![]() |
21 Dicembre 2014, 16:38 - Giuseppe Maggiore [suoi interventi e commenti] |


“L’ A T T I C O”
(remake)
Solo per gli Eletti.
L’abusato concetto di analisi secondo cui il “caso” viene definito elemento imponderabile, non preordinato da una situazione oggettiva, bensì predisposto di volta in volta dalla nostra stessa psiche a livello inconscio in tutte le vicende della nostra tartassata esistenza, tenuto anche conto delle mille sfaccettature delle individuali personalità e della soggettiva percezione metafisica del reale, è e rimane un luogo comune.
Le cose accadono perché accadono; e nient’altro. Noi le prendiamo dal lato da cui le sappiamo prendere. È tutto qui
*********************
Apertura in dissolvenza...
Il trillo prolungato del cicalino.
Ciabatto verso la porta d’ingresso ed apro.
“Buongiorno, caro!”
Rubiconda come una peonia in pieno rigoglio ottobrino (fioriscono in Ottobre, le peonie? No? E chi se ne frega!), fresca come una magnolia malgrado i suoi sessant’anni più che suonati, mi rivolge un sorriso melenso digrignando una ingiallita e sconnessa chiostra di draculeschi denti, terrore dei bambini del quartiere e irrefrenabile disgusto estremo degli esteti.
È la signora Irene, vedova acida e solitaria, proprietaria dell’appartamento sottostante al mio. Bassa, pienotta e sbilenca.
È pazzamente innamorata di me! Senza speranza, però. E come mai potrebbe nutrirne in questo misero stato in cui si ritrova? Eppure non demorde. Quando m’incontra mi guarda sempre intenzionalmente, mi sorride vogliosa e varie volte mi ha invitato a prendere il tè a casa sua. Scuse banali. Tendenziose. Proposte indecenti, aberranti, disgustanti, che io mi sono sempre ben guardato dall’accettare. Ci mancherebbe! Fra l’altro, e sia detto per inciso, io sono una persona più che seria! Eppoi sono per la fedeltà, checché si opini! Almeno con le vecchie! È pur vero, però, che se m’invitasse la di lei nipote, Barbella, quella formosa ragazza di venticinque anni che ogni tanto la va a trovare e che sculetta ad arte... bè… allora!... Per non essere scortese, benintéso... potrei consentire a prendere un caffè con lei...
Ma lasciamo perdere, sorvoliamo; anche perché ciò non avviene!
Però, fatemi grazia: è peccato apprezzare il bello? Bramarlo? Sceneggiarlo nella nostra fantasia ad usum delphini? Eh?...
No. Credo proprio di no!
D’altronde, se la signora Irene, diciamocelo francamente, a me fa schifo, è comprensibile, certo, che io possa non rappresentare l’interesse di sua nipote. Che volete: una ragazza di quella fatta, in linea di massima cerca un suo coetaneo, ben equipaggiato, prestigioso e non un uomo di oltre cinquant’anni (ahimè!) e, per di più, felicemente ammogliato e con figli.
“Non vorrei disturbarla... - fà la megera - ... c’è sua moglie?”
“No. E’ andata a far la spesa”
“Bene!”
“Come, bene? Non è lei che cerca?”
“Lei? Ma neanche per sogno! Con tutta la simpatia che posso nutrire per il suo carattere, che me ne faccio di lei? Veda, non mi sono mai capita con le donne, per quanto simpatiche esse possano essere. Con gli uomini si ragiona meglio … - mi sorride, accattivante - Posso entrare?...”
Mi sento con l’acqua alla gola: questa ci riprova! Titubo.
“... Senta... stavo proprio andando a fare la doccia… e…”
“Ah, la doccia! - un guizzo satanico le pervade il sembiante - ... Se vuole... potrei anche aiutarla…”
“A far che?”
“A fare la doccia, no? Non ha detto che sta per fare la doccia?...”
“... Certo... ma…”
“Potrei lavarle le spalle…”
“Non è affatto il caso!”
“Ne è certo?”
“Certo che sono certo!!”
“… Non insisto...”
“Cosa vuole da me?”
“Un piccolissimo favore… Lei sa bene che all’ultimo piano ho quell’appartamentino che saltuariamente affitto. Ora mi trovo a dovermi assentare d’urgenza per andare a visitare mia sorella… che non sta bene… e proprio oggi deve venirmi a trovare una coppia interessata a quell’affitto… Le sarei grata, proprio grata… non posso che affidami alla sua gentilezza e alla sua comprensione… - e qui un laido ulteriore sorriso fulminante, che vorrebbe essere capzioso ma che risulta soltanto lercio - ... se cortesemente volesse fare le mie veci e accompagnare questi signori a girare l’appartamento quando verranno. A loro ho già comunicato per telefono, poco fa, di rivolgersi a lei. Io le lascio la chiave... - e me la porge, melliflua - ... Se volesse occuparsi della cosa?…”
Questa megera, senza sapere se io accetterò o meno, ha già varcato il Rubicone, come si dice, ed ha comunicato a chi diavolo sia la mia pretesa disponibilità. Che testa! Che impudenza! Che prevaricazione! Mi verrebbe di mandarla al diavolo. Ma cosa faccio a questo punto? Mi sento fra l’incudine e il martello. Ricusare, senza una valida scusa che non trovo, mi pare inficiante per la mia personalità e, oltre tutto, scortese; e, si sa, i rapporti di buon vicinato in un condominio stanno alla base del vivere tranquillo e rispettato: do ut des. Così faccio di necessità virtù e, con inimmaginabile riluttanza, non mi sottraggo all’incombenza proposta. Sospiro.
“… Ha sospirato?...” nota con una certa trepidazione l’importuna.
“No. E’ stato un respiro più consistente degli altri” preciso.
“... Soffre, per caso, d’asma?” si preoccupa la donna.
“Sto benissimo!” concludo seccato.
“E, allora? Me lo fa questo piacerino?” insiste, pertinace, la signora Irene.
“Che vuole che le dica!..” mi arrendo.
“La cosa non le porterà via molto tempo...” assicura la megera.
Per tutta risposta, rassegnato, ritiro la chiave. E quella continua: “Ero certa di poter contare su di lei! Le darei proprio un bacio!...”
“Non è affatto il caso - taglio corto - ... Va bene. Se vengono farò le sue veci.”
“... Grazie, comunque, grazie infinite... Le sono veramente riconoscente!...”
Le sorridono gli occhi, le sorride la fronte, le sorridono le flaccide gote arrossate dal belletto e stirate dall’abbondante cipria. Mi lancia un ultimo languido speranzoso sguardo e si allontana (anche lei, come la nipote, sculettando ad arte... pare un vezzo di famiglia) sempre col capo girato verso di me e rischia di non vedere il primo gradino della scala in discesa e di concludere, rotolando sino alla fine della medesima, la sua lubrica esistenza e, di concerto, il mio estremo tedio. Le dò, comunque, una voce.
“Stia attenta!” Si avvede all’ultimo istante del pericolo sovrastante e mi elargisce un ulteriore più accentuato sorriso di amorevole gratitudine. Imbocca la scala ed esce di campo.
Io rimango ancora per un attimo ad osservare, perplesso, la chiave che mi ritrovo in mano lasciatami da quell’ossesso; poi rientro in casa e chiudo la porta alle mie spalle..
Più tardi, sotto la doccia, l’acqua tiepida mi scrolla via i pensieri molesti che mi vessano; e mi rilasso. Ma neppure vi sono da cinque minuti quando risento il cicalino della porta d’ingresso blaterare col suo gracchiare inopportuno.
Come faccio? Sono nudo come un verme e, naturalmente, tutto bagnato. Chiamo a gran voce mia moglie. Ma nessuno mi risponde; il che vuol dire che non è ancora rientrata. Faccio, allora, di necessità virtù e mi comporto come ci si comporta in simili frangenti: mi butto sulle spalle un accappatoio di spugna, il primo che trovo appeso ad un gancio (risulterà, poi, che è quello di mia moglie), mi dò una rapida asciugata al viso con una manica dello stesso, infilo sveltamente i piedi in due ciabatte ciangottanti e, così conciato e col cappuccio in testa (sembro un senatore dell’antica Roma appena uscito dalle pubbliche terme della suburra), mi avvio alla porta, maledicendo in cuor mio il contrattempo ed il nuovo importuno che disturba la mia privacy.
Ma non è un importuno, come altra volta, quasi in analoga situazione, ebbi a descrivere; bensì “una importuna”.
Ma poi, perché dovrebbe importunarmi?
È una donna giovane, sui trent’anni, dal viso ovale. Bruna. Con gli occhi bistrati di colore azzurro-cielo. Attraente quant’altre mai e con tutto l’armamentario al posto giusto. Noto subito le labbra rosse e piene; un seno modellato se non certamente da Fidia, sicuramente da qualcuno della sua scuola. I capelli le piovono lisci sulle spalle. È inguainata in un tailleur aderente di colore rosso-fuoco come le fiamme dell’inferno che le scopre generosamente le ginocchia e che circa le sue forme nulla lascia all’immaginazione. Conturbante. Sul capo un cappellino vezzoso e sbarazzino ed al braccio una capace borsa di pelle di coccodrillo, nera. Una fila di perle, vere o false (questo non lo so), le adorna il collo ben tornito. E, infine, naturalmente, le solite calze di nylon scure e scarpe lucide, pure nere, con tacchi a spillo, che, cari miei, rappresentano la mia eterna ossessione. Lo ammetto: sono un appassionato feticista.
Che il Cielo perdoni i miei cattivi (ma poi, perché cattivi?) pensieri! Già immagino qualcuno dei miei beneamati amici che arriccia il naso ed alza il sopracciglio assumendo una voluta espressione ironica come a volermi dire: “Tutte a te vanno a capitare!” E bè? Che ci volete fare? Invidiosi!! E poi, insistendo con altro atteggiamento di compiaciuta derisione, sibillano: “Però, alla fine, sempre a bocca asciutta resti!” Balle! Alla fine, sempre un bicchiere d’acqua bevo! Prendetevi questa e portatela a casa!
Intanto la donna sta sempre qua, davanti a me! Anonima, ma dall’atteggiamento cordiale. Un lubrico demone fautore di peccato incarnato in una deliziosa figura muliebre tutta sale e pepe; e anche miele!. Betsabea, Desdemona, Elena, Francesca, Ninon, Lucrezia, Giulietta o chi diavolo volete voi! Di tutte possiede il carisma e le attrattive.
Accanto a lei, paradisiaca visione che smuove ogni umore ancorché celato sia, paradigma della vita, oasi di pensieri, tripudio della vista, sublimazione del gusto (e potrei continuare ad libitum), che vedo? Un ominide! Insulso, rachitico, dall’aspetto melenso, miserabile, meschino e malaticcio. In una parola: infimo; che, rispetto al fulgore della sua compagna, fà veramente ribrezzo e che, comunque, non vale neanche la pena di descrivere.
Ne distolgo lo sguardo, disgustato, e lo riporto, voglioso, sulla maliarda che mi fissa con un intenso complice sorriso da Circe; un sorriso che, senza premeditazione alcuna, mi trovo, mio malgrado, a ricambiarle.
Che vuole questa qui (volutamente non considero il suo fatiscente compagno), mi chiedo, preso da un improvviso imbarazzo appena pongo mente alla mia “mise” tutt’altro che presentabile e, in ogni caso, poco consona a favorire un qualsiasi civile colloquio?
“Mi scusi se la disturbo... - esordisce la naiade con tono armonioso e gutturale, quel tanto da proporre la fantastica immaginazione d’un’alcova - ..La signora Irene ci ha telefonato dicendoci di rivolgerci all’inquilino del piano superiore al suo per poter girare l’attico. Credo di non essermi sbagliata bussando qui, no?”
Rassicurata dal mio assenso, continua:
“Mi chiamo Clara Busciò in Menaggio; e questo è mio marito... - spiega additandomi l’omuncolo, il quale per tutto il tempo dell’incontro non ha fatto altro che giocherellare con le mani, l’una nell’altra, mostrando il tipico atteggiamento dell’imbecille cronico che non ha argomenti da profferire.
“Piacere, piacere, piacere!” Scambio reciproco di convenevoli sostanziati da strette di mano (flaccida e fredda, quella del marito; morbida e calda quella di lei, che, imprevedibilmente indugia più del necessario nella mia, vuoi che l’abbia distrattamente trattenuta io o che me l’abbia abbandonata lei. Ora come ora non ne ho contezza; ma non me ne dispiaccio, comunque. Anzi!).
“E allora? - insiste la tentatrice - ... possiamo girarlo subito questo appartamento?...”
“... Veramente... non vi aspettavo così presto… Come vedete... mi trovo in questo stato…” e addito accappatoio e ciabatte, dimenticando di togliermi dal capo il cappuccio che, oltre tutto, mi fa anche assomigliare ad un frate trappista, di quelli che solitamente quando s’incontrano si salutano salmodiando con la carismatica frase: “fratello ricordati che devi m morire…” Che concetto entusiasmante!
“Non è il caso di formalizzarsi - taglia corto la signora - Lei è a casa sua e fà il suo comodo. È normale. Non si scusi. D’altronde non deve far altro che salire due piani. Tutto qui. Nè deve, mica, uscire fuori! Chi vuole che la veda?”
“... Ma... se scende qualcuno per la scala…”
“Ma chi vuole che scenda a quest’ora? Se qualcuno scende o sale, sicuramente prenderà l’ascensore, non le sembra? Chi usa più le scale, oggi?”
“... Si... ma voi... Non mi sembra decente starvi accanto così conciato… Se mi aspettate un istante vado a cambiarmi…”
“Non se ne faccia scrupolo! Eppoi deve ancora finire di fare la doccia, no? Stia certo che non le porteremo via più di dieci minuti…”
“Quand’è così, non so che altro opporre. Per me possiamo salire pure. Prendo la chiave…”
Entro in casa, rimesto in una bomboniera, recupero la chiave datami dalla invadente signora Irene, prendo anche quella di casa mia ed esco nuovamente sul pianerottolo chiudendomi la porta alle spalle.
L’attico è funzionale: un grande salone all’ingresso dal quale si accede a due ampie stanze contrapposte, a destra, quella da letto; a sinistra, la cucina e i servizi. Tutte dànno sul grande terrazzo che circonda l’immobile e dal quale si può ammirare la gradevole distesa dei tetti rossi delle case della città; a perdita d’occhio.
Io conosco già l’appartamento per esserci venuto più volte con mia moglie su espresso invito della signora Irene; debbo ammettere che è, anche, arredato con gusto, ma non perché sia stata lei ad arredarlo; bensì un rinomato architetto che conosco. Tanto per precisare.
Così oggi mi trovo a fungere da cicerone ad un mio imprevisto ma apprezzato (parzialmente: solo la donna) pubblico.
Visitiamo prima la cucina e i servizi e da lì, poi, ci affacciamo sul terrazzo, mentre, prudentemente, il signor Menaggio rimane nella stanza. Quindi passiamo nella camera da letto dove troneggia un mastodontico giaciglio matrimoniale stile impero, sicuramente retaggio del riposo e d’altro dei bisavoli della megera.
Infine ritorniamo nel salone.
Per tutto il tempo del giro sono il solo a parlare; gli ospiti si limitano soltanto ad osservare ogni angolo con attenzione. Non ho modo di intuire, pertanto, se l’appartamento risulta di loro gradimento o meno; ora, però, la signora Busciò non lesina il suo commento.
“Ho sempre apprezzato i piani attici. C’è una bella vista, qui”
“… Io… veramente… - azzarda il marito - avrei preferito il primo piano… Sa - si scusa - ... soffro di vertigini…”
“Te lo raccomando il primo piano! - lo rimbecca la moglie - Appena tu ti affacci ti ritrovi col traffico sotto il naso! - Poi, guardandomi risolutamente - Questo per noi va benissimo!”
“... Ma... Clara… - cerca di ribattere Menaggio - non essere precipitosa al solito tuo… Vagliamo, prima, altre proposte… Parliamone un po’…”
“Ma che vuoi discutere? - quasi lo deride la moglie - Già, li sappiamo bene i tuoi gusti e le tue fisime. Qui non c’è da parlare. C’è soltanto da dare la caparra e basta!”
“Ma perché t’impunti sempre?! - scatta, suo malgrado, il marito - Mai che ti vada a genio una cosa che ti dico!”
Per tutta risposta la moglie lo fulmina con un’occhiata sibillina; il copioso seno le si solleva ritmicamente sotto l’onda del respiro dando chiara dimostrazione di un incipiente nervosismo mal represso. La donna si morde anche il labbro inferiore e, aprendo modicamente la bocca, mi permette di intravedere una fila di denti ben fatti e bianchissimi.
Mi vien fatto di pensare al profumo delizioso dell’orchidea che il suo alito deve certamente avere. Mi rendo conto, tuttavia, che fra i due non corre buon sangue e che l’estemporaneo dibattito insorto rischia di andare per le lunghe. In più, il tono acceso del dialogo m’imbarazza alquanto, quasi quanto il mio personale arredamento. Mi sento indeciso come Cesare quando alle Idi di Marzo si recò in senato e vi fu pugnalato. Che fare?
Con una scusa banale mi ritiro nei servizi e li lascio parlare da soli. Una spiegazione fra coniugi più intima e discreta, mi dico, non può che giovare alla causa comune: per loro, di prendere la decisione di affittare o meno l’appartamento e per me, di tornamene tranquillamente agli effetti benefici della mia tiepida doccia interrotta.
Intanto, di là, il dialogo fra marito e moglie si arroventa; odo con sufficiente chiarezza l’andazzo del discorso fra gli acuti di lei e i toni bassi di lui.
Lei: “Non sei mai disposto a fare un sacrificio per me!”
Lui: “Questo lo dici tu! Ho cercato e cerco sempre di assecondarti!”
Lei: “Non è vero! Quando mai l’hai fatto?! Dici così per farti sentire, al solito tuo! Non lo negare!”
Lui: “Bugiarda!! “
Lei: “Ah! Sarei anche bugiarda? Allora, lo sai che ti dico? Che se non prendiamo questo appartamento non ne prenderemo un altro!”
Lui: “Fà come vuoi. Intanto andiamocene!”
Lei: “Neanche per sogno! Voglio fare un altro giro!”
Lui: “Fallo tu da sola. Io ho già visto tutto. Ti aspetto giù!”
E se ne va, sbattendo ineducatamente la porta.
A questo punto credo che sia giunto il momento di ritornare in scena; e rientro nel salone dove i due, intanto, si erano piazzati.
Clara, rossa e indispettita, cerca di calmarsi. Un lieve tremito, a tratti, le percorre le forme, come la folata di vento vespertino increspa le onde.
“Mi fà proprio perdere la pazienza! - ammette con voce ancora concitata, quasi a volersene scusare - ... Se sapesse quante volte mi riduce in questo stato! Sempre così, da quando l’ho conosciuto! Mai una parola dolce, da quell’uomo! Un carattere irruento che si è subito manifestato, al primo incontro!”
“Ma, allora, perché l’ha sposato?” mi trovo a chiederle, mio malgrado.
“E che ho deciso io? - s’inalbera la donna, che, nell’eccitazione aggressiva del particolare momento tensivo, appare più bella e appetitosa che mai - ... I miei hanno voluto così ed io, giovane inesperta e ingenua, non ho saputo né voluto oppormi. Sapete, mio marito è ricco e nobile, anche: solo di casato, però, ma non di cuore. I soldi hanno giustificato tutto! Una volta tenevo in gran conto il denaro, ma oggi non più. Ora penso che solo i sentimenti hanno importanza. Ma se sapeste quant’è avaro, quant’è spilorcio! Quando penso che ho sprecato quattro anni della ma vita con un tipo simile mi vien proprio da impazzire! Io che cercavo amore, protezione, comprensione e serenità! Ecco come mi ritrovo oggi: con un pugno di mosche nelle mani e con una vita impossibile! Pensi: mi ha negato anche la possibilità di avere figli!”
Soffoca una lacrimuccia. La situazione è scivolata nel patetico. Giuda infame! Ed io, che pure avrei bisogno, a volte, di appoggiarmi ad una spalla su cui riversare le mie amarezze, per alleggerirmene, mi trovo invece a dover offrire la mia a terzi! Ma nel caso in esame (debbo proprio ammettere a mio estremo vituperio) l’avvenuta crisi di Clara non mi dispiace affatto. Anzi, immemore completamente della mia personalità, mi appassiono all’idea che se potessi piantare qualche chiodo in più sul conto del signor Menaggio prendendo le parti della moglie sua, naturalmente per ingraziarmela maggiormente, mondo boia, lo farei con gioia! Tuttavia, un residuo, un flebile barlume di limpidezza di giudizio me ne distoglie; e cerco di rimettere la situazione sulla opportuna sua carreggiata.
“Eh, via! - la rincuoro - Una vita sprecata! Che paroloni! Lei che è giovanissima! Non dica stronzate! Deve prendere il suo menage con più filosofia, ecco tutto.”
“È facile a dirlo. I guai sono di chi li passa - piagnucola ancora Clara - Mi creda: sono una povera donna sola e indifesa…” Reclina lievemente il capo sul petto e comincia a piangere, sommessa.
“Suvvia, suvvia! - cerco di smitizzare il momento che mi pare s’avvii verso una delle solite crisi isteriche femminili - Non faccia così. Tutto si accomoda in questo mondo. Bisogna solo avere un po’ di pazienza. Tutto qui. E non perderla mai, soprattutto! La realtà non è mai così terribile come la si dipinge o come noi immaginiamo che sia!”
Ma Clara, anziché riaversi dall’occorso smarrimento, si lascia andare sempre di più: si soffia energicamente il naso e continua sommessamente a piangere. Sembra un povero piccolo passerotto spaurito che ha perduto la strada del nido.
“... Avessi, almeno, qualcuno che mi capisce!.. - sospira guardandomi fisso negli occhi mentre un solco rugiadoso le riga la guancia.
Mi invade una tenerezza indicibile, a vederla così. Mi avvicino a lei e cerco di consolarla come meglio mi vien fatto di fare. E che faccio? Faccio una cazzata io, questa volta: le cingo la vita con un braccio e, innocentemente, per farle sentire che le sono vicino e la comprendo e che non è sola in questa sua impreveduta crisi, l’attraggo a me.
Solo per questo, credetemi!
Il pietoso gesto, infatti, sortisce l’effetto voluto. Clara smette di piangere, l’affannoso suo respiro si smorza e il roseo colorito delle sue guance dissolve in una pallida patina. Solo qualche singulto ancora la scuote, di tanto in tanto. Appoggia il capo sul mio villoso petto e si abbandona interamente contro il mio corpo, cingendomi anche lei la vita con le braccia.
Malgrado il frangente, la cosa non mi lascia insensibile e, per contenermi, cerco di pensare a cose tristi, che so, alla morte di mia nonna, alle intemperanze dei condomini, alle false promesse dei politici, alle tasse! Ma voglio ritenere che la donna, data la sua subentrata debolezza, l’abbia fatto esclusivamente per sostenersi meglio e non cadere a terra.
“… Fammi sedere da qualche parte… ti prego.. - fiata lei con un filo di voce, dandomi imprevedibilmente del tu - … Non mi sento bene… Mi pare… mi pare di svenire…”
Infatti la sento improvvisamente allentare e mi trovo, d’un tratto, a sostenere tutto il peso del suo corpo afflosciato.
Questa non ci voleva! Che fare? Voi che avreste fatto? Con una donna riversa su di voi, avvinghiata in una tenera stretta? Svenuta? E bellissima? Eh?!
La sollevo interamente fra le mie braccia, come Tarzan ha sempre fatto con Jane (l’ho visto al cinema) e mi guardo rapidamente in giro. Ma dove distenderla se non nel posto più consono e comodo, deputato a ricevere una persona svenuta e abbisognevole di immediate cure?
Certamente sul letto, unico e irrinunciabile supporto, adatto a tale bisogna.
Così, senza frapporre ulteriori indugi, col dolce carico stretto al petto, passo rapidamente, per quanto le ciabatte me lo consentono, nella stanza accanto e distendo Clara sul monumentale giaciglio. Le metto un cuscino sotto i piedi per favorirle la circolazione e comincio a schiaffeggiarle il viso con moderazione.
La donna reagisce con vigore al trattamento. Emette un profondo respiro e rinviene. Apre gli occhi, adesso luminosi, e mi guarda.
“… Sono svenuta?...” Più che una domanda è una richiesta d'assenso che mi fà.
“ Si, purtroppo…” confermo.
“... E tu... tu mi hai fatto rinvenire!...” Sorride riconoscente.
“Si sente bene, adesso?” chiedo.
“... Perché mi dai del lei ?... Non possiamo continuare a darci del tu ?...”
Titubo nel rispondere.
“Come vuoi… - concedo, contegnoso; poi, temendo di essermi mostrato troppo riservato, sorrido e concludo - ... con piacere...”
“Oggi ho trovato un amico… - fà lei, gioiosa, rimanendo, tuttavia, distesa come prima -... O… forse… più di un amico?...- mi osserva maliziosa - Tu che ne dici?” mi stuzzica.
“… Ma… non so pensarci... almeno per ora…”
La piega presa dalla conversazione è delle più fatue; poi Clara cambia repentinamente discorso, con una imperturbabilità squisitamente femminile.
“L’affitta sempre a coppie questo appartamento, la signora Irene?”
“A dire il vero non lo so… - commento - ... Almeno, credo...”
“È davvero un bel quartierino!... Posso provare il letto?...”
“... Come… provarlo?... - strabilio - Non ci sei già sopra?...”
“Non nel senso che intendi tu… Mi riferisco alle molle. Mi piacerebbe capire come sono. Non vorrei appartenessero a quel tipo che presentano in TV e che poi col peso si slargano…”
E senza darmi ulteriori spiegazioni comincia a lavorare di anche e di sedere, imprimendo dei poderosi affondi, per quanto la sua delicata costituzione glielo può permettere, al materasso e riducendo la rete sottostante ad una volgarissima altalena. Il suo corpo fluttua sobbalzando e assume sinuose movenze e seducenti pose; mentre i suoi occhi capziosi non si staccano dai miei e un sorriso ineffabile le increspa le labbra.
“Peccato… - mi dice ad un tratto - ... che ho il marito che ho… Una coppia affiatata e complice avrebbe ben altro modo di provare questo letto…”
La battuta è tendenziosa. Chiaramente allusiva. Faccio, comunque, finta di non capire e mi trincero dietro la neutrale patina dello stupido integrale, con una espressione ebete e per niente consona al mio carattere.
Ma la donna non demorde.
“... Ti prego … - mi chiede ancora - … distenditi qui... accanto a me... vediamo se ci sopporta entrambi…”
“... Ma che pensieri ti vengono in mente?... - farfuglio, esagitato, cominciando a perdere il lume del raziocinio - ... Certo che la rete ci sopporta... È fatta apposta per due persone..”
Ma lei continua a fissarmi in maniera implorante, irremovibile nella sua improponibile idea, tanto che non mi lascia alternativa.
“… È proprio necessario?...”
Per tutta risposta mi galvanizza con una languida occhiata degna di miglior causa.
Non mi resta che capitolare. E, senza attendere ulteriori inviti o solleciti, orgasmaticamente rassegnato, vado a coricarmi al lato opposto di questo rosso demonio dalle subdole sembianze femminee, che, certamente, mi sarà stato inviato dal benigno (?) Cielo per saggiare le mie rare virtù.
Ma, nel far questo, inavvedutamente, l’accappatoio mi si apre nella sua parte superiore e io resto col torace nudo.
“Prova a molleggiarti assieme a me” m’invita ancora Clara, prendendomi una mano e serrandola nella sua.
Mi sento ridicolo; ma che faccio? Ora che ci sono, tanto vale continuare: peggio (o meglio?) di questo che mi può capitare? Così intraprendo l’operazione.
Manualmente allacciati, entrambi rimbalziamo all’unisono ed è uno spettacolo a vederci.
Più volte, ricadendo, la distanza fra noi due si riduce sensibilmente e mi capita di strusciare il suo corpo col mio. Le molle, tuttavia, resistono a meraviglia, cigolando solamente.
“È un letto veramente fantastico!” esclama Clara, gioiosa, più che convinta della realizzata prova.
“A chi lo dici!” blatero io, tanto per dire qualcosa.
L’operazione mi fa sentire un saltimbanco che si produce in una spettacolare esibizione, senza pubblico, tuttavia. Ma qui m’inganno, perché a metà di un ennesimo sobbalzo scatta un nutrito duplice applauso.
Mi volto di colpo, interrompendo l’azione, e noto con estremo disappunto che nel vano della porta stanno a guardarci due figure conosciute: mia moglie assieme al colendissimo signor Menaggio, che il fato conservi per l'esecrazione da parte delle generazioni future.
“Ma bravi! Ma bravi! - sibila, stizzosa, la mia metà - Vedo con piacere... - e mi fulmina con lo sguardo - che hai trovato modo di impiegare bene la mattinata!”
“E tu, disgraziata! - incalza Menaggio, rivolgendosi alla propria - Non ti posso lasciare sola un momento che subito ti prostituisci!”
Io e Clara, esterrefatti, balziamo di scatto dal letto e recuperiamo la posizione verticale.
“Ma siete impazziti tutti e due?! - fà Clara rivolta ai nuovi venuti - Tu sei un perfetto imbecille! - grida al marito; e poi, alla mia consorte - Chi è lei, signora?”
“È mia moglie.. - informo io. Quindi mi rivolgo a quest’ultima - ... Come mai sei qui?”
Non l’avessi mai fatto! “Ah! Non mi ci vorresti, eh? Sono di troppo in questo talamo, nevvero?! Certo, certo! Per poter far meglio il comodo tuo!... - esplode lei con l’irruenza di un fiume in piena - Ma, purtroppo per te, il diavolo fà le pentole ma dimentica i coperchi. Sappilo! Se non avessi incontrato per le scale questo degno gentiluomo che mi ha visto entrare nel nostro appartamento e mi ha salutato intuendo che sono tua moglie e mi ha anche gentilmente detto che se ceravo mio marito l’avrei potuto trovare qui con la sua signora, io non sarei salita e non avrei mai scoperto questa bella tresca! Che mondo sporco! Anche con una conoscente occasionale mi tradisci! Ammenochè, addirittura, non vi conoscevate da prima! Da quant’è che va avanti questa cosa qui, eh? E cerca di non negare, com’è il tuo solito!”
“Adesso non saltare a conclusioni errate! - mi arrabbio - Sei completamente fuori strada, mia cara!”
“Ah! Mi sarei, dunque, sbagliata? Eh? - continua la mia metà con ironia. E poi, rivolta a Clara:
- E tu, non dici niente, sgualdrina? Giustificati se puoi!”
Per tutta risposta Clara, sbalordita e indignata, si rivolge a me come una bambina al suo protettore.
“… Pensi che abbiamo fatto qualcosa di male?...”
Al che mia moglie mi riattacca inviperita.
“Ah! Ecco la prova! Vi date già del tu! Ma bene, bene! Mi pare normale, al punto in cui siete! Non mi poteva capitare di peggio! Che giornata! Che giornata!... Guarda.. guarda: tu sei già spogliato e lei ancora no. Certo, con la mia improvvisa venuta vi ho rotto le uova nel paniere… ammenochè... ora capisco, conoscendo i tuoi gusti…, si, è così, non mi sbaglio, non mi posso sbagliare, so quanto pesi, caro mio,... ammenoché progettavi di spogliarla tu, lentamente, come a te piace, nevvero? E non ne hai avuto il tempo! Se non fossimo arrivati noi, a quest’ora ci saresti riuscito. Sei il solito porco! Ecco quello che sei! Ma io ti pianto su due piedi e me ne vado da mia madre e chiedo il divorzio!!...- E fà l‘atto di andar via incalzata da una stupida frase di Menaggio: “Bene fà, signora, la capisco!”
In quella, arriva insperatamente la signora Irene, matrice emblematica della mia presente disgraziata situazione.
“... Come... non è andata più da sua sorella?...” mi trovo a chiederle, malgrado tutto, perplesso.
“No. Ho perso il treno - annunzia la megera, laconica, con tono asciutto e freddo. Risentito - L’altro passa nel pomeriggio e me ne sono tornata a casa..”
Poi si rivolge a mia moglie che s’è fermata al suo apparire, mostrandosi piccata certamente nel vedermi seminudo con quella donna accanto - … “Bel tipo questo suo marito! Ha preso, per caso, il mio attico per una casa d’appuntamento???!!!”
La cosa rischia di finire male. Mi scuoto, risoluto, e me ne vado difilato alla porta passando, altero, fra gli astanti. Qui mi fermo, tutti gli sguardi su di me.
“Vi saluto! - esplodo, rivolto a tutti in generale; e, a mia moglie in particolare - Se vuoi venire a casa, vieni. Diversamente: auguri e figli maschi!!”
E me ne scendo definitivamente nel mio appartamento.
Di lì a poco sento un nutrito scalpiccio per le scale e un corale parlottare sommesso che va a scemare. Sento la porta di casa aprirsi e richiudersi.
Mia moglie entra. Pare rabbonita.
“... Mi ha spiegato tutto quella là... - fà, fissandomi - ... Non so se debbo proprio crederci…”
“Ma tu vuoi… - mi giustifico - che io me ne andassi con una che nemmeno conosco, col pericolo incombente dell’Aids e chissà di cos’altro, e, per di più, qui, due piani sopra il nostro appartamento e in casa della signora Irene, che poteva tornare da un momento all’altro, così come infatti è tornata? Eh? Mi fai proprio scemo?!”
Mia moglie tituba.
“... Va bene… - insiste, perplessa, con un ultimo residuo di rancoroso dubbio - ... però... eri nudo…”
“Ma che nudo e nudo! - sbotto accalorandomi - Mi stavo semplicemente facendo la doccia, quando quella ha bussato per girare la casa… Non te l’ha detto la signora Irene, che sia stramaledetta??!!”
“..Si, me l’ha detto, me l’ha detto… - taglia corto lei più persuasa - Però tu, la prossima volta che fai la doccia, non aprire a nessuno! Va bene?!
Chiusura in dissolvenza.
Giuseppe Maggiore
- Accedi o registrati per inserire commenti.
- letto 1249 volte