L’ORA di Nisticò (1955-1975)

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01/03/2010 - 10:30
01/03/2010 - 20:00

Lunedì 1 marzo 2010
giornata di studi ore 9.30-19
Steri, Sala Magna
Piazza Marina 61 – Palermo

programma
ore 9.30-13.30; buffet; ore 15.00-19.00

apertura dei lavori
Roberto Lagalla, Rettore dell’Università di Palermo

introducono
Salvatore Nicosia e Franco Nicastro
Il lettore e il giornalista

intervengono

Sergio Buonadonna, Gli spettacoli; Antonio Calabrò,
L’impresa Sicilia; Roberto Ciuni, Il maestro di piazza
Ungheria; Vincenzo Consolo, La bella stagione;
Etrio Fidora, L’imputato L’Ora; Michele Figurelli,
La politica; Giovanna Fiume, Giuliana Saladino;
Mario Genco, La lingua, la macchina e la grafica;
Nino Giaramidaro, I fotoreporter; Francesco La
Licata, Il caso De Mauro; Gioacchino Lanza Tomasi,
Con i piedi sulla scrivania; Salvatore Lupo, Quei
venti anni di storia; Kris Mancuso, “Biondini” in
cronaca e inviati nel mondo; Francesco Renda,
Quelle riunioni con gli intellettuali; Gaetano Rizzuto,
Il cronista di provincia; Marcello Sorgi, La nuova
leva di giornalisti; Alberto Spampinato, I giornalisti
uccisi; Alberto Stabile, La cronaca; Vincenzo Vasile,
La mafia; Piero Violante, La cultura.

Gaetano Gullo, Il progetto di digitalizzazione de
L’Ora e del suo archivio nell’ambito della Biblioteca
digitale siciliana

Consuelo Lupo e Gabriello Montemagno leggeranno
brani di alcuni scritti di Vittorio Nisticò

Istituto Gramsci siciliano • Ordine dei giornalisti
di Sicilia • Università degli Studi di Palermo •
Biblioteca centrale della Regione siciliana

L’ORA di Nisticò
(1955-1975)

Un piccolo grande giornale. Una fabbrica di
notizie. E una voce civile, in una Sicilia
segnata dalle profonde ingiustizie di una
modernità incompiuta e distorta e dai
generosi tentativi di cambiamento. Un
laboratorio di idee, inquieto, autonomo,
spregiudicato, irriverente. E un ponte, tra
diverse concezioni della politica, della
cultura e dell’economia. Nel ricostruire la
vicenda storica de “L’Ora”, soprattutto
nella stagione della sua direzione da parte
di Vittorio Nisticò, tra la metà degli anni
Cinquanta e la metà degli anni Settanta, è
proprio questa, forse, l’immagine più
pertinente che si addice a quel quotidiano:
il ponte. Luogo di frontiera. E di passaggio.
Un segno ben evidente della sua storia, un
simbolo della sua attualità.

Nato all’inizio del Novecento per iniziativa
di una famiglia di imprenditori di ampie
vedute, i Florio, e passato di mano ad altri
imprenditori, i Pecoraino, ancorati alle idee
liberali (erano tra gli editori de “Il Mondo”
di Giovanni Amendola) e a un
meridionalismo aperto e riformatore, anche
dopo il passaggio a una società editrice
vicina al Pci, “L’Ora” ha sempre
conservato, lungo tutta la sua vita, le
caratteristiche di un quotidiano sensibile ai
fermenti di novità e ai tentativi di
trasformazione dei vecchi equilibri. Forte di
una identità di sinistra, criticamente
aggiornata. Ma non settario. Difensore
dell’Autonomia siciliana come strumento di
libertà e di progresso, ma mai “sicilianista”
e piagnone. Strettamente legato alle
questioni della crescita sociale e civile di
Palermo e dell’Isola, ma non provinciale,
sempre attento, semmai, a quanto di nuovo
maturava in Italia e nel resto del mondo. Un
giornale di respiro nazionale, insomma,
impegnato a dare ai fatti locali il rilievo
delle grandi battaglie di rinnovamento e a
inscrivere le cronache e i commenti politici
degli avvenimenti siciliani nella cornice
ampia del riformismo e della democrazia.

Dunque, per i suoi lettori, soprattutto negli
anni della direzione di Nisticò e ancora nel
lungo periodo in cui la gestione editoriale è
stata assunta da una cooperativa dei suoi
giornalisti, di cui Nisticò era presidente,
“L’Ora” è stato un punto di riferimento del
cambiamento.

Le battaglie contro la mafia che ne hanno
connotato la storia si inscrivono in questo
percorso. “La mafia dà pane e morte”, era il
titolo dell’inchiesta che, nel 1958, svelava
per la prima volta con compiutezza di dati,
di fatti e di analisi approfondite, l’intreccio
di poteri e interessi tra Cosa Nostra,
ambienti della politica e della pubblica
amministrazione e settori dell’economia,
destando l’attenzione anche della grande
opinione pubblica nazionale. Da allora,
quell’impegno non era mai venuto meno.
La mafia era un freno per lo sviluppo.
L’antimafia, una battaglia di libertà, di
crescita, di dignità. Da condurre non con
denunce astratte e predicazioni moraliste,
ma con la concretezza della cronaca
documentata, dell’inchiesta sui fatti, del
commento puntuale. E con una strategia del
confronto, per aggregare, appunto nella
stessa battaglia antimafia, tutte quelle forze
politiche, economiche e culturali sensibili
al futuro di una Sicilia moderna. Se la
mafia era il deserto della legalità e della
civiltà, “L’Ora” è stato il difensore delle
sue oasi, il costruttore di piste per uscirne
più vitali e più liberi.

Un giornale del dialogo, dunque, “L’Ora”.
Politicamente schierato a sinistra. Ma
autonomo dal Pci, attento a non cedere alla
tentazione di “suonare il piffero per la
rivoluzione”. E sempre aperto, comunque,
alle forze nuove del Psi, dei repubblicani,
del mondo cattolico e della Dc e a tutto
quanto maturava di innovativo nei vari
ambienti della società civile.

Un giornale di cultura, come dimostrano le
collaborazioni costanti con intellettuali fieri
della propria autonomia di pensiero e di
giudizio, come Leonardo Sciascia, per
citarne soltanto uno della lunga schiera di
“firme” che ne hanno connotato le pagine.

Un giornale curioso, per quanto maturava
non solo a Roma e a Milano, ma nelle
grandi capitali della cultura europea e
soprattutto in quel Mediterraneo di cui la
Sicilia e il Mezzogiorno erano componente
essenziale, per storia e per attualità.

Un giornale di formazione, per generazioni
di giovani intellettuali e giornalisti, attratti
da una scuola di severi maestri, Nisticò
innanzitutto, ma anche stimolati a crescere
e a dare il meglio di sè in un mestiere che
richiede passione dell’intelligenza e del
cuore, acutezza di giudizio, orgoglio di
libera ricerca.

“L’Ora” ponte tra la Sicilia migliore e il
mondo, tra i fermenti di rinnovamento e la
difesa delle istituzioni pubbliche, tra la
società e le sue classi dirigenti.

Un ponte fragile, spesso. Ma costantemente
tenuto in piedi. Un ponte che oggi ci
manca.