In difesa del Sindaco contro i Cefalutani, in difesa dei Cefalutani contro il Sindaco.

Ritratto di Angelo Sciortino

19 Maggio 2013, 17:47 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Anche se è profondamente vero che il torto non sta sempre da una sola parte, troppo spesso ce ne dimentichiamo e finiamo così con il credere che in qualunque situazione le colpe sono soltanto degli altri, mentre invece noi siamo eroi incorrotti. Ancora più evidente questa dimenticanza vale in democrazia, soprattutto quando ci lamentiamo degli eletti, dimenticando che siamo stati noi a sceglierli. Ancora peggio quando non ne teniamo conto per un interesse personale, com'è avvenuto nell'ultimo quarantennio. Quel che s'è costruito grazie al nostro disinteresse, al nostro egoismo e al nostro scarso giudizio, non piace più – giustamente – alle nuove generazioni, che si ritrovano con il debito fatto da noi e con una democrazia tradita, perché illiberale e supportata da opacità e da scarsa efficienza della politica e della burocrazia.

Questa nuova generazione, quando scopre il mancato riconoscimento del merito e il favore verso la clientela, abbandona l'Italia. Negli ultimi dieci anni duecentomila giovani hanno abbandonato ogni anno il Paese e oggi vivono e lavorano con soddisfazione persino in Asia. Qui sono rimasti o gli ottimisti a oltranza, che sperano nell'impossibile, o gli sfortunati. Costoro, per vincere la disperazione, si affidano alla ripetizione dell'esempio dei loro padri e fingono di credere in chiunque prometta loro qualcosa per sopravvivere, oppure, stanchi e sfiduciati, si affidano a qualsiasi capopopolo, com'è avvenuto con il movimento di Grillo e con il populismo di Berlusconi.

Così facendo, però, non soltanto non si cambia la situazione, ma si finisce con l'aggravarla.

Esattamente com'è avvenuto e avviene a Cefalù.

Durante la campagna elettorale di un anno fa abbiamo caricato troppo d'importanza le chiacchiere dei candidati e abbiamo affidato loro compiti, che dovevano essere nostri. Così, nel momento in cui fu eletto Saro Lapunzina, persino quelli che non l'avevano votato si aspettavano la panacea di tutti i mali. In verità egli lasciò credere di esserlo. Questo gli permise di precostituirsi in Consiglio quella maggioranza, che gli elettori non gli avevano dato. Lo aiutò in questa azione la mancata richiesta, da parte dell'opinione pubblica, di maggiore trasparenza, che spiegasse esaurientemente quegli accordi.

A meno d'un anno essi hanno fatto la fine, che qualcuno aveva previsto. Il Sindaco non ha più quella maggioranza precostituita e al momento è coadiuvato da un Consiglio dimezzato, come il barone rampante di Calvino.

Da questa situazione deriva lo stato di dissesto culturale e politico di Cefalù. Uno stato, che si aggiunge a quello di dissesto finanziario.

E' soltanto colpa del Sindaco e della sua Amministrazione?

Sarebbe troppo facile scaricare su di lui tutte le colpe. Troppo facile, ingiusto e sbagliatissimo, perché, così facendo, nasconderemmo le nostre e renderemmo impossibile correggere i problemi.

E' innegabile che Cefalù vive uno dei suoi momenti più difficili del Dopoguerra. Pulizia delle strade ai livelli precedenti all'arrivo di Antonino Morvillo nel 1868; un porto fatiscente; i monumenti abbandonati e il Museo a rischio chiusura; il turismo in calo a livelli pericolosi; lo sport ridotto a manifestazioni di tifoserie varie; la cultura affidata a nessuno. Tutti problemi gravissimi, per i quali, abituati da vecchie e stupide abitudini clientelari, ci affidiamo a ormai impossibili elemosine statali e invochiamo aiuti dalle fate e dai demiurghi. Non ci viene in mente che noi siamo i primi, così facendo, a favorire la nostra decrescita.

Mi vengono in mente gli albergatori, che si affidano a tour operator come ieri si affidavano alle fate turchine. Non capiscono che gli uni e le altre sono privi di una strategia e di una visione ampia. Cose che fanno di qualunque uomo un imprenditore. Non per nulla essi si definiscono imprenditori turistici, ma – tranne poche eccezioni – non si uniscono e non fanno quello che facevano i mercanti veneziani, fiorentini e genovesi: andare a cercare la merce e i clienti in tutto il mondo. Tra l'altro in situazioni logistiche più difficili e più pericolose delle attuali.

Non come commercianti, ma come bottegai se ne restano nella loro bottega e aspettano il miracolo. E se questo non arriva, può scaricarsi ogni colpa sulla tassa di soggiorno, sull'IMU o su un'esagerata TARSU. In ultima analisi, su un qualsivoglia sindaco o presidente regionale.

Per non dire dei commercianti, che come buoni bottegai credono che il loro impegno professionale consista nel ricaricare i prezzi di una merce offerta e acquistata quasi a scatola chiusa.

Lo stesso dicasi degli imprenditori edili, che fra le mille richieste e le altrettante numerose lamentele, dimenticano di esigere un PRG degno di questo nome e regole chiare e sicure. Preferiscono affidarsi a decisioni burocratiche, nella speranza che esse li aiutino a infiltrarsi nei meandri di normative confuse. Non sembrano chiedere chiarezza, ma funzionari e dirigenti più malleabili.

Queste le responsabilità dei cittadini, che si coniugano bene con quelle dell'Amministrazione. Questa ha imparato la lezione. Quasi inconsapevolmente sa che di fronte a costoro, più sudditi che cittadini, bastano le parole e i proclami ingannevoli. Ci ritroviamo così le riunioni dei commercianti che credono di decidere, ma che in fondo fanno da contraltare alle chiacchiere del Sindaco; un'agitazione inconcludente, che sta togliendoci credibilità a ogni livello, finanziario, culturale e talvolta persino morale; una irresponsabile spensieratezza, fatta di sagre e di festini, conditi qualche volta da parvenze culturali, mentre fuori il nemico è pronto ad attaccarci. Tutti ormai, infatti, approfittano dei nostri errori: i Castelbuonesi, come se fossero rinati i Ventimiglia; i Termitani, perché hanno almeno il porto; tutti gli altri Comuni madoniti, perché costretti a occupare lo spazio, che noi abbiamo lasciato libero con la nostra colpevole incapacità.

E' qui che il Sindaco sta commettendo il suo errore più grave, almeno a mio parere. Dopo i piani elettorali, a un anno dalla sua elezione continua imperterrito a usare i verbi al futuro – farò ecc. - e non al passato, nel senso che qualcosa l'ha fatta. Sembra privo di una strategia e soddisfatto di comparire, magari prima al taglio di una torta e subito dopo a ricordare una vittima della legalità.

Non è tutta colpa sua. Moltissima di questa colpa è della burocrazia comunale e tant'altra ancora dei suoi collaboratori a titolo gratuito, come quello che ha definito figurativi i numeri inseriti nel bilancio, che avrebbe dovuto dimostrare ai magistrati contabili che stavamo risanando il nostro bilancio.

Se ci pensiamo bene, però, le colpe di una battaglia perduta o sono del generale, che ha scelto male i suoi colonnelli – i suoi collaboratori – o dei soldati – i cittadini – che non hanno combattuto con il dovuto eroismo. Nel nostro caso credo che entrambi siano colpevoli. Comunque, a voi lettori la sentenza.