il codice di don Verzè

ritratto di Giuseppe Fajlla

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Il codice di don Verze, padrino con la tonaca
By Francesco Merlo | la Repubblica | 2 dicembre 2011

Ordina: e il picciotto va e appicca il fuoco. Don Luigi Verzé è il primo prete capomafia della storia d’Italia e il silenzio del Vaticano o è rassegnato o è omertoso, decidete voi. Ma per noi siciliani è un sollievo che almeno sia padano questo ‘don’ che è due volte ‘don’, per il turibolo e per la coppola storta. Attenzione: non un prete mafioso, non un prete al servizio della mafia, che ce ne sono stati tanti, ma un boss che amministra i sacramenti, un don Calogero Vizzini con il crocifisso portato – fateci caso – all’occhiello, lì dove si mettono gli stemmi dei Lyons e del Rotary, e i massoni vi appuntano il ramo d’acacia e i gagà la mitica pansé.

Anche don Calogero non pagava mai con le mazzette tipiche della corruzione diciamo così normale, ma con bigliettoni ‘impilati’. . Don Calogero Vizzini le chiamava appunto ‘pile’. E don Verzé non comunica con i pizzini come i più rozzi tra i corleonesi, ma si attiene ai classici che affidavano le sentenze ‘allo sguardo e al silenzio ’.E se proprio deve farsi intendere don Verzé . Trasmette gli ordini . Il pizzino infatti è mafia stravagante, deviazione sbruffona, raccomanda Marlon Brando Vito Corleone: .

Il codice di don Verzé non è quello classico del danaro cattolico, neppure nella variante diabolica della simonia. Don Verzé non è uno di quei generosi mostri italiani che hanno messo insieme mammona e il Padreterno, come direbbero gli evangelisti Matteo e Luca, l’ingordigia e la bontà. E’ invece un don Luciano Liggio per la gloria di Dio. Anche don Luciano bruciava una campagna e poi si presentava al proprietario: . Sono gli stessi metodi criminali di don Verzé che aveva deciso di comprare i terreni confinanti con il suo ospedale, ma il proprietario non voleva vendere perché vi aveva costruito campi da tennis, da calcio e da calcetto, spogliatoi e bar… Ebbene nel 2005 e nel 2006 quegli impianti subirono due incendi dolosi. Poi don Verzé convocò Pollari, capo del Sismi e gli disse: .

In quel periodo il prete fondatore dell’ospedale San Raffaele pubblicava con Bompiani ‘Io e Cristo’ per spiegare come la . E infatti la Finanza andò, controllò e multò. Ma il proprietario resisteva . E allora ordinò letteralmente don Verzé prendendosi una pausa dalla pia esegesi neotestamentaria (pag. 123 sgg) del famoso , il verbo si è fatto carne. E specificò: < Sabotate, ma state attenti all’asilo e ai cavalli che sono nostri>. Il picciotto, che stavolta è un ingegnere, lo rassicura: . ‘Gli amici’, ‘in ginocchio’…: il linguaggio cristologico qui diventa cosco- massonico. Qualche giorno dopo ‘l’ingegnere’, che sembra il personaggio misterioso dei romanzi di Le Carrè, titolo nobile e funzione ignobile, spiega a un Don Verzé in partenza : . Come si vede, è un dialogo in argot, allusivo al crimine e alla mafia. E infatti don Verzé indossa i gessati dei mafiosi di una volta, ha la faccia anonima dei veri malacarne, con il cappello che richiama la coppola ma la nega, e forse perché un prete capomafia poteva nascere solo nel Lombardo Veneto, nella terra dei ‘buli’ e dei ‘bravi’, la terra sì del cardinale Borromeo e di Manzoni ma anche della Colonna Infame, dell’investimento economico come pietas, delle opere benedette da don Giussani, del capitalismo dell’Opus dei.’ E infatti il titolo del dialogo tra Carlo Maria Martini e don Verzé è ‘Siamo tutti nella stessa barca’ (non banca): < Eminenza, posso chiamarla eminente padre?> . E il cardinale: . Don Verzé recita la parte del piccolo uomo davanti al santo: < amore, verità, libertà di scelta>. E’ un libro tutto compunzione e incenso. Il cardinale lo loda e lo legittima: ,< capisco la sua posizione, don Luigi>, , . A quel tempo don Verzé è già chiacchierato ma molto potente, nessuno immagina che organizza attentati e distribuisce mazzette e che i suoi ospedali sono fondati su una corruzione enorme, ma certo i suoi lussi sono già evidenti, le sue spese folli non passano inosservate, i suoi uomini gestiscono misteriose società in mezzo mondo, dal Sudamerica alla Svizzera, hanno conti correnti i dappertutto, e don Verzé ha comprato un aereo e ne prenota un altro e tratta una intera flotta perché non vuole perdere tempo negli aeroporti, e tutti sanno che l’aereo è l’arma principe dei malavitosi e dei guerrieri.

Inoltre don Verzé non parla come un Marcinkus alle prese con la volatilità della finanza ma come un capobastone, un campiere che controlla il territorio: , e Formigoni, che il faccendiere di don Verzé ospita nel suo yacht, è sotto controllo perché . E Berlusconi è , anche se, . Ecco: Dio non s i cura del sesso quando si fanno affari. Perché appunto il verbo si è fatto carne.

Ma non bisogna credere che don Verzé sia un ateo mascherato e che tutto quei suoi libri di dottrina siano solo copertura. E’ al contrario un devoto in missione mafiosa per conto di Dio perché le vie della provvidenza sono infinite e se c’è la necessità di un attentato, beh, Dio non è certo un moralista. Don Verzé è come quei preti medievali che, convinti di essere illuminati dalla grazia , commettevano in nome di Dio ogni nefandezza, vivevano a statuto speciale, in sospensione dei peccati, in deroga.

Del resto don Verzé non ha sedotto solo il cardinale Martini e tutta la credula Milano cattolica. Come ogni rispettabile padrino aveva bisogno della copertura laica e dunque l’ ha ingaggiata. Massimo Cacciari ed Ernesto Galli della Loggia sono due intelligenze di prima grandezza nella cultura italiana, di quelli che braccano e scovano e mettono alla gogna i vizi del paese, uno come grande vedetta lombarda e l’altro come doge dei mari del sapere, callido Ulisse di Venezia: dice don Verzé. Eppure anche loro sono stati impaniati, sono caduti nella panie dell’imprenditore in Cristo, del Christusunternehmer, avrebbe detto Cacciari se non fosse stato professore e rettore della sua università. Anche il facondo Vendola, quello che scioglie in bocca le parole come caramelle ideologiche, non ha mai avvertito nel comparaggio per l’ ospedale a Taranto il sentore dell’imbroglione in Cristo, e gli ha invece fornito la legittimazione della sua pregiata griffe di sinistra.

Vaticano, cultura laica e sinistra comunista: nessun mafioso siciliano era riuscito a superare tutti questi livelli. Con don Verzé siamo ben oltre i colletti bianchi. E certo la Chiesa se fosse coerente dovrebbe scomunicarlo come scomunicò quei quattro frati di Mazzarino che, unico caso nella storia della mafia, taglieggiavano i contadini, facevano caporalato, decidevano vita e morte, controllavano il territorio: trasformarono il loro convento in un covo di prepotenza. E quando, era il 1960, furono processati, turbarono gli animi degli italiani al punto che gli stessi giudici ebbero soggezione e si misero a somministrare gli ergastoli come fossero sacramenti. Ma la Chiesa –pensate, la Chiesa complice di allora - non ebbe pietà per quei sai sporcati e per quella mania di fra bruciare i terreni, proprio come ha fatto don Verzé, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo.