Carpe diem

Ritratto di Giuseppe Maggiore

1 Novembre 2017, 16:27 - Giuseppe Maggiore   [suoi interventi e commenti]

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CARPE DIEM
(riflessioni estemporanee sul quotidiano, più dettate da un’emicrania che da un attendibile intendimento filosofico).

 

Con buona pace altrui.

Prendere tutto ironicamente col sorriso sulle labbra è l’unica possibilità per rendere la vita meno agra.

È, questa, una filosofìa spicciola, sì, ma indubbiamente efficace; nella quale il supremo credo è quello di non lasciarsi mai coinvolgere dagli eventi ma di dominarli affrontandoli a viso aperto. Spartanamente.

Non farsi condizionare da essi  ma governarli, cioè.

Naturalmente, quando ci si riesce a farlo.

Ciò conduce alla felicità? Al compiacimento? Alla serenità? Sicuramente no; ma aiuta a vivere.

Certo non è facile, soprattutto quando i casi in cui c’imbattiamo ci spingerebbero a ben altri comportamenti; ma, facendo di necessità virtù e con un opportuno allenamento mentale si può riuscire a farcela ed a dire “bianco” quando si vorrebbe gridare “nero”, a stringere una mano quando si vorrebbe sferrare un pugno, a trattare gentilmente la persona indigesta quando invece ambiremmo ad evitarla; e via di questo passo.

Così se il superenalotto non ti fà grazia del suo credito, se un esame ti va male, se la salute ti dà qualche fastidio, se l’armonia è più difficile da trovare del vitello dal vello d’oro, se il tuo vicino di casa si mostra invadente e scambia la cortesìa per familiarità, se le tasse ti spellano vivo, se la giustizia sociale è una chimera, se alcuni rapporti umani si rivelano un cimitero, se tutto non va secondo il suo verso o, sentimentalmente  e citando un vecchio detto cinese, “se una donna di cui ti sei innamorato scappa, tu lasciala scappare; perché se ti ama ritornerà ma se non ti ama è meglio che sia scappata”, se tutto ciò, insomma, ti assilla, ti affligge e ti prostra rendendo il tuo umore instabile e la tua vita difficile e spesso insopportabile, non prendertela: attaccati all’ironìa e sono certo che riuscirai a riconquistare il sereno.

Un modo di calibrarsi è cambiare aria, almeno periodicamente, se ti è possibile farlo, perché l'instaurarsi di un’abitudine diventa spesso un tristo vortice.

Così, tanto per portare un esempio: Tomasi di Lampedusa, durante la sosta nella locanda prima che il Principe Fabrizio e la sua famiglia giungessero a Donnafugata, nel colloquio con gli erbuari fà dire al prelato di casa, Padre Pirrone: “Vedete, i signori non sono come noi, essi vivono in un universo a sé stante tutto loro con interessi diversi che per noi non hanno alcuna importanza; infatti, per don Fabrizio sarebbe una vera tragedia se ogni anno non potesse andare a trascorrere l’estate a Donnafugata…”.

Il che, in termini semplici, vuol significare che l’annuale distacco di don Fabrizio dalla sua realtà palermitana, per quanto allora gli aristocratici vivessero per lo più in ville isolate contornate da verdi giardini e non in appartamenti affastellati come quelli odierni, rappresentava un ottimo specifico per ritemprargli la fibra; specifico forse più valido di quell'altro che il dottor Dulcamara vendeva a poco prezzo nell’“Elisir d’amore” di Gaetano Donizetti.

Beh, vi dirò che quantunque io non sia un signore dello stampo di don Fabrizio (di certo so soltanto che un mio avo materno, il mio trisavolo, lo è stato) anche per me rappresenta una vera tragedia non trascorrere l’estate in campagna, nella mia Donnafugata elettiva, dove a contatto con una natura selvaggia (che mia moglie con avviso diverso da quello della Principessa Maria Stella del romanzo e con mia insanabile disperazione tende continuamente a “civilizzare”, facendo tagliare qualcosa di qua o potare qualcos’altro di là, insomma attentando a quella incontaminata verginità floreale, a quella concezione primordiale che la natura ha donato al sito ed inneggiando alla convinzione di far pulizia) il mio spirito si rigenera espellendo le scorie che vivendo in comunità indiscutibilmente restano attaccate.

Ne viene, per transitiva deduzione, che, pur appartenendo a stampi eterogenei, le stesse emozioni, le stesse sensazioni, gli stessi intendimenti possono allignare in personaggi diversi, per epoca, per classe e per ceto.

Il fatto è, cari miei, che la vita d’oggi, com’è riscontrabile, non è più quella di una volta: è vorticosa, intensa, snervante, intesa sempre al raggiungimento impellente di qualcosa, spesso insensata. In buona sostanza, non si vive più a livello d’uomo; ed il ritrovarsi, obtorto collo, in questo sterile acquario non è gratificante. Così, nel mio piccolo, io tendo sempre a ricreare intorno a me, seppure esclusivamente in una dimensione mentale, quell’aura ancestrale, arcadica e, se vogliamo, anche romantica, che scandì il respiro dei nostri Padri, dei Penati, dei Progenitori.

Mi sarebbe piaciuto vivere nell’ottocento, ma confortato dalla presenza degli antibiotici.

Sono un illuso? Un crepuscolare? Un insoddisfatto o un disadattato?

Ai posteri… se prenderanno in  considerazione il mio passaggio.

E poi, al di là di questo, a voler considerare la nostra moderna realtà così com’è, c’é qualcosa di esiziale che disorienta: aprire un quotidiano o seguire un telegiornale, oggi, è un vero malaugurio! Significa immergersi in un clima da falso medioevo connotato da una ridda di notizie scomode, negative, scabrose, spesso orripilanti che non fanno altro che vessare la tua esistenza, grama o non grama che sia, ancora di più di quanto l’economìa attuale e gli altri casi contingenti non facciano, rendendoti irrequieto e, per traslazione, insicuro: delitti, rapine, colluttazioni, guerre, stragi, furti, malattie, disastri e quant’altro.

Un incubo!

Che cosa può importare se nel paese tal dei tali qualcuno, rapinato, abbia sparato al malvivente uccidendolo, subendo poi, di converso, in uno Stato di diritto come il nostro, quelle ripercussioni legali che dalla ragione lo fanno passare al torto? O che un certo magnate dell’industria, o, più frequentemente, un politico abbia un’amante?

Si vive meglio seguendo le vicende di una becera trasmissione televisiva che leggendo un libro di Umberto Eco o d’Altri?

E non sottovalutiamo il fatto che nessuno va al potere per altruismo ma che è l’egoismo che regola il mondo e lo fa girare.

È così o non lo è?...

Cari Amici, non è che io voglia riformare il mondo, non ne sarei capace; ma spererei che il mondo venisse a me in maniera meno traumatica di come viene. Tutto qui.

E non solo!

Anche nelle arti, vanto imprescindibile dell’umana attività creativa, vi è un decadimento in atto. Una recrudescenza.

Prendiamo il cinema, per esempio, che di esse è il più coinvolgente nonché quello più capace di influire sugli animi, per non dire che è la forma espressiva a me più congeniale: tutte le trame, o quasi tutte, vertono su storie poliziesche o di delitti. Inoltre le storie vengono porte con un montaggio rapido nel quale tu non riesci nemmeno a leggere le didascalie, ove vi siano, per il loro immediato scomparire. Le armi ed i conseguenti spari connotano le sequenze e rappresentano gli emblemi degli accadimenti che più vengono trattati.

È utile tutto questo marciume alla formazione delle giovani menti?

Innegabilmente tal battere e ribattere sullo stesso tema dimostra una evidente povertà d’idee, una mancanza totale di gusto, di sensibilità artistica, una innegabile caduta di stile e di senso sociale; il tutto genera confusione in una realtà creativa protesa più al guadagno che a trasmettere messaggi formativi.

Quindi la campagna! Un ritiro spirituale, un ritrovo arcadico, un ritorno alle origini, alla terra intesa come madre e sepolcro; escamotage capace di rinvigorire la tua sostanza e di darti quella serenità che la città ti nega.

Astrarsi dal quotidiano cittadino, liberare il proprio animo mettendolo a contatto epidermico con la natura, principio e fine di ogni dimensione esistente, appare l’unica via possibile per sentirsi parte integrante di essa.

Ci si è mai chiesto perché oggi non ci siano più artisti del valore di quelli del passato? Di Michelangelo, di Caravaggio, di Leonardo, di Fidia, di Chaplin, di Bergman, di Renoir, di Beethoven, di Mozart, di Verdi, di Manzoni, di Hugò, di Balzac, tanto per citare i maestri?

Si muore di giorno in giorno e si rinasce, sempre continuando a vegetare; noi non siamo più quelli che eravamo ieri ma subiamo costantemente una catarsi che può preludere ad un miglioramento o ad un deterioramento sostanziali. 

Dal che innegabilmente ne viene che bisognerebbe ricercare, mi pare, quei motivi rigenerativi più atti a dare un senso positivo al nostro esistere.

                                                                                       Giuseppe Maggiore