La sconosciuta

Ritratto di Giuseppe Maggiore

2 Febbraio 2017, 14:57 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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LA  SCONOSCIUTA
(punctum saliens - Aristotele)

 

"... Il treno correva su un tratto erboso, privo di rotaie... Ad un certo punto s'inoltrava sul mare, sfiorando le onde. Il bigliettaio comparve entrando dal finestrino; ma non mi trovavo in una  carrozza ferroviaria. Allora una donna, che stava seduta accanto a me e che aveva le fattezze della mia metà, ma non era lei, si alzò d'improvviso e prese a schiaffi una ragazza straniera che passeggiava in quel momento sulla pedana della stazione. Questa, quindi, si attaccò all'allarme del treno e non lo lasciò più...".

Ma, ecco l'aggancio alla realtà: il suono stridulo dell'allarme (me lo sento fischiare ancora nelle orecchie, sibilo lancinante, quasi volesse perforarmi i timpani) con effetto di dissolvenza sonora, incrociata, si tramuta nel trillo prolungato del telefono.

Freud annota che il sogno rappresenta la realizzazione di un desiderio insoddisfatto e che, in ogni caso, è e rimane un sintomo nevrotico, manifestazione evidente del materiale mnemonico che giace, rimosso, nell'inconscio; assume, infatti, che "... la condensazione, insieme alla trasformazione dei pensieri in situazioni, è la più importante e tipica caratteristica del lavoro onirico...";  ed aggiunge che attraverso l'analisi si osserva che  "... il contenuto manifesto dei sogni concerne materiale del tutto diverso da quello dei pensieri latenti...", e nel suo testo <L'interpretazione dei sogni>  sancisce che "... le esperienze infantili hanno una parte anche in quei sogni il cui contenuto non lo avrebbe mai fatto supporre...".

Come si può intuire, la materia è vasta e capillare ed è necessario un allenamento psichico costante ed uno studio stringato per raggiungere una spiegazione sufficientemente comprensibile,  aderente ai significati onirici confusamente espressi.

Ma pur alla luce di queste autorevoli considerazioni, per quanto io mi affanni, ora, da sveglio, pur con un residuo di peso allo stomaco per la cena di ieri sera, tentando una qualsiasi autoanalisi delucidativa della mia subìta notturna allucinazione, come mi suggerirebbe Lui, l'autore de "Il sogno" e di altri consimili testi, non mi è dato di trovare connessione logica alcuna tra il descritto accadimento onirico a me occorso ed il desiderio intenso di patate fritte che, ieri, mi aveva pervaso per tutta la giornata.

Infatti, ditemelo un po' voi, come possano avere una colleganza logica il treno, le rotaie, il mare, il bigliettaio, la donna che sembrava mia moglie, gli schiaffi che questa elargisce ad una ipotetica ragazza straniera (e poi, perché straniera? Forse perché l'essere bionda, con i capelli a caschetto, giovane e longilinea e inoltre ben carrozzata, è sinonimo di stranierismo o, comunque, di nordica matrice?) con l'allarme, il trillo del telefono e le patate fritte?

Bisogna scomodare il nietzscheiano "nus" o l' "autochiarificazione" di Fromm o il "bovarismo" di De Gaultier o, addirittura il "kamasutra" di Vatsyayana per venire a capo di questa spinosa faccenda? Oppure, con dionisiaca consapevolezza, bisognerebbe attuare una drastica emblematica riduzione dalla complessità dell'esasperante molteplice a quella semplice e salvifica dell'unità, in modo da estrapolare dall'astruso groviglio del sognato quel motivo conduttore che consenta, come una bussola, con intelligenza, di uscire dal labirinto della mentale incoata confusione?

Mah! Vai a correrci dietro all'onirico!

E più mi metto di buzzo buono per tentare di dipanare questa informe psichica imbrogliata matassa, più, ahimè, resto scornato. Perché, e qui, a mio discapito, lo debbo pure ammettere: se m'inoltro in un astratto ragionamento io mi perdo come il classico ago nel pagliaio, ed alla fine, ciò che prima mi pareva essere a levante, ora me lo trovo a ponente; perché, a sceverare certi comportamenti mnemonici, certe ancestrali situazioni, certi improbabili accadimenti che ai savi paion piani ma che a me, tapino, si mostran come  inscalabili impervie rocce e profondissime abissali lagune, c'é da perderci il cervello intero, se non  quel poco che se ne ha.

Ad ogni modo, mi sono svegliato, e di questo son certo e non ho bisogno di Freud, di Nietzsche o di Fromm o di quant'altri (Parmenide compreso!) per constatarlo, sono le sei del mattino, il fischio dell'allarme del treno si è completamente dissolto come nebbia al sole, il telefono continua a trillare ed io mi trovo a ciabattare nella sua direzione, se non altro per farlo tacere; ma mi sento preda di una certa irrequietezza, però. Perché queste benedette telefonate mattiniere, fatte alle sei, appunto, mi dimostrano a chiare note che l'incognito interlocutore che si vuol mettere in contatto con me non ha potuto aspettare che si facciano le otto od un orario più consono, per l'urgenza della comunicazione da appalesare.

E questa urgenza, non dico che mi faccia proprio paura, no, ma mi impensierisce, mi frastorna, mi agita, mi scombussola, come ho accennato, togliendomi quella serenità che il clima della notte, seppure infastidito dalla pesantezza delle patate fritte, mi aveva precedentemente elargito. La informazione a trasmettersi, infatti, potrebbe risultare foriera di una qualche cattiva notizia: per esempio, potrebbe riguardare la salute di un congiunto, di qualche amico o, traslando su un altro piano, potrebbe trattare di qualche nuova tassa dimenticata da pagare (a me non succede mai di dimenticarle; anzi, quando arrivano, più presto me le levo d'attorno e meglio mi sento), o che so io e tutti, per inveterata esperienza, sappiamo benissimo che l'orario maggiormente deputato a simili cattive nuove è, perbacco, quello.

Tuttavia, non sto più a pensare e prendo il ricevitore.

Con voce rauca (sono le prime parole che spiccico oggi, abbandonato il letto) e secondo l'abusato stile cinematografico a me molto congeniale, pronunzio il rituale interrogativo bisillabo "Sì...???"

- Parlo col dottor Narci?... - s'informa dall'altro capo del filo una sconosciuta ed insignificante cavernosa voce maschile.

- Ha sbagliato numero! - taglio corto e riattacco. Scocciato, ma sollevato che non si tratti di alcuna cattiva notizia di salute o d'altro.

Neanche faccio quattro passi verso il cesso, quando l'utile surrogato della reale presenza temporale di due interlocutori, generato dall'acume gnostico del suo primo inventore, ritorna a cicalare ciclicamente, insistente e petulante.

Ora basta, per Giove!

Ritorno all'apparecchio con la mosca al naso (per non annoverare anche l'altra, quella volante, la "nubecola", che, saltuariamente da qualche tempo onora il mio occhio sinistro), pronto a ribadire all'anonimo che non solo ha sbagliato numero, ma che, vergognosamente, inconcepibilmente ed assurdamente continua a farlo, mettendo a dura prova la mia pazienza di persona educata, corretta e gentile; e prendo d'impeto il ricevitore.

- Non sono Narci! Non voglio esserlo! Non lo conosco nemmeno! Finiamola con questa storia! - quasi grido, prima ancora che quello, all'altro capo del filo, abbia la materiale possibilità di fiatare.

- Ne è sicuro?... - Resto di sasso come, sicuramente, restò Cristoforo Colombo quando, la prima volta, i graziosi reali di Spagna gli negarono le caravelle.

Contrariamente alle mie ipotizzate aspettative non è l'anonimo. Questa volta è un'anonima, una donna con una graziosa voce femminile: la sorella, forse, del primo, la moglie, la figlia, l'amante o, fors'anche, una cugina, l'inquilina della porta accanto o la madre.

Che amletico dubbio!

L'armoniosa, ben modulata giovane voce, tuttavia, già sgombra il campo da alcuni personaggi ipotizzati: infatti, non può essere quella della madre perché il timbro è giovane ed una madre ha sicuramente qualche anno in più; è troppo ben modulata per essere quella della moglie perché si sa che le mogli, ad una certa età (sicuramente coeva a quella cavernosa e stagionata dell'uomo, ipotizzato marito, che aveva telefonato poco prima) non sempre beneficiano da parte di madre natura di un tono soave; non può essere nemmeno quella della figlia perché in tal caso sarebbe più infantile e circa la cugina o l'inquilina della porta accanto non so proprio che dire. Non resta che ipotizzare, pertanto, appartenersi all'amante o ad un'amica. Fate Voi.

Ma invece di star qui ad almanaccare, sentiamo cosa si vuole da me.

- Chi parla? - indago per vedere con chi ho a che fare.

- Perché si nega? - per tutta risposta fà ancora la sconosciuta.

- Io non mi nego affatto! - replico con acredine - Con chi vuole parlare? -

- Eh, via, dottore, la smetta! Conosco bene la sua voce, per ingannarmi. Che lei sia Narci lo sappiamo tutti e due a menadito... -

- Vuole che io non sappia chi sia? Eh? - comincio ad inalberarmi - Io non sono Narci! Gliel'ho detto e lo ripeto! Non lo conosco nemmeno. Né, tantomeno, sono dottore. È evidente, quindi, che lei ha sbagliato numero... Prima mi ha chiamato un uomo... per lo stesso motivo... - mi viene da aggiungere, quasi a voler giustificare il mio tono irritato rivolto ad una donna.

- Era il portiere dello stabile in cui abito... - mi spiega ancora l'anonima - ... Ora ho chiamato io -

- Senta... - cerco di concludere - se è uno scherzo è di cattivo gusto. È già durato parecchio. Quindi, la prego, non mi faccia perdere la pazienza... Buongiorno! - e faccio per interrompere la comunicazione.

- No, no, la prego, non chiuda...- mi blocca lei con un tono divenuto improvvisamente accorato ed accattivante che, malgrado tutto, mi solletica gradevolmente il diaframma, per non dire altro; ed io, che sono più che sensibile, non posso sentire una donna preda di una qualsiasi angoscia - ... La prego... Narci... non credo che quello stupido litigio di ieri sera... -

- ... Stupido litigio di ieri sera??!! Allora, ricomincia con questo Narci? Guardi che io non ho tempo da perdere! Le ripeto che non sono io Narci, che non lo conosco nemmeno e che non ho interesse a conoscerlo! - E, d'impeto, questa volta, interrompo davvero la comunicazione.

Nemmeno un minuto e risquilla il telefono; ed io lo lascio squillare per alcuni buoni secondi. Ma la suonerìa insiste tenace. Che rottura!

Riprendo in mano il ricevitore e mi armo di certosina pazienza.

- Sì? - ripeto.

- ... La prego... non chiuda più... - fà la modulata femminilissima voce misteriosa - ... Non chiuda più... - ripete, quasi con un lieve fremito nel tono. Rimango muto per qualche istante.

- ... Non sia scortese... la prego... non me lo merito... - fà ancora lei.

- Ma si può sapere chi parla?! - torno alla carica io.

- Chi parla! D'accordo, d'accordo! Già, lei non è Narci, quindi non lo sa! E allora non ha importanza chi io sia! Se mi conosce, sa bene chi sono. Se non mi conosce, che importanza può avere chi io sia? In tal caso è perfettamente inutile che io declini il mio nome: non le rivelerebbe niente! Quindi, a che pro presentarmi? Potrei dirle che sono Caia, Sempronia, Filana o Martina... -

- Ha dimenticato "Tizia" - la stuzzico io.

- Non è affatto il caso che lei faccia dello spirito. Non le dico niente lo stesso! - si arrabbia lei - Se è un gentiluomo non chiuda... -

- Ma io non la conosco, porca miseria!... -

- Non sa cosa si è perso!... -

Ma vedi questa! Penso fra me; e poi, ad alta voce:

- Prima, però, intendo chiarire bene un punto... -

Mi interrompe di scatto:

- Non chiarisca un bel niente niente! E lasci stare i punti, è meglio! -

Emerge una certa esigenza nel suo modo di porgere, a volte querulo, angosciato, a volte determinato; atteggiamento, che non so neanche io perché, mi blocca; ma esigenza di che, poi?

- Lei deve sapere tutto di me... - continua la voce - ... ed io non so proprio da dove cominciare... -

- Cominci dal principio - suggerisco io con sarcasmo, tanto per rompere gli indugi e concludere  questa situazione pazzesca che non manca di pesarmi. Ma mi pento subito della battuta perché ad essa fà riscontro quello che mi pare un singhiozzo. Ci rimango interdetto. Inoltre, vorrei definire l'episodio perché ho da fare, ma, allo stesso tempo sono irretito da una ignobile curiosità di matrice prettamente maschile, che mi tiene lì, accanto al telefono, come se i miei piedi fossero incollati al pavimento.

Rimango in attesa illogicamente. Ma in attesa di che? Mi viene un colpo di tosse.

- ... Non se n'é andato... non se n'é andato!... Oh, grazie... grazie... le sono grata... - esulta, intanto, la donna, passando, quasi, dallo scoramento alla gioia - ... Certo... certo... comincerò dal principio, da dove vuole che si cominci se non dal principio?... Ma qual'é il principio, il vero principio di una cosa, di una situazione, di un sentimento?... Il vero principio è quando una cosa accade... o quando vi si fà caso?... -

- Come sarebbe? Ha importanza questa estrema precisione? - chiedo io, non sapendo a che santo votarmi per uscire da questa situazione ambigua in cui il caso, l'eterno nemico caso, oggi mi ha coinvolto.

Ma io stesso mi accorgo che la battuta è cretina; quella, infatti, non vi fà punto caso e continua imperterrita come se, in sostanza, io non avessi proferito verbo alcuno.

- ... Se un fatto avviene senza che vi si faccia caso... - spiega, paziente -... è come se non esistesse, come se non fosse mai avvenuto: senza principio, senza fine e senza effetti collaterali. Mentre, se vi si fà caso, esso inizia nel momento preciso in cui lo si percepisce e lo si recepisce; e poi segue il suo naturale sviluppo... -

Il concetto è troppo involuto e martellante per starlo ad ascoltare in pantofole, in mutande e con un residuo di sonno nel capo, alle sei e qualcosa del mattino ed all'impiedi per giunta.

- ... Mi ascolti, signora... - la interrompo paternamente, sperando in una subitanea definizione dell'assurdo - ... se, come capisco, posso aiutarla in qualche modo per qualche suo problema, me lo dica subito e non se ne parli più; mi metto a sua disposizione... Oppure, se preferisce, perché non c'incontriamo da qualche parte e ne parliamo con calma?... Eh?... Che ne dice?... -

In tal modo, dico a me stesso, lei mi dà un appuntamento, io, naturalmente, non mi presento, e il gioco è fatto. Chi s'é visto s'é visto! La cosa finisce lì, io poso il ricevitore e me ne vado per i cavoli miei!

- Preferisco di no - risponde, secca, lei, quasi con determinazione - ... E poi... - continua - ... per telefono, lontano dall'imbarazzo della reciproca presenza e dallo sguardo curioso altrui, nel proprio angolino, fra le proprie cose, credo che si possano esprimere più liberamente i propri pensieri; si possono palesare con più naturalezza i propri sentimenti; si possono enunciare con minore timidezza i propri desideri. In poche parole: si può essere più libere, sfrontate, anche, se si vuole, senza provarne vergogna o timidezza e, quindi, alla conclusione dei fatti, più sincere... Per telefono, veda, mi sento più in grado di dirle cose che, di presenza, mi verrebbe più difficile dirle, se non, addirittura, mi mancherebbe il coraggio di esternare... -

Si interrompe come aspettando un assenso.

Io non fiato, mio malgrado turbato dalla fondatezza delle sue argomentazioni, dalla capziosità del suo tono di voce e dalla fatuità della situazione creatasi, mentre quella prosegue nel suo intemperante sfogo.

- ... Io... io... ho ventidue anni... sono bionda, porto i capelli tagliati a caschetto... sono all'università a medicina, non sono fidanzata e... e... il resto di me lo conosci... e lo conosci bene... -

Passa con estrema naturalezza dal "lei" estraneo al "tu" confidenziale. Mi lascio cadere, esausto, sul divano che mi sta dietro, convintissimo di avere a che fare con una squilibrata o che, da parte di qualcuno, sconosciuto o conosciuto, ci si vuole divertire a mie esclusive spese. Che volete che sia, il mondo è pieno di burloni! Qualcuno, insomma, mi sembra chiaro, vuol prendersi gioco di me ed ha pregato un'amica o ha prezzolato una mercenaria per, sicuramente, tentare di irretirmi per saggiare le mie riconosciute virtù. Ma neppure le forme più appariscenti e seducenti potranno mai scalfire la mia dignità di uomo avveduto e navigato (volutamente non aggiungo "maturo", termine che sa di vecchiaia, per un pubblico rispetto al mio narcisismo!).

- ... Potrei dirti come mi vesto, come mi trucco, come cammino, come saluto... - continua, intanto, la donna - ... e con ciò? Non conosceresti che una parte infinitesima di me e della mia essenza... Non ha importanza l'aspetto fisico, bensì il proprio vero io...-

- Questo lo dice Lei! - la interrompo, convinto - L'aspetto fisico conta pure, eccome se conta! È quello che si vede per prima e che attrae o non attrae!... - Resto soddisfatto di averla contraddetta.

- ... Non ci davamo del "tu"?... - tuba lei.

- Ma nemmeno per sogno! - ribatto, rimanendo fermo nei miei propositi - ... Sei tu che mi davi del "lei" ed io ti davo del... - mi accorgo di essermi confuso nella foga del discorso - ... voglio dire... mi correggo... è lei che mi dava del "tu". Io non ho mai smesso di darle del "Lei" ed intendo continuare a farlo! Non cambiamo le carte in tavola! E voglio mantenere le distanze perché non la conosco e non so a cosa mira con questa sua assurda telefonata!... -

- Fà come vuoi - taglia corto lei.

- Ma poi, perché... - la interrompo nuovamente - asserisce candidamente che il resto di lei lo conosco bene? Io di lei non conosco niente di niente! Lo vuol capire, questo, una buona volta, si o no? Da quale ospedale psichiatrico proviene lei? Non faccia ammattire anche me! -

Mi sono sfogato, questa volta. Mi stringerei la mano.

- Eh, via, quanta foga!... - commenta la donna - Sorvolo sull'accenno all'ospedale psichiatrico perché sono una persona educata, non sono polemica e non voglio rintuzzare. Ma che intendi dire col tuo "... non faccia ammattire anche me..."? Perché, secondo te, quanti altri avrei fatto ammattire? -

- ... Io non ho detto questo... - farfuglio, imbarazzato per essermi espresso senza reticenze.

- Hai detto "pure" ! - insiste la virago.

- "Pure" è un modo di dire... - cerco di conciliare, tentando di rimediare alla frittata.

Ma lei non demorde.

- Mi auguro che tu conosca il vero significato delle parole... - concede la sconosciuta - ... le parole sono pietre, soprattutto se uno le sa usare come te... Lasciamo perdere, ti perdono... Dimmi, piuttosto... Cosa diresti se io ora ti dicessi che tu mi sei sempre piaciuto?... Eh?... -

- ... Direi... direi che è ora di finirla di prendermi in giro alle sei di mattina! Anzi, no! Si son fatte le sei e mezza! Mezz'ora di tempo irrimediabilmente persa!... - prorompo infastidito.

- Persa?... -

- Persissima! Io non sono lo zimbello di nessuno e men che meno tuo! -

- Finalmente mi dai del "tu"... - cinguetta lei - ... finalmente!... -

- Ma che "tu" e "tu" del c... cavolo! - esplodo io.

- ... Ascolta... - interrompe ancora lei - ... prima di continuare, ascolta... -

- Ma si può sapere una buona volta chi sei? - esasperato, insisto di rimando.

- ... Fà finta che io sia chiunque... - mostra qualche esitazione - ... anche... -

- Anche?... -

- ... Anche la tua donna... - prosegue d'un fiato.

- Ah! -

- Si, anche lei!...Perché non sarebbe possibile? -

- Per nulla al mondo! -

- ... Ma perché?... -

- Ce n'ho già una e mi basta e ne avanza! -

- Che ragionamento! Non essere precipitoso... -

- Io non sono precipitoso per niente! So quel che dico! -

- Non sai che ti perdi... -

- Non lo so e non lo voglio sapere! -

- ... Beh, quand'é così... - si mostra un po' offesa - ... ho da dirti una sola cosa: come chiameresti l'uomo che, volutamente, chiude la porta in faccia alla fortuna?... Eh?... -

- Ma quale fortuna? -

- Eh, via, che hai capito benissimo! -

- Ascoltami una buona volta: Tu la chiami fortuna, quella lì? Ma lo è sino ad un certo punto. Alcuni potrebbero anche dirmi "fesso". Ma io ritengo che la mia sia solo intelligenza e... -

- Su... dammi un bacio... -

- Che??!!... -

- Certo, dammelo!... -

Quasi lo potessi fare! Io sono ad un capo del filo e lei all'altro; e nel mezzo c'é tutta l'estensione della rete telefonica con centraline e sedi tecniche: uno spazio sconosciuto, vertiginoso, paurosamente grande, esteso, illimitato, incommensurabile, non quantizzabile, Indefinibile ed indefinito.

- E, allora, resti muto?... - s'informa lei, in attesa.

Intanto si son fatte le sette. In quella la mia metà s'appressa all'apparecchio portandomi il caffè.

- Ma con chi è che parli da più di un'ora?... - mi chiede, curiosa, mia moglie. Le donne hanno sempre l'uzzolo di dilatare i tempi: per la verità mancano ancora dieci minuti per fare l'ora!

Torno alla realtà familiare ed ai conseguenti opportuni sotterfugi del caso; perché, a dire la verità alla propria consorte, si rischia di impantanarsi in un dedalo di contraddizioni dalle quali risulta che tu, per principio, hai sempre torto. 

- ... Chi vuoi che sia! - invento lì per lì, avendo l'accortezza, tuttavia, di coprire col palmo della mano il piano del microfono - ... È ... Enzo... Rosso... - butto giù.

- ... Rosso?... - fà, ancora incredula la mia metà?... - A quest'ora?!... -

- ... Si, a quest'ora... che c'é di strano? Gli è venuta in mente una cosa da dire all'avvocato e me ne ha chiesto lumi... Tu lo sai che quello non dorme pensando al modo più consono di portare avanti la causa, no?... -

- E li ha chiesto a te i lumi, perché, tu che sei  pure avvocato?... -

- ... No, sai bene che non lo sono... ma ha voluto il conforto del mio pensiero... quattro occhi vedono meglio di due... -

- ... Già, quattro occhi... Ma state attenti, non vorrei che andaste a sbattere... -

- ... Uhhh! Uccello del malaugurio! Lo sai bene che tutti e due siamo nelle ottime mani di un bravo avvocato, no?... -

-... Sì, lo so. Ma cercate di non restarci... -

- Non ti preoccupare, ché andrà tutto bene - concludo. Poi, togliendo il palmo della mano dal microfono, parlo in fretta alla mia sconosciuta interlocutrice:

- Senti, Enzo... - pronunzio  - ... scusami ma suonano giù e debbo andare ad aprire. Ci vediamo dopo -

E chiudo a volo, prima di qualsiasi aliena battuta di rimando. O ora o mai più!  Bevo d'un sorso il caffè e, difilato, corro in cucina a posare la tazzina sotto gli occhi critici di mia moglie.

Per fortuna il telefono non trilla più, ma io continuo a lambiccarmi il cervello per tentare di individuare l'anonima interlocutrice della misteriosa conclusa telefonata.

Ma non ci riesco.

 

Cefalù, 1 Febbraio 2017

                                                                            Giuseppe Maggiore