Deo gratias

Ritratto di Giuseppe Maggiore

23 Ottobre 2014, 21:23 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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DEO  GRATIAS

 

Ho appreso da fonti pressoché attendibili che, pare, si voglia celebrare un Te Deum in ringraziamento per il mio ritorno in città dopo i solenni ludi agresti dei quali mi sono deliziato per ben due mesi e mezzo.

La cosa mi inorgoglisce e oltremodo mi appaga, vedendo riconosciuto il mio status.

Eppure, a dire la verità, non sarei nemmeno voluto tornare.

Come lasciare, infatti, la serafica pace del bucolico humus col suo melodico cinguettìo di uccelli che accompagna il mio risveglio al mattino? Come rinunziare all’aria fresca, profumata dagli aromi delle piante e dalla fragranza dell’incenso (sto in una pineta), che mi inonda i polmoni soprattutto quand’è piovuto e mi rende gradevole la consapevolezza di appartenere a questa bella d’erbe famiglia e d’animali? E come misconoscere il gaudio che proviene dalla compagnìa dei miei cani e dal  loro rauco latrare e dall’affettuosa festa che mi fanno ogni mattina quando mi vedono aprire le persiane e mostrarmi sulla ribalta del balcone? E con che animo disertare le limpide sere trascorse in proficue meditazioni sdraiato in completo relax su una rustica dormeuse sotto una vellutata vegliarda volta di mirifiche stelle intraviste tra le fronde degli alberi? E, ancora: come rinunziare al posteggio immediatamente sotto casa, alle tranquille vie di accesso con la pressoché inesistente circolazione, al cordiale saluto della  gente semplice di campagna, che, quando tu le chiedi una mano, ti dà anche il braccio e la spalla, senza secondi fini? Eh?

E la legione Marzia? invocava Cesare, pieno di malinconia quando la sapeva lontano. E la legione degli uccelli migratori che violano il mio spazio aereo pigolando come pulcini? invoco io. Come farò a non udire più il vostro carezzevole verso?

E poi, abbandonare tutto ciò sino all’anno venturo per che cosa? Per rientrare nella sfera dell’assordante rumore dei motorini, nella persistente mancanza di posteggi, nel costante caos dell’incessante urbano viavai, nel bailamme dei divieti di transito e d’ingresso nel centro storico, nell’aria mefitica ammorbata dai miasmi dei tubi di scappamento delle vetture in perenne movimento, nella confusione generata da frotte di turisti ciangottanti i cui barbari idiomi ledono i timpani e le corrispondenti trombe di Eustachio (o viceversa), nei diplomaticamente subdoli rapporti con i terzi, negli stressanti impegni sociali, nelle ipocrite convenienze e quant’altro?

Dall’Arcadia alla suburra o quasi tale? Ma ci si rende conto delle due realtà, totalmente agli antipodi? L’una per me appetibile e l’altra molto meno?

Lo ripeto: non sarei voluto tornare! Ma poi, le insistenze di mia moglie, che preferisce vivere a contato di gomito col prossimo (e che prossimo!), la benevola pertinacia degli amici, l’ambìto apprezzamento dei conterranei e le burocratiche scadenze con le inerenti incombenze e con ciò che ne consegue mi hanno indotto ad accettare la realtà della discesa con più filosofia. E, fatta di necessità virtù, sono finalmente tornato in città. A malincuore, si, ma sono tornato. Deo gratias!

A non voler considerare, poi (diciamolo pure di sfuggita, ma diciamolo!), la ripetuta supplica del nutrito parterre delle mie fans: Luisa, infatti, non ha fatto altro che irretirmi con le sue coinvolgenti telefonate per tutto il periodo estivo; Barbara mi ha subissato di torte al gelato, tentando di addolcire ancora di più il mio volontario esilio; Elena ha riempito la mia cassetta postale con appassionate lettere di rammarico per la mia prolungata assenza, lettere che ho trovato nelle mie frequenti discese nell’urbe per provvedermi di alimentari (o, come li chiamavano una volta, munizioni da bocca); e, soprattutto, Gaia, la prosperosa Gaia dallo sguardo capzioso pregno di mille sottintesi, di mille sottaciute promesse (mai attuate), che ho incontrata saltuariamente a mare, a Fiumecarbone, ha insistito più volte a che io non tornassi a casa nemmeno per il pranzo e che non mi dipartissi mai da lei. Pensate un pò: che amabile prevaricazione!

E vogliamo dimenticarci di Sofia, la focosa tizianesca ninfa della cittadina porta accanto, il cui silenzio ed apparente disinteresse ostentato nei miei riguardi è un intelligente palese tentativo (sempre fallito!) di espugnare la mia virtù? Quando m’incontra neppure mi saluta, appunto per non incrementare la sua costante emozione che, son certo, le provoca il solo vedermi.

A ciò aggiungiamo pure che Giorgio ed Ernesto ed una miriade di altri miei estimatori, per convincermi a tornare si son messi anche a frignare; tanto che m’è sembrato di trovarmi a Gerusalemme e che il muro sotto casa mia fosse proprio quello del pianto.

Insomma, non nascondiamoci dietro un dito: il ripetuto affetto degli amici è stato galeotto!

E così, che volete, (non son di coccio!) non ho resistito e, seppure obtorto collo e come sopra accennato, ho preso la fatidica sofferta risoluzione di riseppellirmi nel rutilante ambiente cittadino.

A convincermi definitivamente, per la verità, non è stata da meno la notizia dell’indizione del saputo Te Deum, in ringraziamento per la mia sofferta decisione. Eh, perbacco, non è per tutti che viene celebrata una simile funzione; solo per le persone di un certo rilievo!

Ed eccomi qua, per la gioia (gioia?) del mio seguito, della mia corte, del mio entourage.

Ormai ci sono e dovete sopportarmi! Riprendo l’usuale basto, il tran-tran inveterato con le sue inevitabili pertinenze più o meno accettabili.

E, naturalmente, riprendo a scribacchiare!

Facta sit volutas gentium! Amen.

 

Lì, addì 23 Ottobre dell’anno del Signore 2014                                                                                                                  Giuseppe Maggiore

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