Contro la magistratura per lesa divinità

Ritratto di Angelo Sciortino

12 Marzo 2013, 11:04 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Quel ch'è accaduto ieri rappresenta, a mio parere un fatto di gravità eccezionale. Cento e più parlamentari del PDL hanno “marciato” per protestare contro una certa Magistratura, rea di perseguitare il divino Silvio. Non hanno considerato, questi parlamentari, che sono stati eletti per rappresentare e discutere in Parlamento tutti i problemi del Paese – e fra questi quello della giustizia, che fra tutti è il più importante, come ben venticinque secoli fa sottolineò Socrate. Hanno preferito la piazza, simili a tifosi di una squadra di provincia; come quei tifosi, che sventolano persino una bandiera con la svastica, ignoranti di quel che essa rappresenta culturalmente, storicamente e moralmente.

Mi permetto di suggerire a questi parlamentari-tifosi alcune considerazioni sul presunto problema della persecuzione del loro dante causa e sulle ragioni vere del cattivo funzionamento del nostro sistema giudiziario. Perché, ammettiamolo, funziona veramente male e quel che si salva lo si deve a quei magistrati – pochi in verità – che fanno il loro dovere non soltanto con perizia professionale, ma anche con tanto buon senso e con abilità psicologica.

E qui nasce il primo vero problema, che per vent'anni questi parlamentari-tifosi non solo non hanno risolto, ma persino posto correttamente sul tappeto. Un problema che l'Inghilterra e gli Stati Uniti hanno risolto fin dall'inizio della loro storia democratica: quello della selezione dei magistrati.

Nell'Europa continentale e in Italia soprattutto tale selezione avviene attraverso la verifica del possesso delle sue nozioni teoriche e senza l'accertamento delle doti pratiche del candidato. Nel sistema inglese, invece, vengono selezionati coloro che per molti anni hanno dimostrato sul campo le doti necessarie e l'equilibrio indispensabili a essere un buon giudice. Il risultato di tutto ciò è la trasformazione di quel che fu, con Roma, la patria del diritto in tomba della giustizia. O, se vogliamo usare un'espressione affermatasi recentemente, in culla vuota del diritto.

C'è dell'altro, purtroppo. Nei processi, soprattutto civili, la trattazione è continuamente mortificata da assurdi rinvii di mesi e persino di anni e la dialettica del procedimento è ormai un misero simulacro di dibattito orale, come in Cassazione, dove vi sono esempi di replica non permessa.

Diversamente da quanto avviene nell'ordinamento inglese, dove il processo viene tenuto in attesa, finché non si è in grado di avviarlo senza pericolose perdite di tempo, cadenzate da rinvii.

Aggiungo pure che anche quando il processo viene trattato, si è più attenti ai formalismi e non alle reali esigenze di giustizia, che dovrebbero imporre l'interpretazione delle leggi secondo quella che gli Inglesi (sempre loro!) chiamano natural justice.

Ultimo punto, quello riguardante l'ammissione dei capitoli di prova e quello esclusivo di interrogare i testimoni, affidati al giudice, e privando così del diritto di provare la propria domanda.

Preciso di non essere avvocato né uno studioso di diritto, per cui le mie osservazioni potrebbero essere persino superficiali, se non proprio sbagliate. Mi auguro che qualche avvocato, che mi legge, voglia essere così cortese di correggermi, se ho sbagliato, di confortarmi, invece, con la sua condivisione, se ho sollevato problemi veri del nostro sistema giudiziario. Problemi che i parlamentari-tifosi non hanno sollevato per anni e che soltanto incidentalmente riguardano il loro leader.

Qualcuno si chiederà: che cosa c'entrano questi problemi con Cefalù?

A questo qualcuno rispondo: perché, Cefalù è fuori dall'Italia?