Sulla povertà in Italia

Ritratto di Angelo Sciortino

4 Luglio 2018, 18:19 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Quando si parla di povertà, bisogna considerare che in Italia, rispetto agli altri Paesi europei, il fenomeno rivela alcune caratteristiche specifiche che sono: l’aumento della povertà assoluta, per incidenza e per intensità; il divario ancora crescente tra le regioni centro-settentrionali e quelle del Sud; l’aumento di fenomeni pauperistici connessi con l’assottigliarsi dei nuclei familiari, incidendo soprattutto su quelli monogenitoriali e di anziani soli – a seguito dell'invecchiamento della popolazione, mediamente più avanzata in Italia – mentre la situazione migliora decisamente nel caso delle coppie anziane, soprattutto se dispongono di pensioni da lavoro. Il rischio di povertà cresce rapidamente col crescere delle dimensioni della famiglia e dove è maggiore la presenza di minori. In assoluto sono le famiglie con un solo genitore di genere femminile – in aumento – quelle maggiormente a rischio di povertà, soprattutto se a capo vi sono giovani donne con figli minori. La superiore marginalità della donna italiana rispetto al mercato del lavoro aggrava la povertà femminile e con essa si acuisce anche la povertà minorile, che colpisce il nostro Paese in proporzione maggiore che nella media dell’Europa unita. D’altra parte la partecipazione al mercato del lavoro delle donne decresce con la presenza dei figli e il rischio di povertà femminile è doppio di quello maschile proprio in relazione all’annoso problema delle pari opportunità rispetto al lavoro ed alla centralità della figura femminile rispetto alla cura dei figli.

Per cui la povertà è un fenomeno sfaccettato, multidimensionale e complesso. Qualunque sia il fattore che la innesca, la povertà non è mai solo “materiale” o assoluta, ma è anche “relazionale”, perché riduce gli spazi della vita sociale e la qualità dei rapporti umani ed è “istituzionale”, perché è acuita dall’insufficienza, dalla scarsa qualità e dalla parzialità delle misure di contrasto sia delle politiche distributive che di quelle che dovrebbero contrastarla.

Di fronte alla complessità di questo fenomeno non possiamo permettere soluzioni semplicistiche, come quelle che qualche politico propone. Per vincere la povertà bisogna produrre di più e non si può produrre di più se la disoccupazione giovanile è alta come e quanto oggi. Però, se proprio fra i giovani è diffusa la disoccupazione, c'è qualcosa che non funziona nel nostro sistema economico.

E questo qualcosa non può risolversi tenendo lontani gli immigrati, considerati come ladri del lavoro dei giovani, e neppure assicurando a questi giovani un'ora d'internet gratuita o un reddito di cittadinanza. Per risolverlo è necessario avere una visione corretta del funzionamento dell'economia e a questa visione attenersi. Se si continua, invece, a porre lo Stato, e quindi la politica, non come un regolatore e un garante del corretto funzionamento dell'economia, ma come un membro del sistema economico e quindi come un elargitore di posti di lavoro, la produzione non crescerà e la disoccupazione, di contro, aumenterà. Con quale destino è facile prevederlo. Questo destino è ben anticipato nella figura posta in cima a questo intervento. E questo destino non potrà evitarsi con le attuali scelte politiche e con la loro accettazione con atti di fede e ancor meno con l'acredine, con la quale molti le accettano e le sostengono, magari scaricando su capri espiatori per liberare la loro coscienza.