Perché in Italia c'è tanta corruzione?

Ritratto di Angelo Sciortino

20 Dicembre 2017, 10:54 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

Versione stampabileInvia per email

Lo so che a pochi interesseranno queste mie riflessioni, ma devo farle per mettermi a posto con la mia coscienza. Se continuassi a tenerle soltanto per me, infatti, non potrei dire di essermi battuto contro la corruzione dilagante in questa povera Italia. Una corruzione, che non è solamente finanziaria, ma anche morale.

La corruzione è vecchia in Italia. Tanto vecchia, che persino il senato della Roma repubblicana promuoveva leggi contro una certa corruzione politica già nel primo secolo A.C. Loro definivano così un atto di corruzione: “ogni volta che sono presi soldi e i doveri conferiti alla funzione pubblica sono violati”. I magistrati territoriali nell’Impero Romano, poi, avevano stabilito che era legale ricevere regali fino a cento monete d’oro l’anno, ma ogni cifra che andasse oltre quella stabilita era considerata “oscena”. C’erano anche categorie criminali separate rispetto a quella che veniva chiamata concussione, quali il “ricatto e “l’estorsione”. Il magistrato romano poteva affermare di avere predisposto un ordine legale contro ciascuna, al fine di scoraggiare ogni richiesta di mazzette verso la proprietà privata individuale. L’Imperatore Costantino emise uno dei più duri decreti contro la corruzione durante il suo governo nel 331 D.C. Coloro che erano riconosciuti colpevoli di tali crimini potevano essere mandati in esilio in un’isola deserta o in lontane aree rurali, mentre per i casi più gravi si poteva persino essere condannati a morte. Un magistrato, per esempio, poteva essere giustiziato se avesse assolto per un “giusto prezzo” qualcuno colpevole di omicidio.

Se la corruzione è così antica, è giusto chiedersi se ci sono ragioni plausibili per subirla senza cercare una risoluzione. Parte della risposta certamente gira intorno a questioni etiche e culturali. Più è alto il grado di onestà personale e di lealtà verso codici etici di condotta, più possiamo aspettarci di trovare persone capaci di resistere alla tentazione di offrire e prendere mazzette.

Questa è sicuramente una spiegazione valida. Una ben più forte spiegazione può essere riscontrata nell’analisi della relazione tra il livello di corruzione di una società e il grado di intervento del governo nel sistema di mercato. Generalmente in una società fondata sul libero mercato, l’azione del governo è limitata alla protezione della vita dei cittadini, della libertà, della proprietà privata onestamente acquisita. Le norme di legge sono trasparenti e assicurano imparzialità e giustizia per tutti. Ogni altra funzione portata avanti dal governo concerne casi decisamente limitati, in particolare relativi a una certa varietà di progetti inerenti a opere pubbliche. Sotto tali circostanze, gli uffici governativi hanno limitate responsabilità regolative e redistributive, e perciò hanno minori favori speciali, privilegi, benefici, esenzioni da “vendere” ad una parte del settore privato a spese del resto della società. Più è piccolo il raggio dell’attività governativa, di conseguenza, minori sono per politicanti o burocrati le occasioni di vendita a votanti o a specifici gruppi di interesse. Altrettanto minori sono gli incentivi o i bisogni per i cittadini di ungere con mazzette l’ufficiale governativo di turno, affinché questi possano con maggior tranquillità condurre i propri affari e le proprie personali incombenze.

In altre parole, la vera natura dell’economia regolata dallo stato interventista è di mandare in corto circuito il libero mercato. Lo stato interventista va ben oltre la protezione della proprietà e della vita delle persone. Coloro che hanno il potere nello stato interventista, utilizzano l’autorità del governo per influenzare i risultati del mercato attraverso l’uso della forza politica. Il governo tassa il pubblico e usa l’intera somma di denaro per pagare una varietà di programmi e progetti, inoltre, impone licenze e regolamenti restrittivi sulla libera e aperta competizione. Lo stato trasferisce grandi quantità di guadagni e ricchezze a differenti gruppi attraverso diversi schemi “redistributivi”. Egli controlla come e con quali finalità le persone possono usare e disporre delle proprie proprietà. Paternalisticamente impone standard legali influenzando i modi di vivere, apprendere, associarci e interagire con coloro che ci circondano. Quelli che ci governano esercitando questi poteri, hanno virtualmente nelle loro mani, attraverso le decisioni prese, il destino di ciascuno. E’ inevitabile che coloro che ne progettano l’impiego nell’arena politica finiscano per scorgerne il potenziale per guadagni personali, attraverso il modo in cui esercitano a beneficio o a discapito di qualcuno il loro enorme potere discrezionale e decisionale. Altri sono attratti da questi “servizi pubblici” perché motivati da visioni ideologiche, sognando di imporli per il “bene dell’umanità”. Molti vedono nella corruzione di quelli che detengono questo potere politico l’unico modo per perseguire i propri fini. Questo potere può esercitarsi nella restrizione, oppure nella proibizione della competizione in qualche punto del mercato, o nel procurarsi in modo coercitivo il denaro altrui a fini redistributivi. Per altri, comunque, la corruzione di coloro che detengono le redini della regolamentazione può significare l’unico modo per aggirare restrizioni che gli impedirebbero di competere sul mercato e guadagnarsi da vivere. Il commercio dello stato interventista, diventa pertanto l’acquisto e la vendita di favori e privilegi. Questo deve condurre alla necessità di usare il potere politico per danneggiare alcuni o per beneficiarne altri, e costoro aspettandosi di essere danneggiati o beneficiati cercheranno inevitabilmente di influenzare il modo di farlo di coloro che detengono quel potere.