Populismi e impotenze

Ritratto di Angelo Sciortino

27 Febbraio 2013, 14:06 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Le elezioni sono ormai definitivamente concluse, ma sembrano non volere concludersi i commenti dei politici, tutti impegnati a dimostrare l'indimostrabile e ad andare sempre più fuori tema, come scrivevano i maestri a commento dei temini dei loro giovani alunni.

Nel nostro caso la differenza è una sola: che spesso gli alunni non sono giovani, ma uomini maturi, almeno anagraficamente, perché tali non sembrano per carattere e cultura.

Detta questa piccola cattiveria, cerchiamo di capire che cosa è accaduto e perché è accaduto.

Ormai da troppi anni i cittadini chiedevano il diritto a una maggiore partecipazione alla vita politica e maggiore onestà (o, quantomeno, minor numero di ladrocini), ma i cosiddetti partiti politici non volevano tener conto di questa richiesta, che ormai, grazie a Grillo, era divenuta pressante. Non credevano, gli arroganti supponenti uomini politici, che offrire agli elettori l'occasione elettorale, ma senza la possibilità di scegliere i candidati, fosse sufficiente per tacitarli. Né questa classe politica si rese conto che i propri privilegi e quelli dei propri clienti erano divenuti, per la crisi economica internazionale – ma italiana più gravemente, troppo stridenti con la fatica giornaliera dei pensionati al minimo a mettere insieme il pranzo con la cena; altrettanto stridenti con la difficoltà di tanti cittadini ad arrivare allo stipendio successivo, per mantenere dignitosamente la famiglia; stridenti, infine, con la disperazione dei giovani, che si sentivano inermi e impotenti contro il mancato riconoscimento del merito e la contemporanea mancata punizione dell'indegna pratica della raccomandazione.

Ma il troppo è troppo: appena giunta la “rivoluzione Grillo” ne hanno subito approfittato. Ed è stato inutile dire che forse quella rivoluzione avrebbe potuto distruggere il loro futuro, perché erano convinti che tale futuro fosse già distrutto e a distruggerlo erano stati proprio quei politici, che ora chiedevano fiducia. Questo era troppo!

Un partito aveva visto nascere al suo interno una flebile speranza di cambiamento: il PD. Gli uomini politici da rottamare, però, si sono comportati come gli infanticidi: hanno fatto morire il neonato movimento di Renzi ai primi suoi vagiti. Bravo Bersani! E bravi tutti i suoi sostenitori, che con la loro arroganza e la loro difesa a oltranza del vecchio, ormai in odio a tutti i cittadini, adesso si ritrovano come Pirro dopo la battaglia di Benevento, vincitori, ma costretti alla fuga.

E come fuggono i politici, se non nascondendo o mistificando la realtà di fronte ai loro giudici, gli elettori basiti e preoccupati? Così, eccoli lì a gingillarsi con i numeri, per coprire con essi un vuoto di pensiero, l'assenza di un pentimento, l'ammissione di avere sbagliato.

Di fronte a questo PD incapace a rinnovarsi ha avuto facile gioco il PDL, che un battagliero Berlusconi ha utilizzato come strumento per l'esercizio nel quale è stato sempre bravissimo: il più rancido e pericoloso populismo. Un populismo che gli ha dato una quasi vittoria grazie proprio al mancato rinnovamento del PD.

E qui tutto comincia a diventare più chiaro: a vincere sono state due facce del populismo: quello ancora innocente del movimento di Grillo e quello colpevole di Berlusconi. A perdere, invece, chi non ha saputo rispondere alle pressanti richieste della società, il PD.

Monti e Fare sono stati un tentativo di risposta non populistica né arrogante, ma non potevano avere successo, annegati nel mare di menzogne, di veleni e rimbambimento generalizzato, che i due movimenti populistici e il partito dell'impotenza avevano usato per inondare la campagna elettorale, portando così le radici delle nascenti pianticelle a marcire prima ancora di poter dare frutti.

Fino a quando sarà così? Fino a quando la nostra povera Italia continuerà a dar vita a piante infestanti come il PDL, M5S e PD?