglia delle Madonie, poi i Ventimiglia di Castelbuono, i Ventimiglia di Collesano e Isnello, territorio di separazione, affidato da Re Martino ai Santacolomba. Singoli comuni, singole realtà.
E’ strano che oggi sia così ma è così.

Vi dico subito che io il libro di Riggio l’ho trovato bellissimo e dirò perché.
Intanto mi scuso con voi per quel tempo che impegnerete nell’ascoltarmi e che cercherò di rendere meno annoiante aiutandomi con delle diapositive.

“Questo libro, scritto a quattro mani, vuole essere un omaggio filiale a Isnello.
Isnellese puro sangue sono io, poteva dirsi: io sono isnellese puro sangue, in termini cioè di una narrazione più discorsiva e invece, la forma usata è di affermazione e di orgoglio: attenzione, isnellese puro sangue sono io, e continua e spiega per esserci nato e cresciuto, per avere qui i miei legami di sangue e di spirito, per averlo sempre portato con me in uno scrigno, lo ripeterà più avanti: tesoro conservato in uno scrigno, da custodire e da difendere, da non perdere, quale alto valore esistenziale della mia identità…”

Ed, ancora

“… Guardo al mio paese natio con occhi d’innamorato: ogni squarcio è una visione, una finestra aperta sul passato che mi ripropone i luoghi e i momenti dell’infanzia spensierata, della giovinezza impegnata in ideali di mutamento di un ambiente immobile, che ineluttabilmente sarebbe scivolato verso la modernità, sollecitato da stimoli esterni ben più grandi di noi. La contemplazione nell’età matura, dopo avere metabolizzato esperienze varie, percorso strade che parevano inusuali, dato senso a rapporti e a cose, recuperato nella serenità di questa valle colori, suoni, gesti, visi, abitudini in umile atteggiamento di gratitudine.”

Vi è un termine che a me ha colpito: “ineluttabilmente”. Colpisce ma non deve ingannare perché non vuole esser questo il senso che ne ha voluto dare l’autore. Ineluttabile sta per una lotta da cui non si esce, stà per fatale, ciò contro cui non si può lottare.

Il termine viene dal latino: ineluctabilis composto da in negazione ed eluctari vincere lottando, a sua volta formato da ex uscire e lucta lotta. Una lotta da cui non si esce. Ineluttabile sta anche per fatale. A cui non ci si può opporre, il Destino, il Fato. Ciò contro cui non si può lottare.
L’impressione negativa appare rafforzata dalla sensazione che esce fuori dall’intera prefazione: il vagheggiamento di un “piccolo mondo antico” che sta non solo nel ricordo ma vuole essere il presente e la speranza di un futuro che le giovani generazioni dovranno

“costruire in originale continuità”, come chiude la prefazione.

E a me, questo ragionamento interessa e molto. E’ il tema. Un paese, Isnello, che deve vivere nel ricordo e nelle belle tradizioni del passato, cioè viverci dentro, con lo sguardo perennemente rivolto all’indietro, preclusi al presente e, maggiormente, di conseguenza, ad un futuro che è evanescente, anzi, un non futuro. Una immobilità che non accetta il cambiamento e i cambiamenti di abitudini e costumi, e modi di essere. Un gattopardesco sentire, che tutto cambi perché e purchè tutto rimanga come prima. Un non senso. La contemplazione di un passato “perfetto”, “noi siamo Dei”, dice il Principe di Salina, “siamo perfetti”, perché allora dobbiamo cambiare? Contempliamo il passato, appagati dalla contemplazione dell’età dell’oro, non ci mettiamo niente di nostro, Isnello, la Sicilia che non hanno identità ma multidentità, non costruite ma imposte dalle dominazioni susseguitesi nel corso di secoli e millenni, dove la novità e il cambiamento hanno da sempre comportato sovvertimenti degli ordini sociali e dei privilegi acquisiti, quindi, paura del nuovo, passivi, “calati juncu ca passa a china”, aspettare momenti più opportuni, opportunità, opportunismo.
Ad esempio:
Vi è un cifrato nel libro, tratto da De rebus...di Malaterra, che narra le vicende relative alla conquista di Sicilia da parte del conte Ruggero:
"Qui (prato di Maniaci) i cristiani che erano rimasti nella Val Demone, erano
tributari dei Saraceni. Avendo gioito per l'arrivo dei cristiani (normanni)
andarono loro incontro e offrirono molti doni e tesori, adducendo contro i
saraceni questa scusa, e cioè che avevano fatto ciò (essere stati tributari)
non per amore, ma per difendere se stessi e i loro beni, e (dicevano) che
avrebbero conservato inalterabile la loro fedeltà per loro (i normanni)."
Trapela che il Malaterra non si fida della fedeltà dei Greci siciliani, ortodossi e da poco si era consumato lo scisma e forti erano le tensioni con i latini: come avevano tradito i saraceni, non avrebbero avuto difficoltà a tradire i normanni.
Il facile adattarsi ad ogni nuova dominazione, ad ogni cambio politico, il non mettere nulla di proprio, il rifuggire dall’essere protagonisti della propria storia, di condizionarla, il facile disimpegno sociale, ed anche personale, il perverso meccanismo della delega che è un passare le responsabilità ad altri. Dovranno essere gli altri a pensare anche a noi. Spinto ancora avanti questo ragionamento, che facciano pure i loro interessi, a me non riguarda, qualcosa daranno pure a noi. Ecco, io penso che noi ci portiamo tutte queste cose dietro, siamo figli di quella storia, vagheggiamo il passato per non guardare al presente e al futuro. E il passato non può che essere l'età dell'oro che così giustifica la nostra contemplazione.

Un passato perfetto ove non si intravedono gli errori che, invece, anche questi si tramandano. Uno scivolare verso un sentire di illegalità nel senso che le norme a garanzia di un vivere sociale sconvolgono quelli si ritiene essere diritti “a prescindere”. Perché impegna accettare che i diritti derivano dai doveri. I diritti naturali, quelli sì “ a prescindere” ma quelli che derivano da un’organizzazione di società che ti da garanzie, quelli non sono “a prescindere”. Quelli derivano dai doveri che lo Stato moderno codifica con norme. I diritti, liberté, fraternité, egalité, quei diritti sono stati conquistati e sono e in ogni parte del mondo non vengono esportati ma lì si conquistano. Ma se non si accetta il cambiamento, anzi, se non si è pronti a cambiare, anzi, se non si è pronti ad anticipare il cambiamento, allora si è tagliati fuori, niente futuro che va, invece costruito, che comporta mettersi in discussione, aperti appunto a riconsiderare e modificare sentiri e azioni, che comporta fatica e impongono atteggiamenti responsabili.

“Tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati, e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d’arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d’imposte spesso poi altrove: tutte queste cose hanno formato il carattere nostro, che così rimane condizionato da fatalità esteriori, oltre che da una terrificante insularità d’animo.”

La spietata diagnosi del Principe di Salina pervade una percezione corrente e diffusa della storia siciliana e, quindi, della nostra storia. Quella che vede contrapposto ad un “noi” immutabile e quasi metastorico la successione degli “altri”, venuti “da chissà dove” ed impadronirsi dell’isola fino alla successiva invasione, al successivo cambio di dominio. Di fronte alla storia degli “altri” padroni dell’isola, la storia di “noi” è quella di una radicale negazione, di una chiusura ermeticamente orgogliosa, sterile, disperata.
E' un ragionamento che mi sta a cuore ma è forse una delle considerazioni più forte e più interessante che origina dalla lettura di questo bel libro.
Ho avuto modo di parlarne con l’Autore, della percezione negativa che il termine può ingenerare. Che è giustamente lontano dalle sue intenzioni. Una modernità che arriva e, questa sì, che può stravolgere l’identità di un paese.

L’identità culturale ma anche, fisica, nel suo costruito stratificato nei secoli, nel suo assetto urbano, nel come sono stati edificati i luoghi, ragion d’essere di un necessario vivere diverso da oggi.
Gli assetti urbani, se non dettati da processi speculativi imposti, nascono da abitudini di vita e necessità.
Sarebbe interessante che ulteriori lavori narrassero la storia di questo paese a partire, appunto, dal sito, dalla particolare orografia che disegna oggi il nostro paese come uno dei più interessanti dal punto di vista paesaggistico. Basta fare due passi e ti appare ed è diverso.

E’ un bellissimo libro.
Io non lo ritengo un saggio storico, che interesserebbe, tutt’al più, gli specialisti e neppure un memoriale, che riguarda, spesso, solo chi lo scrive. Penso, invece, che il libro appartenga al genere narrativo perché esprime la forza rievocativa del racconto e comunica l’emozione del “reportage”. Un reportage da Isnello, a partire dal suo lontano passato, che si legge con curiosità e si è subito appagati da precisazioni puntuali, richiami bibliografici, anzi è ampiamente cifrato e bibliografato, mi si passi il termine. E, ad ogni rigo, si intravede l'amore dell'autore per il suo paese. La storia passata, non solo i fatti e le date, che sono l'epidermide della cultura storica, ma si addentra nei processi di cultura e sociali. La storia passata ma anche quella più vicina, quella che ha vissuto nella sua infanzia e giovinezza e che viene raccontata con linguaggio semplice e appassionato.

I rimandi sono, per la parte storica il Virga, il Grisanti e Francesco Renda nella sua prefazione al libro del Virga. Vi è una propria e autorevole disamina delle vicende di un comprensorio vasto. D’altronde, la storia del nostro paese, come giustamente precisa l’autore, ha necessariamente, con le precisazioni di cui parlavo prima, una diretta connessione territoriale con un comprensorio allargato che supera anche le Madonie e qui è interessante il racconto delle vicende storiche a partire dalla conquista Normanna e fino ai Borboni. Interessantissima, al proposito, la descrizione dell’organizzazione ecclesiastica a seguito della conquista Normanna. E si comprende bene come quelle vicende siano perfettamente conosciute dall’autore, legate alle sue applicazioni di studio.

Qualche parola a proposito di quando l’Autore parla di “soggezione quasi schiavistica” nel corso del dominio arabo, che si contrappone, invece, ad una lettura storica che è anche di tolleranza e di integrazione.
Per la verità è una costante, legata anche a ragionamenti che a tutt’oggi persistono nel momento in cui ci si interfaccia con una civiltà e una storia a noi diversa ma che ci è molto vicina.
Per la gran parte veniamo anche da quella storia e da quella civiltà, ma è una civiltà che è sull’altra sponda del mediterraneo, un mare che da un lato unisce ma che, a seconda, rappresenta una distanza oceanica, che divide e contrappone.

Basti pensare alle crociate, diversamente intese nell’una e nell’altra parte, alla spoliazione di Costantinopoli del 1204 nel corso della IV crociata o alla fine dell’Impero d’Oriente, del 1453.
Per quanto riguarda la Sicilia non può certamente considerarsi una soluzione generalizzabile la cosiddetta strage dei vinti che accompagna ogni conquista, anche se qui, per la verità, il processo di invasione fu lungo, tempi più lenti riguardano infatti le modificazioni sociali, etniche e culturali che accompagnano i fatti politici e militari. L’eccidio dei combattenti nemici, per quanto fosse un fatto non eccezionale fu, comunque, una eccezionalità. Molto più spesso la sottomissione avvenne dietro negoziati. Ai cristiani che scendevano a patti, ad esempio, veniva concessa l’aman (sicurezza). Da quel momento erano considerati “protetti” (in arabo ahl adh-dhimma, “gente del patto”) dei musulmani. Ad essi veniva riconosciuto il diritto all’incolumità ed alla libertà personale, al proprio credo religioso, alle proprie usanze, agli averi.
Fu quindi una sottomissione “protetta” che comportava il pagamento di una imposta personale, la giziah, e di un tributo fondiario, il kharag.
Ovviamente non tutti i cristiani di Sicilia si ritrovarono contemporaneamente nella condizione di “protezione”. Alcune comunità mantennero a lungo la propria indipendenza, altre si sottoposero per anni al pagamento di tributi. Una condizione quindi di protezione ma anche di “subordinazione” ma, in genere un carattere tollerante delle norma. A Palermo, quando la città fu espugnata dai normanni nel 1072, officiava ancora un arcivescovo greco.

Dopo la stabilità del regno normanno, Isnello segue la sorte di altri paesi dell’isola, assegnato dai sovrani di turno ai vari Vescovi, baroni e Conti. E, comunque, le vicende del nostro paese sono strettamente legate a quelle dei Ventimiglia di Geraci, e qui l’Autore ci offre una conoscenza che manca negli usuali richiami del Virga e del Grisanti.

Ed una chicca, che non è riportata nel libro ma ne parlo perché può incuriosire e interessare, primo fra tutti il prof. Riggio, è il resoconto del viaggio di Nompar de Caumont a Isnello, nel 1420, ospite del signore del luogo, Arnaldo Santacolomba, resoconto riportato da Henri Bresc.

Chi è Nompar. Un nobile guascone di parte inglese. Un viaggio che si inserisce nei pellegrinaggi in Terrasanta, importante per le descrizioni puntuali dei luoghi. A Gerusalemme sarà fatto cavaliere davanti il Santo Sepolcro L’8 luglio del 1419 e, di ritorno, approda a Messina a seguito di naufragio. Da lì muove il suo viaggio nell’isola. Verso Palermo incontra un buon cavaliere, Messer Arnaut de Sainte Coulomme, Arnaldo di Santacolomba che, era stato “ammaestrato” in casa di Nompar, a Caumont. Arnaldo lo invita nel suo castello a Lasenello ove giunge il 2 dicembre 1920. E vi è una descrizione succinta del castello. Da lì a un mese Nompar riparte.

L’Autore riprende poi l’evento straordinario del 1788, ampiamente già riportato da Francesco Renda nella sua prefazione al libro del Virga, il riscatto dalla feudalità e la riconquista della libertà, se realmente poi avvenne, un quarto di secolo prima che ciò avvenisse per gli altri comuni, con la Costituzione siciliana del 1812. Il fatto è probabilmente certo, mai però documentato con atti, mai riscontrati nelle ricerche d’archivio notarili fatte per lungo tempo dallo storico Renda.

Il libro prosegue poi con un interessante capitolo che riguarda economia – società e cultura e, di necessità, il richiamo al Folklore di Isnello del Grisanti è evidente ma anche qui, specie sulla religiosità del nostro paese, l’apporto del professore Riggio è oltremodo interessante e significativo.

Sulla Casazza, che è il terzo capitolo del libro. E qui è importante il contributo di Giuseppina Sepporta, la mamma è originaria di Isnello, il prof. Riggio ha già scritto e a quella pubblicazione rimanda ma qui il copione è soggetto a disamina puntuale e interessante e, cosa di estremo pregio, è la proposizione di 31 foto inedite della Casazza del 50, raccolta privata di Pino D’Angelo, foto bellissime, panoramiche, che presentano i quadri nel contesto urbano e del pubblico, e nelle quali si coglie una immediatezza, una istantaneità dalle quali trapela la genuinità e la sincerità della celebrazione di quel dramma. Il termine di celebrazione riferito alla Casazza è molto caro all’Autore.

Un intero capitolo è dedicato al cortometraggio “Passione a Isnello”, di Ugo Fasano, un bellissimo saggio. Bellissimo. Alla stessa maniera e con le stesse considerazioni mi è capitato di discuterne con Enrico Ghezzi, nell’occasione di una sua venuta a Isnello.

Ed anche nel, diciamo “raffronto” che non è ne può averne la pretesa di esserlo, con quell’opera magistrale di Pier Paolo Pasolini che è il Vangelo secondo Matteo. Per quanto mi riguarda l’opera è una delle più belle di cinema che io abbia mai visto. E vi confesso che l’ho rivisto una ventina di volte. Il testo fedele di Matteo, la fotografia, il montaggio, la musica, gli attori, i volti, i piani, i dettagli, il ritmo, la poesia, la scenografia e i costumi spesso ispirati alle immagini pittoriche dei grandi artisti del quattrocento, uno fra tutti Piero della Francesca, un’opera bellissima, non solo per i suoi tratti di estetica ma anche per la efficacia nella trasmissione di un messaggio che prende anche chi, come me, crede secondo una sua maniera.
Io penso che il professore Riggio ne parla non solo per un dovuto e d’obbligo accostamento alla Casazza e a Passione a Isnello di Fasano, ma, ne sono certo, perché anche lui ama quell’opera di quel grande artista che fu Pier Paolo Pasolini che ebbe modo di conoscere qui a Isnello e di discutere con lui.

Un capitolo è poi dedicato alla descrizione delle celebrazioni in onore di San Nicola, la festa di san Nicola, i ricordi d’infanzia ma anche una lettura dell’intera liturgia da esperto qual è l’Autore. La ricerca del senso della festa … e non solo. Una lunga e interessante esposizione che muove da un’analisi sociologica del contesto di paese degli anni passati e, dove, la Donna è la domina della sua casa, riferimento educativo dei figli, protagonista nelle relazioni sociali e, in definitiva, “a gnura ma”, l’identità di una società rurale magari in disagio economico ma vissuto con grande dignità.

E, in maniera sorprendente, il richiamo al monumento equestre la Madre Madonita, l’opera di Pietro Giambelluca colta dal professore Riggio, nel suo vero e alto significato. Proprio ieri è venuto a mancare Pietro, a Frosinone dove abitava. Eccolo accanto alla sua opera che regalò a Isnello, al suo paese, al quale era molto legato. Lascia il ricordo di un uomo di forte tempra, di un’artista eccellente, uno scultore, lui amava plasmare la creta, scolpire la pietra, dava forma e anima alle sue opere. E ci lascia questa splendida donna – madonna, madre delle Madonie.

Le frottole. Altro capitolo interessante, l’identità di un paese, tra storia, cultura, fede e tradizione.

Impellitteri, il Sindaco di New York nato a Isnello, e Carlo Levi che ne scrisse sulla sua venuta a Isnello nel 1951.

Una maniera e l’occasione, intanto, per conoscere Levi e quel genere letterario di “romanzo”, una rivisitazione del libro per conoscere una pagina della nostra storia, come dice Riggio, ma non solo quella del nostro paese e qui sono anche presenti i ricordi d’infanzia, ma anche la realtà siciliana e la sua storia drammatica dell’immediato dopoguerra, una terra ancora, di fatto, feudale, ove ancora imperavano campieri e baroni, le misere condizioni dei braccianti, il durissimo lavoro, le lotte per il riscatto, la mafia, la strage di Portella, Placido Rizzotto, Accursio Miraglia, le lotte di Salvatore Carnevale ucciso a Sciara nel ’55, Danilo Dolce, o le vicende dei zolfatari di Lercara. Una storia non estranea al mio paese.
Anche a Isnello, nel dopoguerra, la lotta per le terre, anche qui, il 50 per cento degli isnellesi lavorava nei feudi e aveva a che fare con campieri e baroni e mafia.

Molto bello questo capitolo del libro. Una riforma agraria che doveva sollevare le sorti economiche dell’isola, il suo fallimento legato a motivi che in altre sedi possono anche più lungamente svilupparsi, l’opposizione tenace, cavillosa dei baroni, la povertà delle terre assegnate, un’agricoltura che stava cambiando e che non venne sostenuta, in questo cambiamento, dai governi dello Stato se non in sparute realtà, l’emigrazione che riprende e raggiunge i numeri del primo novecento in pochissimi anni.
Tutte queste cose sono descritte egregiamente nel libro, chiuso da 10 splendide, toccanti poesie.

Ecco, tutto questo è il libro, Isnello piccolo e bello, non solo, dicevo all’inizio.
Isnello è il paese delle grandi tradizioni dell’artigianato d’arte nell’ambito del filet e dello sfilato siciliano, che origina dal patrimonio di un ricco passato, teleria sacra, splendidi parati del seicento, realizzati in seta, corallo e oro zecchino, e che oggi presenta i suoi manufatti d’arte raccolti nel Museo “Trame di filo”.
Ve ne presento alcuni.

Vi dico anche che dal 27 dicembre di quest’anno e fino al 31 gennaio 2012 il Museo ospiterà una prestigiosissima mostra, una ricchissima collezione privata mai esposta, pezzi unici al mondo, la mostra ha per titolo “Trame e orditi dal mondo”, pezzi che vanno dalle Americhe precolombiane, a tessuti coopti del VII secolo, e poi abiti, ornati, filati, che partono dal 1700 e provengono da aree diverse, dal Marocco al Nepal, all’Uzbekistan, all’India, al Giappone, insomma da tutto il mondo. Un’occasione per venire a Isnello e visitare qualcosa che difficilmente sarà ripetibile.

Ecco, quest’ultima, un filet realizzato in filo d’oro, che rappresenta una spirale galattica è il GAL Hassin, Hassin è voce di derivazione siriaca che significa fiume freddo e Hassin fu denominato Isnello dagli arabi che osservano il cielo e diedero nome a tante figurazioni del cosmo.
GAL Hassin è un premio che viene assegnato ogni anno a personalità del mondo scientifico che si sono distinte nell’ambito della ricerca e delle conoscenze astronomiche. E’ già stato assegnato al dott. Mario Di Martino, astronomo INAF dell’Osservatorio astronomico di Torino, nella sua prima edizione, poi al dott. Marcello Coradini, responsabile delle missioni spaziali europee nel sistema solare, dell’Agenzia Spaziale Europea e, quest’anno, a Margherita Hack. Il premio Le è stato consegnato, a nome del Comune di Isnello. dal Dott. Fabio Carniello, Direttore dell’Immaginario Scientifico di Trieste, e dal dott. Fiorenzo Galli che è il Direttore del Museo della Scienza “Leonardo da Vinci” di Milano.
E l’immagine introduce quanto sto per dirvi in due slides.

Isnello oggi, accoglie anche le attenzione del mondo scientifico internazionale. E’, infatti, avviato a realizzazione il Parco Astronomico delle Madonie: una importante stazione osservativa astronomica su Monte Mufara a Piano Battaglia, ad alto livello di automazione e fruibili “in remoto” e la struttura dedicata alla divulgazione e alla didattica delle scienze astronomiche, in prossimità del centro abitato, una struttura già definita “unicum” in Europa, capace di suscitare qualificati interessi di ricercatori e astrofili e di attrarre numerosa utenza in ambito scolastico nazionale.
Il Parco Astronomico vuole essere anche una occasione di riqualificazione dell’intero comprensorio in termini culturali e scientifici e, in definitiva, un’importante leva per lo sviluppo di un territorio che ancora registra, nonostante i suoi punti di forza, anche notevoli, punti di debolezza che hanno comportato e comportano a tutt’oggi, lo svuotamento di forze lavoro e un’intera generazione di giovani proiettati a progettare la propria vita altrove.

Isnello è a due passi, ma è anche molto lontano. Si trova tra Marte e Giove, è un pianetino o asteroide, Isnello è stato infatti denominato un asteroide dall’Unione Astronomica Internazionale nel dicembre del 2009. Un corpo di 10.1 Km di diametro che alla sua massima distanza dal Sole (afelio) si trova a 3.38 U.A. cioè a quasi tre volte e mezzo la distanza Terra- Sole (1 U.A. 150.000.000 km). Lontanissimo quindi.
E forse quest’ultima immagine fa piazza pulita di tutto quanto finora vi ho detto sul mio paese. Forse vi ho parlato di un paese che non c’è, di un paese che, così come l’ho presentato, esiste solo in uno spazio lontanissimo da noi, gratificando, così, chi non si troverà d’accordo per come ve ne ho parlato.