Incontro con l’arte naif di Rosario Mileo

Ritratto di Giuseppe Maggiore

19 Maggio 2014, 16:58 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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INCONTRO CON L’ARTE NAIF di Rosario Mileo
(...Paulo maiora canamus... - cantiamo argomenti un po’ più elevati - Virgilio)       

di Giuseppe Maggiore

 

Non conoscevo, se non di vista, Saro Mileo, pittore, scultore, grafico, falegname, ebanista e quant’altro; né i suoi lavori.

Diciamo pure che questa mostra, sorta su iniziativa di un gruppo culturale di provato rilievo, costituito da personalità non abbisognevoli di ulteriori mie gratificazioni perché già di per sé ampiamente meritevoli ed apprezzati, quali  Italo Piazza, Salvatore Culotta, Peppino Forte e Franco D’Anna, me  lo ha fatto rivalutare.

L’ho contattato per caso negli anni '70 in occasione delle riprese del mio film indipendente Oremus”.

Mi occorrevano dei figuranti caratteristici dall’espressione particolare per una scena che prevedeva una seduta medianica.

E così scelsi Pasquale Culotta, Giovanni Agnello, Giuseppe Maranto e Giovanni Rao; il Gotha delle fisionomie locali più appariscenti.

Ne mancava un quinto, previsto dalla sceneggiatura.

Vaglia e rivaglia, mi cadde sott’occhio questa figura allampanata, male in arnese, enigmatica, dai capelli folti e incolti, dalla barbetta brizzolata, dall’occhio motile ma che quando ti fissava  pareva leggerti in fondo, sino all’anima: Saro Mileo.

Dal film indipendente “Oremus”

Personaggi tutti, questi, oggi purtroppo di sana memoria.

Lo incontrai, con l’ausilio di Giovanni Rao che funse da intermediario, nel suo cosmogonico locale (più antro di Dite che laboratorio) allora sito nell’ultima parte di questo millenario Corso Ruggero, pieno di tele, cavalletti, quadri, un tavolo sporco di colori e cianfrusaglie varie dappertutto.

Era il suo regno, disordinatamente disordinato, dove lui ci guazzava a meraviglia!

Mi trovai subito di fronte, quindi, a questo originale essere bizzarro, dall’aspetto trasandato, dai lineamenti scolpiti nella carne, concettualmente  mitomane, forse, o qualcosa del genere.

Tutt’altro che un arlòtto, però.

A vedere tutta quella buzzonaglia che lo circondava nella confusione apocalittica dell’antro lo ritenni un artistoide, insomma, che s’arrabattava per tentare di sbarcare alla meno peggio il lunario.

Questa fu la mia prima impressione a quel primo contatto dialogale.

Ma mi sbagliavo. Non avevo ancora avuto cognizione della sua valenza artistica.

Eppure avrei ben dovuto dedurla dall’atteggiamento del Nostro; perché quasi tutti gli artisti di un certo calibro, com’è possibile occasionalmente osservare, di solito si presentano con un atteggiamento per più versi discutibile; “sopra le righe”, per intenderci.

E ciò perché l’artista verace, secondo i canoni di un certo cliché ormai standardizzato, vive la sua realtà esistenziale molto sovente come in “trance”, avulso dal contesto contingente del consueto,  quasi del tutto pervaso dal carisma della creazione che alita in lui, tanto da non accorgersi nemmeno della forma  nel proporsi.

E’ un’anima fuori del tempo e dello spazio, una monade vagante, un ectoplasma fisicizzato, insomma, se vogliamo inquadrarlo da un punto di vista squisitamente critico.

Infatti, questo suo precipuo interiorizzarsi focalizzando l’intimo impulso che lo condiziona e lo appaga, dimensione che annulla ogni velleità esteriore rifuggendo, appunto, dalla normalità usuale del comune modo di essere, di mostrarsi e di apparire, questo suo preferire la messianica considerazione del proprio “Io” alla personale “mise” da esibire all’altrui fruizione, potrebbe sembrare indice di intellettuale valenza.

Ma è pur vero, tuttavia, che molti sedicenti personaggi, maestri del nulla, ambendo all’arte come a sublime panacea, rimedio, balsamo, specifico che li innalzi al pallio, a che la celebrità acquisita  li tolga definitivamente dal dimenticatoio e li proietti su una probabile ribalta che è l’anticamera del prestigio e dell’opulenza, ostentano una certa casualità nel vestire e nel proporsi, sperando di poter apparire quello che effettivamente non sono; costoro seguono una moda, tanto per darsi un tono e buttare la polvere negli occhi, come si dice. E il mondo  ne è pieno.

Così, nel dubbio, come accennavo, non diedi molto peso al Mileo; e, ripeto, errai nella deduzione.

Né, d’altronde, e qui l’analessi è d’obbligo, avevo mai avuto modo (se non ieri) di visionare le sue opere,  prevalentemente naif, o per mio incompetente disinteresse o per mancanza di occasione; non sapevo niente di costui, perbacco, se non per sentito dire, e ritenevo, comunque, la sua produzione artistica, tenuta a mente l'impressione primaria sul personaggio, non degna della benché minima attenzione.

Ora, il suo nome, Rosario o Saro Mileo (è da qualche mese che ne sento parlare con frequenza), mi rimbalza sovente all’attenzione; e i suoi manufatti, in gran parte dispersi dopo la sua dipartita, ma grazie all’alacrità ed alla perseveranza dei realizzatori della mostra oggi in alta percentuale ritrovati ed esposti e con i quali vengo finalmente a contatto, mi dànno contezza di una indole artistica dall’inventiva fresca, vivida e dal tratto sicuro ed incisivo.

Il naif fu, appunto, il primo periodo del Nostro; ad esso vanno aggregate tutte quelle opere di stampo preminentemente descrittivo che illustrano il paesaggio nei suoi multiformi aspetti urbani ed agresti ed alcune figure di indubbia rilevanza espressiva.

Ma con l’andare avanti del suo iter culturale, le sue indiscusse capacità si affinarono e Mileo trasmigrò con estrema naturalezza, enfasi e, debbo anche dire, con inconsapevole competenza,  in altre dimensioni artistiche nelle quali il suo genio prorompente si impose e produsse in gran copia realizzazioni eterogenee che rivelano il suo irrequieto impulso sempre proteso alla ricerca del nuovo, del bello, nell’infaticabile appagamento del proprio sentire: oltre ai dipinti, modellò, infatti, materiali quali il legno, la lava, la pietra, nei quali la figura umana, costantemente ricorrente, adombrata o meno tra fluttuanti ghirigori di colore e di linee, rappresenta il fulcro della sua mirifica inventiva.

Circa tali periodi in cui si evidenziò la tendenza all’“astratto”, all’“informale”, al “futurismo”, al “surrealismo”, ed al “cubismo”, che pervasero l’artista nel suo continuo esistenziale evolversi, per quanto io mi sia già ampiamente espresso in generale sulla materia nel mio precedente articolo “A proposito di arte informale” pubblicato or non è guari su questo stesso prestigioso blog  (e non mi sento, quindi, di trinciare giudizi attendibili formulati come da una ipotetica pretestuosa cattedra su un particolare tipo di stile creativo che la mia conoscenza, il mio gusto ed i miei modesti limiti culturali non mi consentono di gustare), debbo, comunque, convenire che i lavori visionati e i variegati temi in essi affrontati mi confermano gli attributi da me precedentemente espressi e che qui ripeto, in merito alla valenza del Mileo: spiccata personalità artistica, estro, manualità completa e armonica (nell’armonicità è insita sempre una certa dose di disarmonia), originalità d’effetto.

D’altronde, ogni artista, interpretando il reale così come lo vede lui, in maniera personale e soggettiva cioè (dato imprescindibile  geneticamente insito nella natura dell’uomo), rappresenta un totem  più o meno verosimile; e, se vogliamo, anche in tutti noi, allo stato inconscio, è latente un coacervo di tendenze astratte, informali, surrealiste, futuriste e cubiste e il modo in cui ci poniamo e ci esprimiamo è il diretto prodotto di tale latenza.

Tale stile particolare, quindi, frutto dell’intima linfa di ogni autore che si discosti dall’usuale e dal conosciuto, trova la sua ragion d’essere nel fatto che la nuova forma è così ottenuta in quanto l’artista si sente libero da tutte quelle vessazioni con cui le convenzioni sociali, teoriche e scolastiche tentano di soffocarlo.

Così il Nostro, affrancandosi dalle pastoie del  suo dibattersi  quotidiano condizionato dal suo ceto d’origine, dalle sue esperienze e dalle sue precarie condizioni economiche, plasmato da questa volontà indomita del fare, del creare, del manifestarsi attraverso un manufatto, sia esso pittura, scultura, ebanisteria, falegnameria e via dicendo, espressioni intimistiche che assurgono spesso ad eccellenti conseguimenti, rinasce alla vita ed alla cultura librandosi nella dimensione surreale che l’arte stessa concede agli eletti e rivelandosi creatore eclettico preminentemente versato nel settore sacrale, ma che ha in uggia ogni corrente di pensiero o di maniera e non le segue.

Vedasi il volto del Cristo, in legno, forse composizione giovanile, in cui la sofferenza dell’Uomo-Dio trasuda dalla materia offrendosi alla fruizione sotto un velo di  pathos indescrivibile.

Si consideri anche la maestosità del disegno del Cristo Pantocratore effigiato su tela, frequentemente oggetto di ammirazione nelle ricorrenti esposizioni durante le feste del Patrono o la Madonna (scultura in gesso) dai materni lineamenti provati dalla consapevolezza del sacrificio del Figlio; e poi, ancora, la cartolina panoramica effigiante la veduta di Cefalù, poliedrico e rutilante esempio di pittura paesaggistica  e, non ultimo, l’artistico medaglione raffigurante Ugo La Malfa, il noto politico che, come m’è dato di apprendere, fu molto amico del Nostro e col quale Egli fu spiritualmente in simbiosi.

A non voler focalizzare, poi, le molteplici altre sue realizzazioni pittoriche quali “La pesca miracolosa”, “La deposizione”, “Il trionfo del Cristo”, “Le figure di donna”, e poi ancora gli scorci paesaggistici, i vicoli, i cortili, gli antri, le marine, i panorami, le strade, le campagne e quant’altro.

 

       

Fotografie di Salvatore Culotta

Tanto per citare alcuni lavori, forse i più rappresentativi.

A Lui si deve anche la sapiente fattura di alcuni capitelli con l’intento che potessero servire per il restauro del chiostro della Cattedrale di Cefalù, nonché un manifesto pubblicitario commissionatogli per il latte Sole.

Partecipò, anche, il Nostro, al concorso a suo tempo bandito per la realizzazione di un monumento in onore dei “Mille” nel centenario dell’Unità d’Italia ed alcune delle sue opere sono state anche molto lodate in concorsi svoltisi in ambito internazionale.

Ma rimane il fatto che Mileo, seppure vantasse qualche sporadica frequentazione in scuole d’arte e fosse iscritto presso Organismi culturali di chiara rinomanza, praticamente si è fatto da sé, come si dice;  autodidatta della più bell’acqua, ha saputo coniugare la destrezza del tratteggio alla dote naturale di una costante partecipazione affettiva attenta alle piccole cose senza, ripeto, mai concedersi  ad alcuna velleità manieristica, tendenza o corrente di pensiero che fosse, espressioni esistenziali a lui coeve (1907 - 1982).

I suoi colpi di pennello o le linee tracciate in punta di matita o gli sbalzi sulla materia operati dallo scalpello guidato dalla sua mano prolifica ed esperta rispecchiano un animo semplice esclusivamente proteso all’esternazione della visione del proprio personalissimo “mondo” interiore.

Egli con tratto ispirato e spontaneo verga le sue poliedriche composizioni connotandole costantemente con il particolare stile adottato; stile da cui traspare un entroterra intimale pervaso da una apparente inquietudine e da una costante irrequietezza: prerogative, queste, che sembrano uniformare tutta la sua produzione creativa, perché connaturate alla linfa del suo estroso carattere.

Oggi, da me rivalutato dalla conoscenza diretta delle sue opere, Mileo acquista per me una dimensione culturale valida e indiscutibile  nel panorama degli artisti nostrani, che, con volontà indefessa e indiscusso talento, operano nella nostra città portando avanti un discorso di spiccato valore stilistico che tende sempre di più a farla diventare uno scrigno colmo di ambite bellezze naturali e di spirituali valenze.

Alla luce delle mie attuali riflessioni mi chiedo, dunque, perché mai la realizzazione di questa mostra non sia stata effettuata prima e perché mai un personaggio di tale levatura sia rimasto per tanti anni obsoleto, per non dire sconosciuto ai più.

Nota di cronaca sulla vita del Nostro, rilevata dalla voce pubblica: pare ch’Egli vivesse solo con l’anziana debilitata madre, perennemente vessata dalla consapevolezza della violenta morte subìta dal marito e che Egli accudì sempre col massimo affetto.

E’ risaputo, pure, che questa donna tenesse in casa una capra che forniva il latte alla famiglia e che, inoltre, fosse molto esperta nell’arte del confezionare calzette colorate e, soprattutto, pesanti coperte invernali imbottite di cotone, rosse da un lato e gialle dall’altro, che in vernacolo venivano denominate “cuttunine”.

Particolare curioso: una di queste cuttunine le fu commissionata da una nonna di mia moglie ed oggi si trova in nostro possesso, in campagna, ancora in perfetto stato; debbo aggiungere che tiene molto caldo il letto, forse più degli odierni piumoni.

Il commemorativo prestigioso incontro, realizzato col Patrocinio del Comune di Cefalù e della Fondazione Culturale Mandralisca, si è svolto alla Sala delle Capriate dello stesso Comune con interventi  del Sindaco Rosario Lapunzina, avveduto Dirigente sempre incline alla indizione di manifestazioni culturali intese a promuovere nel mondo l’importanza della nostra città, validamente supportato dalla competenza di un ormai collaudato ed affiatato team formato dal Presidente del Consiglio Tony Franco, già autore di rinomati testi ed apprezzato insegnante di lettere presso il locale liceo, dall’Assessore alla Cultura Antoniella Marinaro, perspicace, avveduta e infaticabile fautrice di incontri, manifestazioni, tavole rotonde e quant’altro, da Angela Macaluso, Consulente al Turismo ed agli Eventi nonché sagace intervistatrice di eminenti personaggi della cultura e dell’arte e moderatrice per l’occasione, da Franco D’Anna, stimato pittore rappresentante di uno stile figurativo di grande impegno e rilievo, nonché insegnante, progettista e arredatore d’interni e con al suo attivo molteplici prestigiosi  riconoscimenti conseguiti anche in campo internazionale  e, infine, dalla nota docente e scrittrice Rosalba Gallà, preclara saggista, affermata oratrice e critica d’arte, versatile cultrice di plurimi eruditi approfondimenti svolti nell’ambito scolastico e non.

 

 

Nella elencazione di tutti i superiori personaggi trattati (mi si abbia per iscusato) ho volutamente omesso i relativi titoli, interessandomi più alla loro consistenza umana che alle relative acquisite benemerenze.

Nel corso della manifestazione, tratti dal materiale raccolto dagli organizzatori su Saro Mileo, sono stati proiettati: un filmato Rai contenente una rara intervista al Nostro ed una sequenza  estrapolata dal citato mio film indipendente “Oremus”, dove, appunto, come sopra accennato, lo Stesso ha interpretato un breve ruolo.

 

Dal filmato Rai

L’evento si è concluso, poi, con la visione diretta delle opere esposte, negli ambienti della Corte delle Stelle, complesso che torna a rivivere grazie all’impegno delle Autorità competenti.

Qui, una elegante Silvia Patti, maestra nell’arte del ricevimento, capace e provetta organizzatrice di manifestazioni culturali in genere, gioviale nell’aspetto e cortese nei modi, ha assolto con assolute grazia e competenza il ruolo di padrona di casa, assecondando l’interesse e la curiosità di quanti l’hanno interpellata per notizie inerenti alla mostra. 

Notevole il  concorso del pubblico.

 

Cefalù,  19 Maggio 2014                                                                                                                                                  Giuseppe Maggiore