28 a 0: è vera rivoluzione?

Ritratto di Angelo Sciortino

6 Marzo 2018, 14:05 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Quando in Sicilia il Viceré Domenico Caracciolo abolì la Santa Inquisizione, i nobili siciliani vollero mostrarsi più realisti del Re (e del Viceré) e chiesero e ottennero che, per cancellare anche il ricordo di quell’orribile pagina della storia religiosa e civile dell’Isola, fosse distrutto anche l’Archivio di quella nefanda istituzione.

Tanto zelo pseudo-illuminista, oscurantista della storia, non era una semplice smargiassata e l'esagerazione di un furore di moda in quel momento. Quei nobili convertiti ai “lumi” del secolo avevano ottime ragioni per distruggere quelle terribili carte: i loro padri, i loro avi erano stati quasi tutti “famigliari dell’Inquisizione”. Un ruolo onorifico e in realtà disonorante, di spie e di collaboratori di cacce agli “eretici” o presunti tali, di garanti della collaborazione del basso clero sul quale avevano diritti di Giuspatronato.

E, poi, gli “onori”: quello di andare a cavallo in processione con le gualdrappe verdi e le bandiere verdi della Santa Inquisizione fino alla spianata, dove si bruciavano vivi gli eretici, a godersi gli “autodafé”. Ma, assai più consistente e ambito, era per questi signori violenti e mascalzoni il privilegio di essere esenti dalla giustizia regia, potendo essere giudicati solo dal Tribunale dell’Inquisizione. Che, feroce con gli eretici e i sospetti di “devianze”, era particolarmente benevolo e riguardoso nei confronti dei propri “collaboratori di giustizia”, benché assassini, stupratori, ladroni. Meglio, dunque, bruciare quelle carte compromettenti il buon nome (anche se solo ipotetico) delle famiglie e dei discendenti.

Tutto ciò mi torna alla mente oggi, dopo il clamoroso 28 a 0 del M5S in Sicilia. La maggior parte dei votanti del Movimento mi sembrano simili ai nobili siciliani ai tempi del Viceré Caracciolo. È vero, questi elettori del 2018 non chiedono di distruggere l'archivio della nefanda politica degli ultimi decenni (forse perché non vi sono archivi), ma rifiutano qualsiasi riflessione sulle responsabilità personali proprie e dei propri padri per averli sostenuti finché riuscivano a trarne benefici. Benefici, che hanno indebolito l'economia siciliana, generando povertà ed emigrazione dei migliori.

Se di rivoluzione si vuol parlare, quindi, essa dev'essere innanzitutto culturale. Non basta cambiare i politici, se poi li si segue acriticamente in “processione verso la spianata”, dove si bruciano vivi gli eretici, accusati di “devianza” alla fede politica imperante. Non è rivoluzione sostituire gli Angioini con gli Aragonesi o pensare che chiodo scaccia chiodo, perché il chiodo rimane comunque.

Troppo vecchio per vivere finché si avvererà questa rivoluzione culturale, mi limito soltanto ad augurarla a coloro che mi seguiranno, perché soltanto così la Sicilia potrà tornare a essere un faro di civiltà, come lo fu al tempo dei Normanni e di Federico II.