Prudenti, ma non vili.

Ritratto di Angelo Sciortino

30 Aprile 2013, 14:03 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Dixit et facta responderunt, che in lingua italiana diventa: disse e i fatti corrisposero. Per chi va a Genova, la frase è leggibile nel Palazzo Ducale. Essa, infatti, ricorda la nascita della Repubblica marinara di Genova nel 1099, dovuta alla concretezza e alla competenza di coloro che le diedero avvio. Ogni loro proclama e ogni loro comunicato era sempre seguito dai fatti, che fecero crescere per secoli la Città e la Repubblica, che da essa prese il nome.

Tutto finì, quando altri uomini cominciarono a svendere il patrimonio conquistato grazie ai facta e non seppero ribellarsi al potente vicino francese, al quale finirono con il vendere la Corsica. Continuarono a dire, ma alle parole non corrisposero i fatti. Alla fine Napoleone, con un tratto di penna legata alla sua baionetta, la cancellò. Una cancellazione, che tale rimase anche dopo la sua sconfitta e il suo esilio.

Se dalla storia dobbiamo trarre insegnamenti, per illuminare la strada del futuro, dobbiamo scoprire se le situazioni del passato hanno una corrispondenza con il presente. Se tale corrispondenza c'è, allora dal confronto possiamo trarre suggerimenti per salvarci o, se non siamo capaci di agire, una sorta di anticipazione di quel che potremo aspettarci per il futuro.

Allora guardiamo con occhio attento alla Cefalù del recente passato e del presente. La sua storia degli ultimi anni somiglia tanto a quella di Genova, quando andò perdendo giorno dopo giorno sia la sua potenza e sia il suo orgoglio marinaro. Anche Cefalù era stata potente, come dimostrano i tanti esempi di arte normanna. E non soltanto quelli, perché di quella grandezza ci sono rimasti anche esempi culturali in genere, che altrove sarebbero ricordati e rispettati più di quanto accade da noi. Noi ricordiamo questi alti esempi culturali, travisando o immiserendo le antiche tradizioni, che ne sono una testimonianza popolare.

La verità risiede in una scelta, che il Consiglio comunale fece nel 1774, nello stesso periodo in cui Genova si avviava al declino con le vuote parole. E' l'anno in cui la città di Cefalù chiede due grazie al Re: di poter costruire il suo porto e di concedere il titolo di Senato al suo consiglio comunale. La prima non viene concessa, ma la seconda sì, per cui Cefalù ha il suo senato, ma non ha il suo porto!

Da quell'anno, quando i consiglieri comunali cominciarono a fregiarsi del loro titolo di senatori, prende avvio la decadenza di Cefalù. Trenta senatori, ma nessun porto; tanti senatori, ma nessun piano urbanistico; tanti senatori, ma nessun cimitero. Dovrà aspettarsi quasi un secolo, perché un delegato straordinario del Governo gliene dia uno nel 1868. Oggi non ci sono più i senatori, ma soltanto fasce tricolori, che stanno per farci tornare al tempo in cui non tutti potevano sperare in una tomba. Né sembra che ci sia da sperare in altre cose, visto che a Cefalù sono ormai più le cose che stiamo per perdere, che quelle che costruiamo. Si pensi, una per tutte, alla chiusura del Tribunale.

Sembra una degenerazione irreversibile, che potrebbe evitare soltanto chi pensa e agisce come pensò e agì Concetta Giardina, quando scrisse al fratello Giuseppe, futuro Sindaco di Cefalù, di essere, di fronte al fascismo manesco e omicida, prudente, ma finché la prudenza non diventa viltà.

Schiena dritta, soprattutto di fronte a un qualsiasi senatore!