"La lucerna del sapere"

Ritratto di Giuseppe Maggiore

26 Marzo 2015, 19:59 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

Versione stampabileInvia per email

"LA LUCERNA DEL SAPERE"
Italo Piazza.

L'uomo. L'esponente di una cultura popolare. Il padre di famiglia. L'autore.
("Multa paucis" -- molte cose in poche parole).

 

Foto di Leo Ruvituso

 

Conosco culturalmente Italo Piazza come un iniziato alla malacologìa ed alla filatelìa; lo conosco, anche, come attento osservatore della realtà contingente, come riesumatore di una esistenzialità  antropologìca  pregressa, proclive, seppure informalmente, ad affidare alla scrittura i propri ricordi, le proprie impressioni,  le proprie notazioni, i propri pensieri.

Non è uno scrittore, Italo, nel senso più puro del termine (è lui stesso a riconoscerlo ed a protestarlo); intellettuale, si (felicemente La Grua lo connota con l'appellativo "da strada"), depositario di un sapere ancestrale, faticosamente acquisito e profferto.

Ciò che raccoglie, deduce od osserva, Egli sa, con molta semplicità e sagacia, metterlo in carta e farsi capire.

È un comunicatore nato. In ogni caso è artista.

Lo conosco, altresì, per le sue costanti virtù sempre mostrate: educazione e disponibilità; oltre che come amico, concittadino ed amorevole padre di famiglia. Non ne conoscevo, invece, la latente vena verghiana intimista, che scaturisce, palese, dai suoi assunti, la certosina tendenza mirata alla plurima ricerca, lo spiccato senso dell'umano e la indefessa curiosità che lo porta ad interessarsi di varie cose.

E se vogliamo, comunque, essere esaurienti e completare un quadro definendolo nell'alchimia del suo colore, debbo pure annotare che alcuni anni fa ha ricoperto un ruolo in un mio film di produzione indipendente, "Interludio", assieme a Nico Marino, Pio Pollicino, Leandro Parlavecchio e molti altri. Ha fatto anche l'attore, quindi.

Qui, mi interessa solo la sua caratteristica lessicale, però.

Nel 2008, meravigliandomi, mi ha offerto in lettura tre suoi testi, richiedendomene un parere: "La scuola. Ricordi di fanciullezza", "Il pescatore e la sirena" e "Guglielmo, il principe mostro".

Al di là del fatto (mi permetto di osservare all'Amico Italo) che i detti testi, nell'ottica di una loro ipotetica pubblicazione (perché lo meriterebbero, per la spontaneità con cui sono stati concepiti e licenziati e per la affettiva tendenza dell'autore all'esternazione autobiografica), andrebbero sottoposti ad una doverosa revisione analitica sia nella sfera linguistica che nella punteggiatura, non posso fare a meno di notare in essi una sensibilità portata all'estremo che ne qualifica gli assunti elevandoli al tono di ben più alti componimenti, quali: "Le Rimembranze" di leopardiana memoria o "Ricordi di scuola"di Mosca, o "I miei ricordi" di D'Azeglio o altre esternazioni rammemorative di similare concetto, frutto della poetica di opere di conclamati autori dove la sincerità fà scuola.

Io penso che chi scrive, anche a livello fortuito od amatoriale, non si limiti a comporre solo tre testi, stando a quelli fornitimi dal Piazza. Non ci si improvvisa scrittori di giornata, insomma, o di strada e, data la stura ad un primo impulso, si posi la penna e ci si dimentichi di essa.

Sicuramente Italo avrà scritto altre cose, in epoche diverse, non portate alla pubblica fruizione per la naturale modestia che lo contraddistingue, fissando sulla carta i propri pensieri, le proprie emozioni, i propri sentimenti;  oltre, naturalmente, agli articoli sulla malacologìa e sulla filatelìa, a suo tempo apparsi sul periodico "Il Corriere delle Madonie" di indistruttibile memoria ed oggi continuati sui locali giornali telematici di informazione; interventi acculturanti che io ho avuto l'agio di leggere con grande attenzione e di apprezzare.

Ma, principalmente, Piazza rimane un inveterato collezionista, raccoglitore di conchiglie, estimatore di originali bolli postali, di francobolli e di quant'altro, del quale materiale è attento studioso e classificatore.

La sua curiosità culturale  trasmigra e si esplica in svariati settori.

Non è inusuale, infatti, la molteplicità di interessi in un artista.

La passione  per l'arte è plurima, non si esaurisce in una sola forma, in una sola dimensione, in una sola direzione. La tendenza individuale preminente si rivolge ad una sola di esse, è chiaro, alla più congeniale; ma altre varie diramazioni sovente non mancano.

Così lo scultore è spesso anche pittore e a volte anche letterato; il musicista è anche botanico o accordatore e l'architetto non è raro che faccia cinema o che indulga nella disciplina scenografica del teatro.

Il talento sfocia nell'universale perché la dottrina è poligama.

Italo gravita, inoltre, in una dimensione familiare dove l'arte è di casa: ho il piacere di conoscerne un fratello, apprezzato Architetto ed un secondo, pregevole miniaturista.

Ricordiamoci che la caratteristica precipua dell'intelletto umano è la poliedricità.

"La scuola. Ricordi di fanciullezza", sfogo di natura intimistica scritto con l'anima e senza alcun intendimento letterario (e, sicuramente, per tale motivo appare più schietto, più diretto e più coinvolgente), scava oniricamente nel fondo della memoria dell'autore mettendo a nudo l'allora suo giovane "io" focalizzato nell'impatto con le sensazioni prodotte dalle sue prime esperienze esistenziali.

Gli episodi de "Il barbiere", de "Il maestro", de "I compagni di scuola", de "Il compito e la sfida", tanto per citare alcuni brani tra i numerosi altri che compongono il testo, rappresentano una scansione metrica d'effetto che indaga analiticamente nel mondo dell'autore, nel suo modo di rapportarsi alle vicende che lo concernono, nel suo habitat esistenziale e culturale.

In piena onestà intellettuale debbo affermare che questo suo testo mi riporta vagamente (come ho alluso prima) al Verga, al primo D'Azeglio ed anche al Tomasi di Lampedusa dei racconti.

E forse per ciò mi è più congeniale.

Poi c'è il Piazza delle favole, delle novelle per ragazzi, delle fiabe.

Ed a questo filone narrativo vanno ad allogarsi gli altri due testi da me considerati: "Il pescatore e la sirena" e "Guglielmo, il principe mostro".

La componente favolistica, onnipresente nell'autore soprattutto quando riporta alla memoria e sulla carta sensazioni e fatti derivanti dalle occorse personali vicende, adombrate fra le righe da una gioiosa malinconìa, venate a tratti dalle spire di uno struggente afflato che non scade mai nel patetico, non è secondaria all'impulso a scrivere.

È latente e mimetizzata, pronta, comunque, a sprizzare, a scattare, ad esteriorizzarsi non appena l'indirizzo compositivo ne fornisca l'occasione.

In tali componimenti la fantasia del Nostro, spesso trattenuta dalle pastoie di una discrezione preponderante, è felice di potersi librare, con o senza le ali di Icaro, in un universo immaginifico di propria fattura, autogestito e regolato, dando corpo a personaggi, naturalmente irreali ma ispirati a gente comune, i cui atteggiamenti, caratteri e sentimenti riecheggiano tratti e situazioni esclusivamente riconducibili a motivi quotidiani ed usuali.

Il rapportarsi col proprio ambiente, cogliendone gli spunti che sono propri di una cultura popolare sicuramente completa ed esaustiva, in generale, ed del mondo delle favole, in particolare, rappresentano per il nostro autore il mezzo più immediato ed efficace per affrancarsi da una realtà spesso non gradita, perché semplicemente poco connaturata alle proprie esigenze caratteriali: un rifugio reattivo eletto a schermo contro le inevitabili insoddisfazioni esistenziali; uno sfogo dell'anima che nell'esteriorizzarsi trova la sua più concreta dimensione.

"Ciò che noi viviamo nel sogno..." come ebbi altra volta a ricordare, secondo Nietzsche "... ammesso che lo viviamo spesso, appartiene in definitiva all'economia generale della nostra anima, come una qualsiasi esperienza veramente vissuta..."

E Italo vive in questi suoi transfert che lo immergono in una dimensione nella quale, fra le quinte, è lui stesso ad agire, a gioire od a soffrire con i personaggi o gli accadimenti che escono dalla sua fantasia o dalla sua memoria; come un "deus ex machina" egli è là, in mezzo a loro: fà parte, inconsapevolmente, di una dimensione da lui stesso creata "ad usum delphini" pur dirigendone sentimenti ed azioni.

Ogni autore vive nella propria opera e, di certo, anche per essa; e poiché io qui mi trovo a disquisire di un artista, seppure "da strada", amalgamato e ben inserito nel contesto del suo acquario, come tanti altri ve ne sono, non posso che utilizzare vocaboli e frasi che rappresentano un patrimonio comune di riferimento per tutti loro e che precedentemente io mi sono trovato a dover usare trattando della stessa materia.

In buona sostanza (e qui mi appare utile proporre a mio favore il concetto "Cicero pro domo sua"), essendo tutti gli autori pervenuti all'arte suppergiù per le stesse esigenze espressive, di riscatto del  finito e di accesso all'infinito, oltre che per ambizione (perché l'arte è innata nell'animo umano -- c'é chi riesce a raggiungerla e chi no, secondo le personali sfaccettature caratteriali, secondo il coacervo dei propri cromosomi, validi o meno all'esternazione, insomma --), spinti, cioè,  da quella medesima molla che tende a mondare l'uomo dalla caducità della materia e ad innalzarlo alle supreme vette delle possibilità spirituali, aspirazione legittima quale, soprattutto, quella di affrancarsi da una realtà che non soddisfi, che stia stretta, che dia dolore, che umili, che non ripaghi, che porti incomprensione e quant'altro, debbo, così, necessariamente, rifarmi, ripeto, all'abusato linguaggio già in precedenza da me speso per descrivere le stesse cose.

Non posso, in buona sostanza, cioè, inventare nuovi vocaboli, nuovi modi di dire, nuove frasi idiomatiche per delineare e circoscrivere il processo di identificazione dell'autore con l'opera creata e la sua auspicata ascesa alle incommensurabili vette di uno spirituale Olimpo.

Così ne "Il pescatore e la sirena", lui, Piazza, è "lo zio Pasquale" che racconta, partecipando emotivamente alla dimensione favolistica trattata in una osmosi esistenziale di immedesimazione ben nota a pensatori del calibro di un Freud e di un Fromm.

Nel "Guglielmo, il principe mostro" l'autore s'inoltra direttamente nel racconto d'appendice, nel feuilleton storico, col gusto indimenticato del fanciullo curioso di conoscere i risvolti di una intricata vicenda, di immergersi in una storia in cui le trame del buono, del cattivo, del mediocre, del potente e della vergine inesperta si alternano in una appassionata ed appassionante girandola  che tiene in sospeso per la sua apparente drammaticità, ma che prelude ad un finale dove tutto si sistema, dove tutto si accomoda ed ogni cosa ritorna al proprio posto, nell'ordine cosmico precostituito.

In questi primi lavori, nei quali si ravvisa il tentativo di una prosa non sempre rispondente alle intenzioni che l'hanno mossa, c'é, comunque, tutto il senso della poetica degli anni in cui la maturazione dell'artista prendeva piede e si consolidava.

Così, per naturale evoluzione, adesso è venuto fuori un testo, che, riscattandosi dalla incerta prima maniera, per tematica e per stile, vuole riportare al presente una obsoleta memoria ancestrale di un "nus"  (Nietzsche) culturale nostrano di indubbia valenza culturale.

Su questa raggiunta maturità del Nostro s'incardina e prende piede l'attuale raccolta intitolata "Zibaldone", un coacervo di appunti di carattere etno-antropologico, pazientemente raccolti negli anni e che rappresenta l'apoteosi di una capillare ricerca.

Debbo di primo acchito osservare che questo titolo attribuito al testo, "Zibaldone", non mi pare rispecchi una soluzione felice, seppure confacente al tema discusso (a non voler considerare il fatto che Leopardi l'abbia già immortalato in una sua opera); sicuramente era più originale ed esplicativo quell'altro "Un salto nel passato", ritengo, o qualcosa di similare che il Piazza stesso aveva ipotizzato, ma che poi, seguendo il suggerimento di un amico, ha mutato in quest'altro da me non eccessivamente apprezzato.

Il libro si presenta come un contenitore di utilissime notazioni su cantilene, filastrocche, nenie, modi di dire e di pensare, ricette di cucina, novene, fotografie di personaggi caratteristici, argomenti che hanno plasmato la ribalta conoscitiva di una Cefalù perduta (o, quantomeno, obsoleta) che ritorna attiva e vegeta riesumata dalla memoria.

Italo Piazza, stigmatizzato con l'appellativo "intellettuale da strada" è e rimane una personalità perspicace, estroversa, poliedrica che tratta con amore tutti gli argomenti che tocca e che con quest'ultima sua fatica zibaldoniana ha voluto fornire un sensibile contributo alla riscoperta delle nostre più recondite tradizioni.

Se non è uno scrittore sul vero senso della parola, se non altro è un attento "applicato alla scrittura", personaggio di spicco nella nostra cefalutanità.

Le sue notazioni sono "fresche di giornata", colte nel rugiadoso mattino di una popolare conoscenza e tratte con immediatezza dalla contingente realtà di cui siamo permeati.

 

Cefalù, Marzo 2015.                                                                                                                                                Giuseppe Maggiore