Incontri d’autunno: dialoghi e letture sulla storia della Sicilia

Ritratto di Franco Nicastro

18 Dicembre 2017, 15:42 - Franco Nicastro   [suoi interventi e commenti]

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Incontri d’autunno: dialoghi e letture sulla storia della Sicilia

 

Si rileggono pagine fondamentali della storia recente della Sicilia nell’ultimo appuntamento del ciclo “Incontri d’autunno”, la rassegna culturale di Cefalù curata da Giovanni Cristina e Franco Nicastro.

Nell’incontro del 19 dicembre alle 18:00 al cinema Di Francesca sarà proposto un reading di testi selezionati da Marcello Panzarella. Molti passaggi storici saranno approfonditi attraverso gli scritti e le testimonianze di personaggi della vita civile, politica e culturale. Saranno riletti testi di Elio Vittorini, Danilo Dolci, Tullio e Giò Vinay, Carlo Doglio, Piersanti Mattarella, Peppino Impastato.

Il reading introdurrà una discussione a partire dall’interrogativo di fondo “Sicilia… che farne?”. Interverranno Marcello Panzarella, Franco Nicastro, Nuccio Vara, Francesco Grimaldi, Giovanni Cristina, Gabriella Cassarino, Pietro Carollo, Vito Corte.

Un reading di testi proposti da Marcello Panzarella, per una rilettura di alcuni passaggi della storia recente e attuale della Sicilia attraverso le parole di personaggi della vita civile, politica e culturale. Saranno riletti testi di Elio Vittorini, Danilo Dolci, Tullio e Giò Vinay, Carlo Doglio, Piersanti Mattarella, Peppino Impastato

 

SICILIA...CHE FARNE?

Al Cinema Di Francesca, Corso Ruggero 65 - Cefalù, il 19 dicembre prossimo, alle ore 18,00. Ingresso libero.

Un reading di testi proposti da Marcello Panzarella, per una rilettura di alcuni passaggi della storia recente e attuale della Sicilia attraverso le parole di personaggi della vita civile, politica e culturale. Saranno riletti testi di Elio Vittorini, Danilo Dolci, Tullio e Giò Vinay, Carlo Doglio, Piersanti Mattarella, Peppino Impastato

Con discussione finale su: SICILIA, CHE FARNE?

Autori e testi:
- Elio Vittorini, passi scelti da "Le città del mondo" e "Conversazione in Sicilia" a proposito de “La bellezza delle città” e dei “Nuovi Doveri”.
- Danilo Dolci, passi scelti da "Processo all’articolo 4".
- Tullio e Giò Vinay, passi scelti da "Giorni a Riesi".
- Carlo Doglio e Leonardo Urbani, passi scelti da "La Fionda Sicula. Piano dell’Autonomia Siciliana".
- Peppino Impastato, quattro poesie
- Piersanti Mattarella, passi scelti dalle "Dichiarazioni programmatiche del Presidente della Regione", 3 e 5 aprile 1978.

Intervengono:
- Marcello Panzarella
- Franco Nicastro
- Nuccio Vara
- Francesco Grimaldi
- Gabriella Cassarino
- Pietro Carollo
- Vito Corte
- Giovanni Cristina

Chiedo ai numerosi miei amici non solo di essere presenti, ma anche di portare figli, nipoti, e altri loro amici, e di intervenire a dire la propria su cosa si possa fare di questa benedetta/maledetta Sicilia, per non perderla definitivamente.

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SICILIA… CHE FARNE?
Riletture e commenti
19 dicembre 2017, ore 18.00
Cinema Di Francesca 
Corso Ruggero, 65 – Cefalù 
Anticipiamo qui (in forma "condensata") alcuni testi che saranno oggetto di lettura e riflessione in occasione del reading in programma. A ciascun autore dedichiamo un post alla volta. Vi proponiamo qui i testi che saranno letti come primo paio, due brani di Elio Vittorini, uno scrittore e un intellettuale del nostro secondo dopoguerra, fondamentale per lo svecchiamento di una cultura italiana autarchica e isolata dal mondo. Memorabili tutti i numeri della rivista "IL POLITECNICO", con il valore aggiunto della grafica di Albe Steiner. Siracusano, figlio di ferroviere, Vittorini lasciò presto la Sicilia per lavorare al nord come tipografo, poi come scrittore, e anche come consulente editoriale. Fu amico e sodale di Italo Calvino, e dell'architetto Giancarlo De Carlo. Frequentò anche Carlo Doglio. I due brani sono tratti da "Conversazione in Sicilia" e dal romanzo incompiuto "Le città del mondo".

1.
da: Elio Vittorini, "Conversazione in Sicilia", Bompiani, Torino 1941. Condensato dal cap. VII.

I nuovi doveri
«Tutti soffrono ognuno per sé stesso, ma non soffrono per il mondo che è offeso e così il mondo continua a essere offeso».

Poi il Gran Lombardo raccontò di sé, veniva da Messina dove si era fatto visitare da uno specialista per una sua malattia dei reni, e tornava a casa, a Leonforte, su nel Val Demone tra Enna e Nicosia; era un padrone di terre con tre belle figlie femmine, così disse, e aveva un cavallo sul quale andava per le sue terre, e allora credeva, tanto quel cavallo era alto e fiero, di essere un re, ma non gli pareva che tutto fosse lì, e avrebbe voluto acquistare un’altra cognizione, così disse, e sentirsi diverso, con qualcosa di nuovo nell’anima; avrebbe dato tutto quello che possedeva, e il cavallo, e le terre, pur di sentirsi in pace con gli uomini, come uno che non ha nulla da rimproverarsi.
— Non perché io abbia qualcosa da rimproverarmi, — disse. — E nemmeno parlo in senso di sacrestia... Ma non mi sembra di essere in pace con gli uomini.
Avrebbe voluto avere una coscienza fresca, così disse, e che gli chiedesse da compiere altri doveri, non i soliti, altri, nuovi e più alti, verso gli uomini, perché a compiere i soliti non c’era soddisfazione e si restava come se non si fosse fatto nulla, scontenti di sé, delusi.
— Credo che l'uomo sia maturo per altro, — disse.
— Non soltanto per non rubare, non uccidere, eccetera, e per essere buon cittadino… Credo che sia maturo per altro. È questo che si sente, io credo, la mancanza di altri doveri, altre cose, da compiere, da fare per la nostra coscienza in senso nuovo.
Tacque, e parlò il catanese.
— Sí, signore, — disse.
E si guardava le punte delle scarpe.
— Sí, — disse. — Credo che abbiate ragione.
E si guardava le scarpe, e di nuovo disse «sí», convinto, come se gli avessero dato un nome per una sua malattia, e non raccontò di sé, e solo soggiunse:
— Siete un professore, voi?
— Io, professore? — il Gran Lombardo esclamò.
E il vecchietto al fianco di lui fece udire il suo «ih!» di foglia secca, senza corpo di voce. Pareva fosse un fuscello a parlare.
— Ih! — fece. — Ih!
Per due volte. E aveva gli occhi aguzzi, formicolanti di riso, nel faccino coriaceo, e scuro, come un guscio secco di tartaruga.
— Ih! — fece con la bocca a fessura di salvadanaio.
— Non c’è nulla da ridere, nonnino, non c’è nulla da ridere, — disse, voltandosi verso di lui, il Gran Lombardo, e di nuovo raccontò di sé, che non si sentiva in pace con gli uomini e di come credeva che ci volesse una nuova coscienza, e nuovi doveri, tutto esclusivamente, stavolta, per il piccolo vecchio. 
— Ma perché, — disse il Gran Lombardo a un certo punto. — Perché state seduto cosí scomodo? Questo si può sollevare.
E sollevò il bracciolo di legno contro il quale il vecchio sedeva in punta al sedile.
E il piccolo vecchio si girò e guardò ii bracciolo sollevato e fece di nuovo «ih!», ma restò seduto scomodo, in punta, tenendosi con le manine a un suo bastone di legno, dal pomo a testa di serpe.
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Da: Elio Vittorini, "Le Città del mondo", Einaudi, Torino 1969. Condensato dei capp. III e IV.
La bellezza delle città
"Il padre allora si rialzò, calcandosi in testa il berretto dalla visiera. Il suo sguardo passò sopra le pecore che aspettavano cento metri più indietro. Rosario continuava: - È la più bella città che abbiamo mai vista. Più di Piazza Armerina. Più di Caltagirone. Più di Ragusa, e più di Nicosia, e più di Enna [...]
Il padre non lo negava, e Rosario poté soggiungere: - Forse è la più bella di tutte le città del mondo. E la gente è contenta nelle città belle. Non ti ricordi che gente contenta c'era nelle belle città per la novena dell'altro Natale? E che gente contenta c'era a Caltagirone, lo scorso Carnevale? E a Ragusa per i Morti, l'anno prima? E che gente contenta c'era per l'ultima Pasqua, a Piazza Armerina?
Il padre non negava niente di niente, era solo soprapensiero, e Rosario riprese: - E si capisce che sia contenta- Ha belle strade e belle piazze in cui passeggiare, ha abbeveratoi magnifici per abbeverarvi le bestie, ha belle case per tornarvi la sera, e ha tutto il resto che ha, ed è bella gente. Tu lo dici ogni volta che entriamo a Nicosia. Ma che bella gente! E lo stesso ogni volta che entriamo a Enna. Ma che bella gente! Lo stesso ogni volta che entriamo a Ragusa. Ma che bella gente! E se incontriamo un vecchio tu dici: ma che bel vecchio. Se incontriamo una giovane tu ti volti e dici: ma che bella giovane. Tu dici che dev'essere per l'aria buona, ma più la città è bella e più la gente è bella, come se l'aria vi fosse più buona [...]
- Io non vorrei esser nato da una donna brutta, come sono le donne delle città brutte. Nelle città brutte, - continuò, - la gente è anche cattiva. Abbiamo visto a Licata come ci guardavano male. L'abbiamo visto nei paesi delle zolfare. La gente è disgraziata, nei posti così, non ha nulla di cui rallegrarsi, nulla mai che la faccia un po' contenta, e allora è per forza cattiva. È brutta ed è cattiva, è sporca ed è cattiva, è malata ed è cattiva [...]
- Una città non nasce come un cardo, - disse. - O sono gli angioletti che vengono a posarla su una collina? - Aveva ancora gli occhi che volevano ridere, ma la sua voce si alzava sempre di più e diventava stridula. Disse che dunque non era per combinazione se Enna era la nobile Enna e Licata era schifosa. - Che diamine! - disse. Tutto dipendeva dal modo in cui la gente viveva. Dove la gente viveva come a Enna si aveva Enna, e dove la gente viveva come a Licata si aveva Licata. Egli ripeté in senso inverso il suo discorso di poco prima. Disse per la gente quello che prima aveva detto per le città, dicendo invece per le città quello che prima aveva detto per la gente".

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Dolci

Anticipiamo qui (in forma "condensata") alcuni testi che saranno oggetto di lettura e riflessione in occasione del reading in programma. A ciascun autore dedichiamo un post alla volta. Vi proponiamo qui i testi che saranno letti come secondo paio, scritti da Danilo Dolci, che negli anni Cinquanta e Sessanta, tra Partinico, Trappeto, e Mirto, insediò la sua iniziativa di forte impatto umano e sociale a favore dei diseredati, contadini senza terra e pescatori senza barca. Famoso il suo sciopero alla rovescia - che gli valse il più duro di diversi processi - per la costruzione di una strada che portasse alla valle dove costruire una diga che fornisse l'acqua a tutti, liberando la grama agricoltura locale dai soprusi della mafia dei pozzi. Oggi quella diga è una realtà, costituita dal grande invaso del Lago Poma, realizzato sul corso del fiume Jato. Dopo il terremoto del Belice, del 1968, elaborò - con una esemplare pianificazione "dal basso", coinvolgendo le popolazioni locali, un piano di rinascita che non ebbe alcun seguito da parte delle istituzioni. Scuole, didattica, pedagogia, maieutica, stretto rapporto tra pensiero e azione, sempre a favore dei più deboli, per riscattarne diritti, lavoro, dignità, questi alcuni degli snodi della sua azione civile e non violenta. Lo ricordiamo proprio oggi anche a Partinico (ore 15.00 presso la Cantina Borbonica), per iniziativa dell'Ordine degli Architetti di Palermo e in particolare della Consigliera arch. Isabella Daidone.

2.
Testi di Danilo Dolci

da: Danilo Dolci, Processo all’art. 4, Sellerio, Palermo 2011, p. 213.
“Siamo certi che Dolci sia stato coerente con i suoi principi pacifici? O non risulta, invece, che fu lo stesso Dolci, con il proprio atteggiamento, a creare un’atmosfera di tensione? Infine vi è da osservare che tutti sono concordi nel riferire come egli abbia opposto resistenza, come egli si sia divincolato dagli agenti. Che cosa si vuole di più per ritenere Danilo Dolci responsabile? Gli uomini di cultura sono venuti a parlare delle sue idee, dei suoi progetti, delle sue finalità. Ma i fatti sono quelli che contano agli effetti di legge. Se riterrete, voi giudici, che gli scopi di Danilo Dolci sono nobili, accordate pure le attenuanti generiche e la sospensione della pena: ma non potrete dire che egli non ha violato la legge. È per questo che vi chiedo la condanna”.

da: Danilo Dolci, Non esiste il silenzio, Einaudi, Torino 1974 pp. 116-117.
“DANILO - Vi vorrei fare alcune domande.
I vecchi, qua, è vero o non è vero che sono trattati bene, che sono tenuti nelle case molto meglio che nel Nord dove i vecchi spesso non li tengono in casa ma li lasciano soli? I vecchi sono rispettati qui, o no?
MOLTE VOCI - Sì, sì.
DANILO - Un’altra domanda.
È vero che i pescatori quando i vecchi vanno a mare gli danno la stessa parte che danno ai giovani, per non umiliarli... È vero?
NINUZZO - Sì, questo è vero.
DANILO - Bene, ci sono cose belle da scoprire nella Sicilia. Poi: è vero che ci sono gli uomini che sono molto molto buoni, delle donne molto molto buone, che hanno una luce nel viso bellissima, tanto sono buoni?
VOCI - Sì, sì. Ce n’è pure.
DANILO - Quando in una strada uno ha il piccolino che sta male, l’altro non accende la televisione, non si accende la radio in tutta la strada: perché?
VOCI - No, c’è rispetto. Non si fa. 
DANILO - È vero che la gente quando parla ha un’espressione viva. Poetica, che certe volte gli operai delle grandi industrie, popolazioni interne non hanno? Come mai sono uomini così vivi, ciascuno una sua personalità?
Avete trovato tanto da cambiare, e forse la vostra qualità maggiore è proprio questa: cominciate a sentire il bisogno di cambiare le cose. Mentre ci sono popoli che si sentono sazi, arrivati, che dicono «noi qua siamo i migliori del mondo» e, questa, anche se gira di qua e di là in macchina, rischia di essere gente morta. È vero o non è vero che c’è molto il senso della bellezza? Le giarre, gli ‘nziti, i tappeti, i ricami, i carri, non sono un documento di gusto, di sensibilità? Non sono più belle queste cose di quelle che trovate alla Standa e all’Upim, che forse pagate di più?”

da: Danilo Dolci, Verso un mondo nuovo, Einaudi, Torino 1965, pp. 280-281. 
“Lavorare, creare da un preciso punto di applicazione, impegnarsi alle piccole-grandi lotte sul fronte della nostra giornata; ed essere presenti in quei fondamentali impegni, in quelle lotte che creano le nuove condizioni, in modo che tanti problemi siano implicitamente risolti. I due diversi fronti su cui il mondo più avanzato oggi si batte, l’impegno per la pianificazione e quello per l’educazione, vanno integrati e non contrapposti. I rivoluzionari non violenti devono essere presenti su ambedue, cercando di aggiungere quanto sentono necessario. 
L’impegno individuale, l’impegno di gruppo, la partecipazione alla pianificazione, non solo ci provvedono gli indicatori morali più validi ma essi stessi sono i più efficaci mezzi di cui possiamo disporre per la realizzazione del mondo nuovo. Dicendo semplicissimamente: il mondo nuovo si fonda coll’uomo nuovo, col gruppo nuovo, con la nuova pianificazione. Per costruire un mondo nuovo non bastano affatto quei comunitarismi imbonitori che sperano in terapie a fior di pelle”.

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Vi proponiamo qui i testi che saranno letti come terzo paio, scritti da Tullio Vinay, pastore evangelico Valdese, venuto in Sicilia dal Piemonte agli inizi degli anni '60 del secolo scorso, a fondare una missione comunitaria - il Servizio Cristiano - nei territori preda della peggiore mafia della Sicilia, presso l'abitato di Riesi. Qui egli costruì il Villaggio Monte degli Ulivi, affidandone progetto e realizzazione al grande architetto fiorentino Leonardo Ricci.

3.
Da: Tullio e Giò Vinay, "Giorni a Riesi", Edizioni Claudiana, Torino 1966. 
Testo condensato delle pp. 197-199. 
“Nota informativa”
Riesi con i suoi 18.000 abitanti (fino a pochi anni fa 25-26.000) si trova a sud di Caltanissetta, a circa 25 chilometri dal mare.
È, come altre cittadine dell’interno della Sicilia, in situazione disperata. La sua economia, basata sull’agricoltura e sulla miniera di zolfo, è divenuta insostenibile. La coltura estensiva del grano, alternato con le fave, è fallimentare, per il frazionamento del terreno e la siccità; la miniera è chiusa per riduzione di produzione in conseguenza delle disposizioni del Mercato Comune. I disoccupati o semi-occupati sono una folla. Le maggiori entrate son dovute ai vaglia degli emigrati nell’Italia settentrionale, in Isvizzera e in Germania.
Nel settore dell’educazione e della cultura le considerazioni non sono migliori. L’analfabetismo ha percentuale altissima, né vi è cura, da parte dello Stato, di eliminarlo. Per i 2500 alunni delle scuole elementari si dispone solo di 25 classi, per cui sono vani anche gli sforzi dei volenterosi. La città non ha una biblioteca, né la classe media, tagliata fuori da ogni corrente culturale, si muove per cambiare la situazione.
Nel settore della sanità ed igiene vi è tutto da fare. Non c’è un ospedale, né un poliambulatorio. L’assistenza medica è nelle mani di sette dottori oberati di lavoro e senza mezzi. La città manca di fognature nel 70 per cento delle strade. La maggioranza delle case sono composte da una sola stanza, senza finestre e con una porta che deve essere aperta se si vuol aria e luce. Vi vive la famiglia assai numerosa che si ripartisce il paio di letti disponibile. Vi è quasi sempre anche l’animale da lavoro: il mulo o l’asino. I bimbi giuocano per le strade, quasi tutte a fondo naturale e con rivoli di acque sudicie.
La mafia ha controllato a lungo la zona soffocando ogni anelito di rinascita. Ha controllato cantieri, proprietà terriere, commercio. Ora tace per l’azione della commissione parlamentare anti-mafia, ma se questa non agirà con fermezza la situazione tornerà come prima o peggio.
La politica è viziata dagli interessi di partito e personali, e c’è poco da sperare in un intervento delle autorità regionali o nazionali. L’Amministrazione comunale, di qualunque colore sia, risente di questa situazione, come di lotte intestine dovute a riguardi personali.
La religione — è ben più appropriato parlare di religione che di Evangelo! — non ha avuto influenze particolari. Essa divien popolare solo in particolari feste di santi, dove il divertimento prende il posto della meditazione. Dopo un viaggio d’inchiesta nel Mezzogiorno il Gruppo del «Servizio Cristiano» ha deciso di scegliere questa, che è una delle città più bisognose della Sicilia, come luogo del proprio servizio.
Il primo anno il gruppo ha studiato l’ambiente, fatto inchieste e preso contatto con la popolazione. Ha vissuto molto con i «carusi», attraverso i quali si son chiariti certi aspetti dell’animo dei riesini, emotivi, impulsivi e anche generosi, ma anche scettici e diffidenti. La dolorosa storia della Sicilia ha molto contribuito alle caratteristiche di questo popolo che, per le amare esperienze avute, teme sempre di essere sfruttato, e non si muove da solo perché senza speranza.
Negli anni successivi si è cercato di entrare in ogni settore della vita della città, per partecipare ai suoi problemi e tentare di risolverli. 
Nel concepire questo «servizio» si è pensato di dargli una «spina dorsale» di opere, concentrandole in una località adiacente, per spingere la città a muoversi verso aria più pura e vita diversa.
Si tratta di una collina coperta da ulivi, il «Monte degli Ulivi». Qui son sorti un Asilo infantile, una Scuola per meccanici, un Centro agricolo; stanno sorgendo la Biblioteca, la Sala per conferenze, la Libreria; in fase avanzata son due Case comunitarie. In futuro: una Scuola elementare e un atelier per ricamo. L’Infermeria invece è in città. Queste opere son realizzazione del prof. arch. Leonardo Ricci dell’Università di Firenze.
È evidente che il «gruppo comunitario» del Servizio Cristiano, che conta circa 30 persone (di sette nazionalità), non pensa con ciò di modificare la città. Queste opere, benché necessarie, non son fine a sé stesse, ma motivo di dialogo col popolo, dialogo non teorico ma incarnato e vivo. Non si tratta di dar consigli, ma di lavorare pagando di persona. Il contenuto del dialogo è «il nuovo mondo di Cristo», che si scopre con stupore e speranza nella figura del Salvatore. Qui sta il fondamento del lavoro del «Servizio Cristiano», e in questo la sua opera differisce da quella di altri centri di «sviluppo di comunità», perché essa cessa di essere puramente sociale per divenire annuncio incarnato di un «nuovo mondo».

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Da: Tullio e Giò Vinay, "Giorni a Riesi", Edizioni Claudiana, Torino 1966, pp. 42-43.
"28 febbraio 1961"
La realtà è che qui si vive in una società in cui la mentalità è ancora per buona parte feudale e in cui d’altra parte cinema, televisione e radio fanno pervenire le assurde e non migliori comunicazioni di un mondo avanzato. La gente vive e lavora con la mentalità d’altri secoli e partecipa ai divertimenti e distrazioni di questo secolo con lo sconcertante risultato di trarne deduzioni erronee: scontento e sfiducia, fattori negativi perché la società possa evolversi. Si aspettano le soluzioni dal di fuori, il che è assurdo, come sarebbe assurdo che le nostre metropoli aspettassero un miglioramento della vita dall’invasione dei marziani. E ciò ancora senza rinnegare effettivamente la propria società, qualificandola spesso per valida, anche quando è marcia e incapace.
Più che mai, in questa situazione, l’«unum necessarium» è l’annunzio del Regno di Dio. Esso è potenza rinnovatrice qui non meno che nelle metropoli, nelle metropoli non meno che qui. La traduzione in termini sociali dell’annunzio dell’evangelo, che si esprime non nella competizione, ma nel dono di sé, non nello sfruttamento dell’altro, ma nel servizio, conduce sempre alla comprensione profonda dei problemi maggiori che il mondo agita. Chi «entra» nel Regno è già oggi «post-moderno», uomo del futuro. E l’annunzio del Regno di Dio può esser compreso anche da questa società arretrata.
Fra qualche decennio la civiltà post-moderna arriverà qui. È impossibile che quel mondo lasci ancora delle isole di dimenticati. Sarà un mondo unito in cui tutti dovranno essere insieme. Se il Regno di Cristo con la sua potenza avrà raggiunto i Riesini, questi saranno non solo pronti all’inserimento nella nuova civiltà, ma ad essa potranno portare un contributo vero. Se, invece, non saranno pronti, si ripeterà quel che da millenni si è ripetuto in Sicilia: un’altra dominazione avrà scalzato la precedente e ad essa sarà succeduta, ma questa volta evadere da essa con la furbizia o con la mafia sarà alquanto difficile.