“Ricorrenze del contado”…

Ritratto di Giuseppe Maggiore

22 Settembre 2014, 16:13 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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“RICORRENZE DEL CONTADO”  ed  altro.

 

Ammettiamolo pure, spartanamente: è stata una disamina un po’ combattuta, sin dal titolo, questa! Prima per l’interruzione delle mie tanto decantate vacanze e poi per insorti dubbi lessicali!

Infatti: perché “Ricorrenze del contado” e non “Ricorrenze nel contado”?

Una d ed una n (non ci avrei mai creduto!) mi hanno frastornato. Una battaglia di consonanti!

Perché?

Ma perché dicendo “Ricorrenze nel contado” io avrei potuto parlare di eterogenee ricorrenze, non esclusivamente di quelle pertinenti al contado, risaputo geografico spazio fisico e culturale;  mentre, dicendo “Ricorrenze del contado”, è chiaro che mi sarei riferito, che avrei alluso, che avrei mirato esclusivamente a quelle proprio pertinenti  a quel contado, a quella determinata contrada, a quella precisa zona e non ad altre, insomma.

Quindi del e non nel!

Incredibile dictu!  Situazioni risibili, di lana caprina, come si dice, si, ma che impremeditatamente si propongono e fanno titubare anche un linguista.

L’idioma italiano, espressione armonica, aulica, musicale, ampollosa se vogliamo, ma comunque sempre melodiosa, oggi purtroppo inquinata da francesismi, spagnolismi, germanismi, ma, soprattutto, da inglesismi, è un rebus: basta usare un vocabolo, apparentemente risolutivo ai fini della frase che si vuole comporre, che, poi, magari, alla fine, prospetta un significato che dice una cosa del tutto diversa o quasi da quella che volevate dire; e poi, ancora, basta cambiare o mettere un accento su una vocale, per esempio sulle terze persone singolari e dei verbi da cui derivano, modifica da me adottata per distinguerle con più evidenza dalle corrispondenti particelle fa e da  (come a dire: egli o poco tempo fa; oppure: egli o viene da; così come pure, per quest’ultimo verbo dare, sulla terza persona plurale, dànno, appunto, per distinguerla dal sostantivo danno),  che subito si sfora e si scivola nella violazione di quella parte della grammatica che condiziona gli accenti.

Al di là dell’accentazione richiamata, vogliamo ricordarci del caro e buon Manzoni che scriveva  sur  anziché su e, comunque, resta sempre elogiato?

E nel mentre che mi ci trovo in questo bailamme di ragionamenti più o meno apprezzabili, mi voglio togliere qualche altro sassolino dalla scarpa e allargo la digressione che ormai, ahimè, ho aperta. E focalizzo, adesso, l’apostrofo che, stando alla grammatica, non va messo scrivendo  qual’é, che invece deve essere scritto qual è.

Per quanto la regola non lo consenta, per una maggiore scorrevolezza del lessico e per una sua migliore eufonia nella lettura, a mio vedere variare la norma e scrivere qual’é anziché qual è non mi sembra inopportuno. Anche se tale mia determinazione appaia arbitraria e insana e faccia arrossire le pudibonde orecchie di molti accreditati grammatici.

Pertanto, nei miei scritti, incurante di passare per ignorante o presuntuoso, mi arrogo il diritto in questi casi (in tema di accentazione o di apostrofatura, cioè) di seguire tale mia personalissima singolare convinzione e continuerò imperterrito (malgrado le accese reprimende inflittemi da terzi cattedratici di chiara fama) ad accentare i verbi e ed a scrivere qual’è anziché qual è, per i motivi che ho esposto sopra e sperando, forse sulla scia di questa mia espressa risoluzione, in un non lontano aggiornamento delle regole, sia che le Accademie della Crusca o dei Lincei esprimano o meno parere favorevole al mio assunto.

In fondo, il modo di scrivere di ognuno crea il suo stile; e se in poesia si parla di licenza poetica, di diritto, nel mio caso, si può parlare di licenza letteraria!

La grammatica non è intoccabile, così come non lo è la Costituzione!

Ma poi, diciamocelo senza nasconderci dietro un dito: la grammatica è la base di lancio, la piattaforma da cui deve partire l’assunto, la maestra di ogni testo si, ma non deve essere una zavorra tale da tarpare le ali alla creazione letteraria; deve guidare, convogliare, accompagnare, sostenere, dirigere il lessico, ma allo stesso tempo deve lasciar liberi il pensiero, la fantasia e la linfa creatrice di librarsi affrancati dai lacci retorici e dalle pastoie che li tengono imbrigliati.

E’ una innovazione, la mia? Mah!

Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra! (sic).

Niente è immutabile nella vita; se vogliamo accettare il profondo concetto espresso da Eraclito: tutto scorre, si tramuta, si rinnova, cambia pelle come i serpenti; e non: bisogna che tutto cambi perché resti com’è!

Speso ciò, e non volendo passare né per retore, né per saccente, ritorno al dunque: Ricorrenze del contado. Ormai è assodato!

Anche quest’anno i popolari periodici incontri stagionali, immutabili sagre paesane che si tramandano sin dai tempi più antichi da generazione in generazione, da padre in figlio, creando e favorendo un costume (e finché essi vivono e vivranno la memoria storica di una comunità, di una stirpe, di un agglomerato umano, sarà immancabilmente mantenuta), hanno avuto campo nel contado nostrano conseguendo felici risultati.

Mi riferisco alle ricorrenze celebrate in onore di Maria SS. Addolorata, alla Ferla, di S. Francesco, (contrada ubicata a qualche chilometro dalla prima) e  di  Nostra Signora del Guarneri; solennità, tutte, con cadenza annuale, che si dispiegano in tre località diverse, più collinari che montane, site nel territorio di Cefalù.

Fotografie di Giacomo Sapienza

 

Attorno alle relative chiesette sparse nella campagna si sono raccolti  quanti gravitano nei luoghi e quanti, attirati dall’evento, sono appositamente accorsi dalla città, popolando una dimensione agreste solitamente deserta (specialmente in inverno) e patria di colture e d’animali.

Tali pittoresche manifestazioni socioreligiose popolari che si materializzano in un mare di verde (quasi una pennellata di Franco D’Anna), com’è risaputo, miravano, nell’antichità soprattutto, alla presentazione di prodotti tipici dell’agricoltura locale con immancabile degustazione successiva.

Sorte sulle ceneri di rievocazioni storiche e di feste patronali, durante le quali si partecipava a riti  propiziatori, offrono la possibilità di immergersi nella cultura e nelle tradizioni locali condividendone lo stile e il ritmo della vita quotidiana.

Oggi sono legate più al nome del Santo del luogo, nella cui annuale ricorrenza si fà festa, più che ad una vera e propria presentazione di prodotti tipici locali.

Due, tre giorni di incontri per ciascuna sagra, con immancabile funzione religiosa, complesso bandistico, processione campestre e giuochi caratteristici.

Circa questi ultimi non vanno disattesi: quello delle pignatte, i tornei di briscola, la corsa nei sacchi, la gara dell’uovo, per i più piccoli e, per concludere, la rituale lotteria che tende a rinsanguare gli esborsi fatti per i costi della manifestazione e il giuoco di fuoco: rurali esibizioni di improvvisati interpreti e creati accadimenti integrati e intramezzati dalla usuale distribuzione gratuita, come sopra accennato, du pani cunsatu e du muluni russu  (panini imbottiti, melone e vino).

Spesso una commedia dialettale offerta dall’amatorismo locale o un complesso musicale con cantante connotano le serate per lo svago degli astanti: di solito gente semplice e senza pretese.

Insomma un coacervo di esibizioni, una miriade di gioviali competizioni, espletate per ricordare e onorare il santo Patrono o la santa Patrona del momento.

In tali corali performances (che sanno anche di arte) vengono accomunati il sacro al profano e il serio al faceto.

Incontro fra storia, tradizione e rapporto sociale, tipico delle feste contadine.

Le sagre, si sa, non sono nate adesso; esse affondano le proprie culturali radici nella notte dei tempi. Ma il fatto stesso che vengano favorite e riproposte dimostra una indomita volontà volta a non disattendere le ataviche consuetudinarie tradizioni.

Pigmalione delle manifestazioni realizzate in queste nostrane locations, con programmi suppergiù similari e intonati allo stesso cliché, oltre che allo stesso Parroco delle montane parrocchie ed ai valenti Organizzatori facenti parte dei costituiti Comitati ad hoc (personaggi che non lesinano le proprie migliori energie nell’approntamento di quanto occorrente per la buona riuscita della sagra, anche rimettendoci di tasca propria), pigmalione, definivo, in quanto animatore, speaker, direttore di ogni svolgimento e quant’altro, nonché personaggio chiave dalle mille sfaccettature aduso da immemorabile tempo a ricoprire  degnamente tale impegnativo  ruolo, è il conosciutissimo Pino Simplicio.

Fotografie di Giacomo Sapienza

 

O, per essere più esatti, il Prof. Giuseppe Simplicio: Matematico,  Insegnante, Preside di più d’una Amministrazione Scolastica, Consigliere e Presidente emerito della Fondazione Culturale Mandralisca, professionista integerrimo di ampia e ineccepibile cultura, oratore prolifico capace di intrattenere un vasto e accreditato pubblico e in molteplici occasioni, come accennavo prima, presentatore d’eccezione in manifestazioni sportive locali, in sagre paesane o in ricorrenze del contado; personaggio incline alla battuta e al sorriso del quale mi onoro essere amico.

Grazie alla sua competenza ed alla sua costante disinteressata disponibilità, sempre profferta spontaneamente, le nostrane ricorrenze hanno luogo e si svolgono in maniera sempre interessante e rappresentano, oltre che un fattivo incentivo d’incontri, un ineludibile richiamo turistico e culturale di primario interesse nel nostro comprensorio.

 

Cefalù, Settembre 2014                                                                                                                                                Giuseppe Maggiore