“Nelle latomie della storia”

Ritratto di Giuseppe Maggiore

11 Giugno 2016, 14:42 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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NELLE LATOMIE DELLA STORIA

 

Sabato, 5.  

"Sala delle Capriate" (odierna Sala del Consiglio) del Comune di Cefalù.

Ambiente decorosamente affollato in una assolata serata di Giugno; prodromo dell'imminente estate.

Assiso sullo scanno centrale dietro l'ampio imponente bancone di pertinenza istituzionale (ci troviamo nel sancta sanctorum del palazzo di città), lui, il conferenziere di turno, l'esimio Prof. Angelo Rosso, del fu Saverio (come ebbi a connotarlo altrove), già docente di lettere italiane e di latino e greco negli Istituti superiori, nonché Dirigente Scolastico a Trabia e Preside dell'Istituto Onnicomprensivo a Termini Imerese, oggi in pensione.

Immagine di archivio

Gli fanno corona i relatori a latere: la D.ssa Flora Rizzo, nella veste di Consigliere Nazionale dell'Archeoclub d'Italia, nell'ambito del quale sodalizio l'attuale manifestazione trova corpo, il Prof. Antonio Franco, Presidente del Consiglio dell'urbano Comune, scrittore, saggista, instancabile oratore ed insegnante presso il locale rinomato Liceo Mandralisca che ebbe l'onore di avermi a discente ed infine, la preclara Assessora, D.ssa Antoniella Marinaro, duttile personalità in più rami versata, sempre disponibile a partecipare a simposi culturali e verso la quale nutro una grandissima stima (ricambiata, spero).

Già questo parterre di accreditate presenze dà un certo tono all'incontro della serata: una conferenza  del citato Prof. Angelo Rosso sul tema "I Romani, grandi costruttori dell'antichità - Il sistema viario dell'impero".

L'iniziativa, promossa, come accennato, dall' "Archeoclub d'Italia" sotto il patrocinio del Comune di Cefalù, si inserisce in un ben più ampio progetto nazionale dell'anzidetta Associazione dal titolo "Le vie consolari romane", argomento che propone una ricerca storica, archeologica, culturale e sociale sulle testimonianze dei tracciati viari realizzati dall'amministrazione romana dell'epoca.

Certosino lavoro di non facile impegno, ma che, approfondito a dovere, come è risultato dalla profferta congrua disamina, ha messo in evidenza un aspetto, spesso obsoleto se non addirittura ai più sconosciuto, dell'inventiva, del tecnicismo, della competenza architettonica, della raggiunta civiltà di un popolo, i Romani, nello storico periodo del loro maggiore fulgore che copre un arco di tempo che si dipana da prima a dopo la nascita di Cristo.

Della valentìa, dunque, si parla, che questa atavica progenie mostrò nella costruzione di acquedotti, ponti, terme, anfiteatri, cloache, opere urbanistiche, ma, soprattutto, nell'apertura di vie consolari e strade secondarie, vestigia di mirabile ingegno ancor oggi perduranti,  che sfidano l'eternità.

Mi si è aperto dinanzi uno squarcio, una fessura, uno spiraglio, una breccia, uno spaccato, su una importante parte dello scibile, a me al 90% desueto: quello della viabilità in Sicilia al tempo dell'impero romano, rete stradale efficiente, sulla quale, poi, in buona parte, si innestò quella odierna.

Ho appreso, così, l'esistenza di una via Elorina, di una via Seleuntina e d'altre, percorsi radiali che, partendo da determinati centri, consentivano il trasporto delle merci sino alla costa della nostra tormentata Trinacria, laboriosa fucina di eclatanti civiltà, spiagge da cui, poi, venivano spedite per via mare a Roma ed altrove.

Ho avuto, inoltre, modo, inoltrandomi anche per conto mio nella complessa materia, sicuramente invogliato dall'interesse che la prolusione dell'ottimo anfitrione ha fatto insorgere in me, di apprendere notizie circa le antiche carte stradali: l' "Itineraria scripta" e l' "itineraria picta", per esempio; le une, esclusivamente espresse in forma lessicale,  costituite da disegni, le altre.  

Entrambe davano contezza sia delle distanze che intercorrevano da un centro all'altro che l'arteria toccava, sia, anche, dell'esistenza dei vari luoghi di ristoro,  bettole, locande, terme e quant'altro (stationes), che erano dislocate lungo il percorso, alloggi dov'era possibile per i viaggiatori fermarsi per potersi riposare; davano contezza, altresì, dei vari fondaci attrezzati per il  cambio dei cavalli (mutationes). Non dimentichiamo che questi animali rappresentavano allora per i trasporti quello che oggi rappresentano i motori.

Tali notizie, così come è stato espresso dallo Stesso oratore, pare siano riportate, oltre che da Cicerone, anche da due antichissimi documenti coevi: la "tabula pentigeriana" e l' "itinerarium Antonini".

La prima, "itinerarium pictum", documento costituito essenzialmente da disegni riportanti i vari tracciati, cioè, contiene, come sopra annotato, l'indicazione delle dette varie stationes e mutationes; la seconda presenta anche note precedute dalla dicitura "mansionibus nunc institutis" riguardanti, addirittura, l'indicazione di un efficiente servizio postale.

Questa realtà obsoleta, sepolta sotto la fitta cenere dei secoli, è emersa, dunque, portata alla luce,  chiamata alla ribalta, rievocata, riscoperta con estrema cognizione di causa, insomma, con certosina cura e profonda passione dal prefato oratore.

Il Nostro non è nuovo a simili esibizioni conferenziali.

Il suo particolare modo di esporre, piano, pacato, suasivo, con pause tonali di sapiente effetto, acculturato quant'altri mai, ha tenuto l'uditorio in un clima di costante attenzione.

Ho già scritto su di lui nel mio articolo pubblicato su questo stesso foglio telematico in data 18 Maggio 2015, in occasione di una sua conferenza su Federico II, stupor mundi, enunciata con indiscutibile efficacia.

Bisogna, comunque, riconoscere che il suo humus intellettuale proviene da un habitat familiare di tutto rispetto in cui l'elemento formativo precipuo si fonda sul concetto della lealtà professionale, dell'accurata ricerca storica e della passione per la cultura in genere; famiglia in cui, cioè, il pallino del sapere rappresenta il più appariscente "vizio".

Il padre, infatti, Prof. Saverio Rosso, fu anche lui insegnante di latino e greco presso istituti superiori; uomo facondo, di grande cultura, poeta, lettore accanito con l'hobby dei viaggi  (ha girato il mondo traendone un'ampia conoscenza ed un grande giovamento spirituale che poi ha trasfuso ai figli).

Il fratello, Prof. Vincenzo Rosso, mio amico dichiarato, marito dell'eclettica artista Anna Maria Micciché che una ne pensa e cento ne fà, insegnante emerito pure lui, versato nelle galliche lettere, personaggio di spicco nella rutilante realtà cefaludese che conosce a menadito vita, morte e miracoli di tutta la numerosa stirpe asburgica, per non parlare dei Conti degli Hohenstaufen il cui credo dinastico veniva riassunto nella latina memorabile frase "Nihil sine Deo" (pensate: si corica col pensiero degli Hohenzollern la sera e si alza con quello dei Barbarossa la mattina; tanto che non ho mai capito come possa non soffrire d'emicrania, atteso tutto questo grande lavorìo che il suo cervello è costretto a digerire).

E, non ultimo, il forbito oratore, fulcro dell'attuale interessante serata: il Prof. Angelo Rosso, di cui in narrativa.

Una triade perfetta, tre eclatanti esempi di un ramo culturale ben definito che hanno sempre tenuto alto il livello della conoscenza; e ciò perché la valenza dell'uno vale quella degli altri e tutte e tre si equivalgono essendo esse valenze complementari, interdipendenti e biunivoche.

Ma ciò che più mi ha colpito, e qui lo ripeto ribadendolo, è la palese sicumera verbale dell'oratore, la sua esposizione chiara, coerente, il tono suadente dell'eloquio, persuasivo, la capillare conoscenza dell'argomento trattato, profonda, la dizione accurata e calibrata spesa nell'eloquio, fattori, questi, che hanno incrementato la ricettività di quanto esposto.

Presenti fra il pubblico la Sig.ra Rosalinda Brancato, Presidente della sede di Cefalù del prefato sodalizio, il Dr. Roberto Barranco ed altri encomiabili cittadini.

Per concludere: come mi accade a volte, sono partito per parlare di una conferenza, di un personaggio, di un professionista, di un oratore, Angelo Rosso nell'odierno caso e poi, ampliando la scaletta del mio pensiero, mi sono trovato a parlare anche del suo privato, presentando un apprezzabile coacervo umano: "Gruppo di famiglia in un interno".

Forse l'ho anche fatto a ragion veduta perché, ove mi fossi limitato a spendere poche semplici parole sul personaggio, sul tema e sulla relazione (la cosa sarebbe stata più facile e sbrigativa), il testo sarebbe venuto molto esiguo e, se mi consentite, privo di scenografia di contorno; ed io, come è notorio, non faccio cronaca e quando pongo mano a penna spesso mi lascio andare nella esposizione rischiando di diventare prolisso, lo ammetto, ma il testo viene più saporito, più corposo, più aulico, più ridondante, almeno credo. La laconicità non mi appartiene; questo è uno dei motivi per cui non amo la forma di Sciascia ma prediligo quella di Manzoni!

In tal senso, come ho sovente asserito altrove (e questa volta, di proposito, lascio il latino e mi esprimo in italiano): "Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra!".

Cefalù, Giugno 2016.

                                                                                                 Giuseppe Maggiore