"La macchia d'umido" - remake

Ritratto di Giuseppe Maggiore

21 Marzo 2015, 16:10 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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"LA MACCHIA D'UMIDO"
-remake-

("Improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis!" - Virgilio
Crudele amore, che cosa gli animi mortali non spingi a fare!)

 

Non so se il fatto sia vero.

Se l'ho letto da qualche parte, se sia capitato a qualche amico che me ne abbia parlato o, addirittura, a me, in un passato remoto o remotissimo: non lo ricordo più; e, varcata la soglia dei settanta, con buona pace di tutti, mi si deve far grazia per questa mia titubanza rammemorativa.

Tuttavia, poiché un alcunché di esso permane ancora vivido nel mio ricordo (una briciola seppure nebulosa e frammentaria), qui ne scrivo per mio diletto e, spero, per quello altrui. E ne tratto in prima persona ed al presente indicativo, come noterete, non perché, come ho ipotizzato, la vicenda mi competa direttamente, bensì, semplicemente, perché le immagini che risultano dal lessico di una tale costruzione diretta s'impongono con maggiore evidenza di quelle licenziate in terza persona.

D'altronde, questo modo di esternare è l'unico possibile "nus" autocinetico (Nietzsche) di una decente sceneggiatura; ove si abbia a redigerla.

Tutto qui. Ed in ciò m'appello a quanti prendono in mano la penna per affidare alla carta un qualche loro pensiero, seppure peregrino, animati da intenti filmici o letterari.

E se dovessi sbagliarmi in questa mia ipotesi concettuale o se l'assunto dovesse risultare (con mio enorme rammarico) sgradito alle pudibonde orecchie di qualche benpensante, mi abbiano, i Signori Lettori, per iscusato e che cambino lettura e vadano con Dio; chè, spesso, pur essendo l'intento lodevole, il risultato può pure tradire.

Venendo al fatto, adunque, mi si conceda una digressione preliminare. E, a tal'uopo, dirovvi che fra tasse, balzelli, imposte varie, Tari, Tasi, Imu, Irpef (gravami che fiscalmente  mi riguardano) ed altri impegni spesistici, l'emolumento mensile che un povero diavolo percepisce se ne va a farsi benedire, se non, per usare una frase fiorita, leziosa ed abusata, a puttane!

E uno resta con una canna in mano (e che canna!) e chi s'é visto s'é visto!

E poiché è meritorio che "... la destra non sappia cosa faccia la sinistra..." (si è costretti a spendere, infatti, tutto quanto si percepisce mensilmente, senza neppure accorgersene, per gli immancabili generi di prima necessità, vitali alla familiare sussistenza e, spesso anche di più, riducendosi l'esiguo valsente al rosso), è consequenziale che il portafoglio conosce come giorno lieto, quello delle vacche grasse, cioè, soltanto il primo di ogni mese, quando si percepisce la pensione, mentre tutti gli altri sono da iscriversi nella partita delle vacche magre.

Posto ciò, rimuginando questi ed altri laidi pensieri e dovendo pur far fronte ai pagamenti fiscali, che sono impellenti, inderogabili, penalizzanti, vessanti e quant'altro, temprato da benedettina pazienza, mi ritrovo nella ressa fluttuante che staziona davanti agli sportelli di un non ben determinato ufficio, in una men che meno individuata città di questa nostra prolifica e tormentata isola, mitigando lo stress del momento col cercare con gli occhi qualche gradevole spunto muliebre che m'induca a gradevoli cogitazioni.

E che il Cielo preservi ognuno dai cattivi incontri; e, soprattutto, me!

Ma il caldo, l'odore di sudore (siamo in Agosto) e d'umido di fiati nell'afa stagnante d'un ambiente chiuso seppure condizionato da qualche apparecchiatura refrigerante che fà più male che bene (perversione climatica ambientale che in consimili ambienti non manca mai di allignare), la stanchezza del corpo messo a dura prova da una snervante attesa e della mente per l'incessante assordante coro di plurimi biasimi mormorati in diverse tonature  all'indirizzo delle direzioni, che, ahimè, non provvedono adeguatamente ad aumentare il numero degli sportelli operanti ed a renderli funzionanti e funzionali in giorni tremebondi come questo, m'inducono a desistere dal perseverare nel rimanere.

Così mi sposto per andarmene, rinunziando ad ogni motivazione che al luogo m'addusse.         Tuttavia, non del tutto deciso, tergiverso e mi fermo lì presso, dietro una specie di paravento, quasi a volermi distaccare dal centro della massa, e mi appoggio al davanzale di uno sportello vuoto di personale e di pubblico.

E da lì, come in trance, nella recondita speranza di potermi, comunque, in qualche modo sbrigare, a mia volta attendendo che, fortuitamente, si presenti qualche impiegato che apra tale sportello, attraverso uno spiraglio nel compensato divisorio mi attardo a considerare per alcuni minuti buoni la calca corpulenta e litigiosa che si assiepa a pochi metri da me e nella quale poco prima ero immerso.

Ed in tal positura gravito da qualche tempo, quando il mio malcelato desiderio  improvvisamente si avvera: un addetto compare con sussiego dietro lo sportello vuoto e m'interpella.

-- Dica, prego... --

Non è un addetto, per la verità; bensì un'addetta. L'ho vista spuntare di punto in bianco dal vano di una porta che interrompe la compattezza della bianca parete sul fondo dell'ambiente, così come l'acqua sprizza improvvisamente fuoriuscendo da un tubo rotto.

Ella avanza dal campo totale al piano medio; raggiunto il quale, si ferma e mi onora di uno sguardo accattivante.

Durante il suo tragitto la osservo attentamente: ho modo di assaporare una figura flessuosa degna di ogni considerazione, inguainata in un abito scuro corto, quasi aderente, che finisce a palloncino sulle gambe che sfilano armoniose e tornite nella calze di nylon color carne. Il viso, un po' slavato, fine, tirato da madre natura all'orientale, evidenzia due labbra ridondanti e vogliose, rosse come il fuoco dell'inferno e due occhi maliziosi da cui, attraverso le palpebre indolentemente semichiuse, promana uno sguardo seducente e conturbante, che, certamente, non sfugge all'altrui attenzione. Ha un bel collo, la fanciulla, ben tornito e bianco come l'avorio ed il resto al posto giusto e nella misura idonea.

Che il Cielo la benedica: lei e chi può guardarla!

Vedendo che io non ho ancora parlato e sicuramente ritenendomi urtato per la sua protratta assenza, mi scompone:

-- ... Mi perdona?... -- Le labbra le si schiudono al sorriso, cordiale ed ostentatamente disponibile, mentre lei si ferma dinanzi a me al di là del vetro dello sportello assumendo una posa fatua, dinoccolata, innocentemente provocatoria.

La battuta mi prende alla sprovvista mentre sono ancora abbagliato dall'apparizione.

-- ... Dovrei?... -- balbetto, inghiottendo mio malgrado.

Lei accentua il suo sorriso. Ha un bellissimo sorriso che scopre una fila di denti bianchissimi, ben disposti, appropriato complemento ai suoi circa trent'anni. Non porta fede al dito, né altri monili.

-- ... Non mi vuol perdonare?... -- celia ancora lei.

-- … E di che?...-- mi trovo a chiederle io, completamente dimentico del fatto che poco prima, quando ancora avevo le idee chiare o, in ogni caso, meno ingarbugliate di adesso, avevo pur biascicato qualche sarcasmo all'indirizzo dell'assente.

-- ... Ma... di averla fatta attendere, no?... -- continua lei -- ... Ho sentito che inveiva contro la direzione, per la disorganizzazione o qualcosa del genere... --

-- ...Veramente io non ho aperto bocca -- la informo mentendo e recuperando buona parte del mio sangue freddo -- ... per quanto ritenga che chi ha inveito così non abbia poi tutti i torti... --

-- Ah, si?... -- insiste la Circe, incredula -- … E che ha fatto, allora, lei?... --

-- ... Io?... Niente di niente. Mi sono limitato ad aspettare. Tutto qui. --

-- E… ha aspettato molto?...--

-- Parecchio per stancarmi... Mi creda, me ne stavo andando... Sarei tornato un'altra volta... Ma... forse… ho fatto bene a rimanere... Perché sono stato ricompensato... --

Lei mi guarda profondamente, come a volermi leggere dentro.

-- … Crede?... -- dice con una falsa ironia, tuttavia rendendosi conto che la sto spogliando con gli occhi; poi, affettando partecipazione e con tono confidenziale -- ... Mi dispiace del contrattempo... Lo so, sarei dovuta essere qui… Ma, sa, di lei mi fido... sono andata a prendermi un caffè. È dalle nove di stamattina che sono ferma qua e sentivo il bisogno di qualcosa che mi sostenesse... Non c'era alcun cliente in attesa, poco fa, altrimenti non me ne sarei andata. La folla sarà venuta tutta in una volta... --

-- Io l'ho trovata qui -- affermo.

-- ... Si sarà infoltita subito dopo che sono andata via io... Sa, è da appena qualche mese che lavoro in questo ufficio... e... se lo sapesse la direzione che mi sono assentata senza permesso, non me la passerei propria liscia... comprende?.. .--

-- Si, certo, comprendo... --

-- … E..., allora?... --

-- E, allora, che?... --

-- … Non mi vuol proprio perdonare?... --

-- ... Ma io... veramente... --

-- Ce l'ha ancora con me, non lo neghi… --

-- Ma nemmeno per sogno! --

-- Non menta!... --

-- … Lo pensa proprio?... --

-- Si, lo penso...--

-- Ci tiene tanto... al mio perdono?.. .--

-- Oh, Dio! Non dovrei tenerci?... --

-- Lo chiede a me? --

-- E a chi altri, se no?... --

-- … Già… a chi altri?... Perdonarla?... Punirla, invece, dovrei!... -- sto al giuoco, io...

-- Ah!... È così?... Punirmi, addirittura, vuole!.. -- finge di scandalizzarsi lei – È proprio un sadico!...-- sorride e scuote il capo col falso atteggiamento sconsolato di chi vuole ostentatamente irretire --... In chi mi sono imbattuta, oggi!... Punirmi vuole!... Ma… forse, tutto sommato, me lo merito... E che punizione mi darebbe?... --

-- Ah, per questo dovrei pensarci… -- faccio io filosoficamente --... Eppoi non ne parlo mai in anticipo...-- continuo, guardandola di sottecchi --... soprattutto con la paziente. È controproducente e si perde l'effetto... --

-- … E perché non lo fà?... Ci pensi e lo faccia! -- fiata tutt'a un tratto lei, fissandomi con partecipazione.

Noto che il colore del suo viso s'é animato. Gli occhi le luccicano come lucciole in una sera buia. La parvenza di un fremito mi pare le sommuova a tratti il labbro inferiore e scenda ad ondate per tutte le membra.

Spinto da un insano consolidato interesse, cerco di portare più a fondo il giuoco iniziato per caso.

-- Qui?!... Come lo faccio col vetro che ci divide?... --

-- … Oh... se è per questo, il rimedio c'è... --

-- … C'é?... -- faccio io, a mia volta fomentato da una lubrica curiosità -- … Meno male... e come?...--

-- Semplicissimo: svolti in quel corridoio. Troverà una porticina sulla destra. È l'entrata di servizio. Non è chiusa a chiave... --

-- … Dice davvero?... -- esclamo, incredulo, pensando che l'insorta celia stia per finire, di colpo, da un momento all'altro, così com'è cominciata. Ma quella persiste.

-- Perché dovrei mentire?... Io non scherzo mai quando debbo... subire una punizione...-- pronunzia le ultime battute con un'espressione e con un tono inconfondibilmente invitanti.

-- ... Quand'é così, corro! -- 

Fagocitato dall'ipotesi trasgressiva e di concerto con lei che con un certo sussiego si allontana, m'avvio, con i battiti leggermente accelerati per l'insorta emozione, cercando di mantenere, comunque, un contegno normale.

Raggiungo l'imboccatura del corridoio, svolto e così come indicatomi mi trovo dinanzi ad una porticina di metallo nel vano della quale c'è già la donna pronta ad accogliermi.

Di parola!

-- ... Venga… entri!... -- mi sussurra con tono emotivo.

Mi ritrovo in un tipo di bugigattolo di stampo fra cameretta di passaggio e ripostiglio, nel quale ambiente si aprono delle porte, a destra ed a sinistra.

Ella sparisce nel vano di una di esse ed io la seguo a ruota come un automa.

Eccoci in un'ampia stanza col tetto più basso del consueto, piena di scaffali straboccanti di scartoffie, di cartelle e di panciuti faldoni.

Ella richiude con cautela la porta dietro di sé e mi addita una sedia che si trova in un angolo dell'ambiente.

-- Segga là… -- mi dice. Ed io eseguo, curioso di vedere come sarebbe andato a finire questo fortuito incontro, mentr'ella si fà a me dappresso e mi si ferma dinanzi fissandomi con palese espressione vogliosa.

-- … Ecco… ora può farlo... Mi punisca!... -- fiata con tono intraducibile -- ... Non mi risparmi... --

E, lentamente, con estrema remissività, mi prende una mano e se la stringe in grembo, mentre, chinandosi gradatamente, avvicina il suo viso al mio. Il suo prosperoso seno, ad un centimetro dal mio naso, palpita lievemente sotto l'onda del respiro emanando voluttuosi aromi di zagara primaverile.

Sono preda di intenzioni inconfessabili. Che debbo fare? Voi, al mio posto, che fareste? Eh? Dite la verità e non trinceratevi dietro il solito affettato perbenismo (questa frase mi pare di averla già espressa altrove. Mah!). Eh? Io non ho mai letto il martirologio, né conosco spirituali efficaci rimedi per allontanare simili tentazioni. Che il Cielo abbia pietà delle mie caduche forze e mi accolga fra mill'anni nella sfera dei Beati.

Così, pieno di improbe intenzioni, le cingo la vita con una mano e l'attiro a me.

Ella si affloscia sulle mie gambe e, fissandomi, mi offre le labbra per un bacio tutt'altro che casto.

È morbida come la panna montata, disponibile come la vittima votata al martirio, proclive ad ogni certame che la soggioghi, remissiva come una schiava dell'antica Roma!

Che dire di più?

Crepi Sansone con tutti i Filistei! Mi accingo a varcare il Rubicone!

Ma il Cielo (sempre il Cielo!) che ne sa una più di me e che rimane sempre preposto ad evitare guai (?), credo che (a sproposito!) abbia pietà di me e corra al mio immeritato salvamento (?).

Infatti, in quella, entra un tizio, un impiegato, con un carpettone sotto il braccio; lo vediamo avanzare al di là di alcuni scaffali mentre, allarmati, tratteniamo il fiato cercando di sfuggire alla sua attenzione. Ma il nostro è un tentativo infruttuoso, assurdo, perché, sicuramente se si voltasse, verremmo irrimediabilmente scoperti.

Così, d'un tratto, come sospinta da una molla, la mia vezzosa compagna d'un balzo si stacca repentinamente da me strisciandomi un occhio con un dito e mi addita il soffitto dove si vede una provvidenziale macchia d'umido che pare una arzigogolata pittura di uno di questi  incomprensibili artisti moderni.

-- ... È quella! -- dice la fanciulla con rinnovata sicumera -- ... C'é da questo inverno e pare che si vada allargando. Presto, se non si provvede urgentemente, coprirà tutto il soffitto.. -- Mi schiaccia  l'occhio a mò d'intesa, mentr'io mi trovo  ancora imbambolato per il repentino evolversi e mutare degli eventi. Tuttavia mi rendo conto del suo tentativo disperato e lo assecondo.

-- … Gliel'ho detto!... -- affermo -- Qui bisogna smantellare tutto… se si vuole un lavoro ben fatto. Mi creda, non c'è tempo da perdere! --

-- È quello che penso anch'io... -- ribatte la Venere con aria convinta -- … Prepari un preventivo e me lo faccia avere. Lo sottoporrò al direttore. --

-- Va bene.. -- assento io.

-- Di che si tratta? -- s'informa il tizio, probabilmente un funzionario, che, intanto, attratto dal nostro cicaleccio, s'é avvicinato e s'é fermato accanto a noi, esibendo quel tratto untuoso ch'é proprio dei funzionari di certi uffici e rivolgendosi alla mia leggiadra interlocutrice.

-- … Mah… di questa umidità... -- fà lei, additandola -- ... Qui, il signore… -- e indica me -- … è architetto e potrebbe essere la volta buona per togliere definitivamente questa macchia d'umido. No?... --

-- Si, si… -- conferma il tizio -- ... ma non viene dall'esterno. È dal cesso di su, che viene. Perde e bisogna sostituirlo. Tutto qui. Non credo che ci serva un architetto, cara Marisa... --

Rimango come un sasso buttato nella spazzatura.

Poco più tardi, allo sportello, Marisa mi fà l'operazione per la quale ero venuto. Il suo sguardo è sempre invitante, ma appare deluso. Pensate un po' quale può essere il mio!

-- ... Spero di poterti rivedere... -- le sussurro prendendo commiato.

-- … Anch'io... -- fiata lei.

Ma la cosa non andò mai ad effetto perché qualche giorno dopo, quando ritornai in quell'ufficio spinto da una considerevole fregola non la trovai più e seppi che era stata trasferita altrove.

 

Cefalù......                                                                                                                                                                      Giuseppe Maggiore