Borgese, un madonita eccelso

Ritratto di Angelo Sciortino

20 Maggio 2019, 21:34 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Casualmente, scrivendo una citazione di Leonardo Sciascia, mi sono ritrovato il nome di Giuseppe Antonio Borgese, lo scrittore siciliano nato a Polizzi Generosa nel 1882 e morto a Fiesole nel 1952.

Borgese rappresentò un pilastro della critica letteraria italiana nel '900. Seguace del pensiero di Gaetano De Sanctis, fu amico e avversario di Benedetto Croce, ma anche di Gabriele D'Annunzio. Fu fondatore di molte riviste letterarie e collaboratore del Corriere della Sera, diretto allora dal mitico Luigi Albertini. Nel 1931 partì per gli Stati Uniti d'America per tenervi corsi universitari, ma quello che avrebbe dovuto essere un breve soggiorno divenne esilio per il rifiuto opposto dal Borgese al giuramento fascista; così dal '31 al '32 insegnò storia della critica ed estetica all'università di California, dal '32 al '36 letteratura comparativa italiana allo Smith College, quindi dal '36 al '48 all'università di Chicago.

Nella prospettiva della edificazione di una nuova società mondiale sulle rovine dell'ordine precedente si pongono dunque le opere successive, fra le quali spicca The City of Man, scritto in collaborazione con Thomas Mann.

A voler elencare tutte le opere del Borgese, comunque, si occuperebbe troppo spazio. Personalmente conservo gratitudine al mio Nonno materno, che nella sua biblioteca ne aveva tanti, fra le quali l'edizione italiana della sua opera fondamentale, il Goliath, the March of Fascism (New York 1937; trad. ital., Milano 1946) scritto originariamente in inglese fra il 1935 ed il 1937 – e per cui la critica d'Oltreoceano vide nel Borgese un nuovo scrittore anglosassone. Il libro non è più in commercio, ma ho fotografato la copia in mio possesso.

L'opera è una indagine delle ragioni e delle caratteristiche del fascismo, considerato sullo sfondo della tradizione culturale e spirituale italiana, e una storia del movimento fino alla guerra di Spagna. Dal mito della romanità e della cattolicità creato da Dante, al fallimento dell'opera di Cola di Rienzo (nella figura del quale il Borgese sembra adombrare Mussolini) fino alla politica di Crispi e al sorgere del nazionalismo nelle sue molteplici motivazioni, la storia italiana è ripercorsa con vivacità e spietatezza di lucido pamphletaire e con arte di grande scrittore, soprattutto nella parte dedicata alla nascita del fascismo, alla complicità interna con la monarchia e alla responsabilità delle grandi potenze europee nei confronti della politica imperialistica del fascismo. Nell'ultima parte il Borgese prefigura lucidamente la prossima caduta del regime con la sconfitta militare e la parte preponderante che avrà successivamente la Chiesa, unico pilastro rimasto in piedi dopo la rovina del sistema, e si chiude con una generosa e appassionata invocazione agli Italiani perché da soli rovescino la drammatica situazione del loro paese, ponendo termine alla malattia di secoli, che ha causato il fascismo.

Il Borgese spese appunto gli ultimi anni - pur con una ripresa dell'attività narrativa testimoniata dalle novelle della Siracusana (Milano 1950) - per realizzare il suo utopistico progetto di costituzione del "Comitato per formulare una Costituzione mondiale" che egli ormai considerava l'opera più importante della sua vita, in quella prospettiva "unitaristica" tenacemente perseguita fin dalla prima attività letteraria.

E noi oggi, quasi dimentichi di Borgese, ne offendiamo il suo amore per la libertà e per la Sicilia, per seguire le sirene dei leghisti o di alcuni poveretti che tentano di farfugliare una nuova storia d'Italia e della Sicilia, indicando Garibaldi come un delinquente avventuriero, ma acclamando un leghista, che ogni giorno di più si dimostra avventuriero.