La siccità, l’acqua e la Legge Galli

Ritratto di Saro Di Paola

25 Luglio 2017, 21:45 - Saro Di Paola   [suoi interventi e commenti]

Versione stampabileInvia per email

La siccità degli ultimi mesi ha messo, o sta per mettere, a repentaglio l’approvvigionamento idrico  in tanti comuni, grandi e piccoli, del territorio nazionale.
La drammaticità della situazione è enfatizzata dalle notizie, che, oramai da alcuni giorni, i media diffondono con cadenza, quasi, ossessiva:
- livelli idrici di invasi, dighe, laghi e fiumi ai minimi storici;
- due terzi dell’Italia a secco;
- dieci Regioni pronte a chiedere lo stato di calamità;
- due miliardi di perdite alle coltivazioni ed agli allevamenti;
- razionamento e turnazione della distribuzione dell’acqua in tanti comuni italiani;
- rischio di turnazione per 1.500.000 abitanti della capitale d’Italia.

Notizie, tutte, emblematizzate dalla decisione del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano di spegnere tutte le fontane: sia quelle esterne di Piazza San Pietro, sia quelle interne dei Giardini Vaticani e del territorio dello Stato.
Comprese le più conosciute, le più fotografate.

Notizie, tutte, seguite e corredate da altre.
Quelle, che fanno cogliere le ragioni dell’emergenza, oltre che nella calamità naturale della siccità, nella “calamità artificiale” delle reti colabrodo della stragrande maggioranza dei comuni d’Italia.
Reti sgarruppate, che, secondo i dati pubblicati dall’ISTAT lo scorso 27 marzo, nei comuni capoluogo di provincia, hanno disperso, nel 2015 a livello nazionale, mediamente il 38,2 %  dell’acqua potabile che vi è stata immessa.
Un valore in aumento di tre punti percentuali rispetto a tre anni prima.
Un valore, quello medio delle perdite, che, in Sicilia, ha raggiunto il 52 %, con la capitale Palermo, che ha sfiorato la punta massima del 55 %.

Notizie, tutte, in linea con quelle che avevamo appreso dal comunicato stampa del CENSIS del 24 maggio 2014 (http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=120960):
“Siamo un Paese ricco di acqua, ma ne sprechiamo quantità enormi. Le nostre infrastrutture idriche sono carenti, obsolete e inadeguate. Le perdite di rete sono pari al 31,9% e ciò costringe ad aumentare il prelievo di acqua alla fonte impoverendo la risorsa ed esponendo alcuni territori a cronici disservizi: l’8,9% della popolazione italiana denuncia interruzioni di erogazione, con punte del 29,2% in Calabria.
Per le perdite di rete il confronto con i partner europei è impietoso: in Germania le perdite di rete sono pari al 6,5%, in Inghilterra e Galles al 15,5%, in Francia al 20,9%”.

Come scriveva, ancora, il CENSIS nel 2014, il confronto con i partner europei è impietoso anche sul piano degli investimenti nel settore idrico: “in Italia si investe ogni anno l’equivalente di 30 euro per abitante, in Germania 80 euro, in Francia 90 euro, nel Regno Unito 100 euro”.
Il che fa detenere all’Italia due primati: quello delle tariffe idriche più basse d’Europa

e quello del più elevato consumo pro capite di acqua in bottiglia.
Infatti, l’obsolescenza delle tubazioni delle reti, degenerata in fatiscenza per l’esiguità degli investimenti, ha deteriorato, e deteriora, la qualità dell’acqua che fuoriesce dai rubinetti delle nostre abitazioni, al punto di indurre, come aggiungeva il CENSIS nel 2014,”il 61,8% delle famiglie italiane ad acquistare acqua minerale con il consumo medio annuo di 192 litri per persona”.

Nel 2014 si era ad oltre venti anni da quando, il 5 gennaio del 1994, il Legislatore, con la cosiddetta Legge Galli, dettò le “DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RISORSE IDRICHE” e “riorganizzò sulla base di Ambiti Territoriali Ottimali” il Servizio Idrico Integrato, demandando alle Regioni “la previsione delle norme e delle misure per migliorare le manutenzione delle reti di adduzione e di distribuzione delle acque al fine di ridurre le perdite”.
Il tutto con l’obiettivo di “garantire la efficienza, la efficacia e la economicità del servizio” medesimo mediante gestioni unitarie, che, nel singolo ATO, “superassero la frammentazione delle gestioni”.
E, nel 2014, il CENSIS per dare idea dello stato di attuazione della Legge Galli, che aveva istituito gli ATO idrici ed il SII, così scriveva:
“A vent’anni dalla riforma che ha introdotto il Servizio idrico integrato, la gestione dell’acqua rimane caratterizzata da contraddizioni e paradossi che solo oggi, con l’affidamento del compito di regolazione all’Autorità per l’energia elettrica e il gas, possono entrare nell’agenda delle priorità del Paese e si possono cominciare ad affrontare. Il servizio idrico in Italia fa capo a una platea eterogenea di soggetti gestori. Sono più di 300, con una grande variabilità di dimensioni e natura giuridica. Si va dal gestore di un solo Comune di 500 abitanti all’Acquedotto Pugliese (100% di proprietà della Regione) che serve 4 milioni di abitanti. L’11% dei Comuni se ne occupa direttamente «in economia» e non tramite un gestore vero e proprio. Un ulteriore 19% degli enti locali ha una gestione «salvaguardata» risalente a prima della legge Galli. Mancano big player industriali capaci di andare anche sui mercati esteri, come fanno le grandi aziende francesi. Da noi la presenza dell’impresa privata nella gestione dei servizi idrici, assoluta protagonista nel Regno Unito e maggioritaria in Francia e Spagna, è confinata a un ruolo marginale”.

Le notizie di questi ultimi giorni di luglio, che fanno apparire un miraggio la regolarità, nei prossimi mesi, dell’approvvigionamento di acqua potabile in tanti comuni d’Italia, indurrebbero a fare un parallelo con i disservizi, che in tanti, in questi stessi giorni, lamentiamo nella erogazione e nella qualità dell’acqua del civico acquedotto di Cefalù.
Il parallelo Cefalù-Italia, però, non avrebbe senso.
Infatti, a Cefalù, fatiscenza della rete idrica a parte, la regolarità dell’approvvigionamento di acqua potabile in tutte le abitazioni, è tutt’altro che un miraggio.
Grazie all’acqua, che sgorga, copiosissima, dalla sorgente di Presidiana.
Anche dopo mesi di siccità.
Grazie al potabilizzatore di cui la Città si è dotata.

Grazie all’una e all’altro, Cefalù, nel settore idrico, non può essere Italia.
Sarebbe bastato capire che, proprio per l’una e per l’altro, l’ATO di Cefalù è Cefalù stessa.
Nel 2009, quando il Comune ha ceduto il servizio ad APS.
Nel 2013, quando APS è fallita.
Questo, però, l’ho già scritto.
Basterebbe capirlo, oggi.
Questo lo scrivo oggi.
A pochissimi giorni dal 31 luglio, quando scadrà l’ultimatum di chiusura del  potabilizzatore.

Capirlo in barba alla legge Galli del 1994?
No!
Nel  suo rispetto.
E, perciò, nel rispetto della sentenza  della Corte Costituzionale n° 93 del 2017.

Saro Di Paola, 25 luglio 2017