I miei ricordi della Cefalù che fu

Ritratto di Angelo Sciortino

8 Gennaio 2020, 20:35 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Da Fotostoriche di Cefalù

 

Dalla nascita fino a dieci anni ho vissuto nella casa di famiglia sita a Cefalù nella via Umberto I. Allora questa strada era sterrata e soltanto sul finire degli anni '50 fu ammattonata e poi, dando la prima prova del decadimento culturale delle nostre Amministrazioni, ebbe l'attuale pavimentazione e gli alberi di ficus, che oggi ne stanno distruggendo il marciapiedi e ne stanno minando la stabilità.

Bambino, quindi, l'ho percorsa per tutta la sua lunghezza, consumando più scarpe di quanto accada oggi. La percorsi per curiosità o per divertimento, fin quando non cominciai ad andare a scuola. I primi due anni delle elementari le frequentai alla scuola Mercede, poi nella sede dell'attuale Municipio fu la volta della terza elementare e infine per le classi quarta e quinta le lezioni furono trasferite dove adesso c'è l'ospizio per persone disagiate, retto dal francescano padre Aurelio.

Furono anni bellissimi, perché mi era data ogni giorno l'occasione di farmi lunghe passeggiate per il paese alla scoperta delle tante meraviglie, che già allora facevano parlare di Cefalù in tutto il mondo. Allora l'attuale via Roma si chiamava viale Principe Umberto, in ricordo della visita del principe negli anni '30; la via Moro era la via Regina Margherita. Non soltanto era diversa la toponomastica, ma anche i suoi palazzi erano diversi e meno numerosi di quelli di oggi. Nell'attuale via Roma c'erano soltanto la villa del dottor Incaprera e di fronte il palazzo dove abitava il dottore Runfola. Proprio all'inizio della via, nel punto da cui si diparte l'attuale via San Pasquale, c'era una fontanella in cui si abbeveravano i cavalli e i muli, detta la saliera per la sua forma simile proprio a una saliera. Di fronte c'era l'edificio, che oggi ospita il negozio “Capo Serio”. Poi, per incontrare lungo questa via un edificio abitato, bisognava raggiungere l'attuale Artemis Hotel, che allora era una villa in cui abitava un'amica di mia nonna e io ebbi la fortuna di visitarla spesso, quando accompagnavo mia nonna a trovare la sua amica.

Insomma, passeggiando per quella via erano visibili a nord gli orti, che rifornivano Cefalù, e il mare, che a sua volta dava agli abitanti i pesci da cucinare. Ricordo ancora le due arene, in cui si proiettavano i film durante l'estate. La prima era dove oggi insiste il secondo edificio Alberti, il secondo costruito da questo primo imprenditore edile di Cefalù, mentre l'altra era proprio dove adesso c'è il supermarket Giardina.

Talvolta le mie passeggiate interessavano le vie del centro e conoscevo i negozi uno per uno: si cominciava da Fiasconaro nei pressi di Portaterra, dove compravo i miei quaderni per i compiti, seguito dal negozio di mastro Tano, indimenticabile calzolaio. Poi nella piazza la salumeria dei fratelli Culotta, il sarto Formica, marito della mia maestra di prima e seconda elementare, con il suo laboratorio dove oggi c'è il bar Portaterra Gourmet dei fratelli Calabrese. Poi ancora, di fronte, il bar dell'albergo Barranco; il macellaio Bellipanni, di fronte al bar La Pergola, ancora esistente. E come dimenticare il bar Domina e il giovane Totuccio? E l'officina di Avara? E il negozio Parla o quello di mobili di Culotta? E che dire del mercato del pesce in via Amendola? E della scomparsa agenzia della Cassa di Risparmio, la cui aggiunta “per le province siciliane” mi fece conoscere la regola per costruire il plurale di provincia. Più giù il negozio dei fratelli Guercio, padre e zio dell'ex sindaco Giuseppe Guercio. E poi Miceli all'angolo di via Botta, che poi prese anche un secondo locale, quando questo fu lasciato dal bar pasticceria di Guercio, padre del compianto Paolo. All'angolo c'era pure la salumeria di Pasquale Serio, padre di Giovanni, titolare del bar Duomo. Scendevo ancora ed ecco la farmacia Cirincione, dove spesso mi sedevo con mio nonno, ma il negozio che mi piaceva di più era l'armeria di Micciché, accanto al negozio di don Totò di coppola, così chiamato, perché vendeva cappelli e berretti, accomunati nel sostantivo “coppola”. Ma perché continuare questo elenco, che sarebbe lunghissimo? Correrei il rischio di annoiare con i miei ricordi.

Allora ecco alcuni itinerari, che non compii da solo, sebbene la loro frequenza non fosse rara. In quegli anni mio zio Stefano, fratello di mio padre, era uno studente universitario in medicina. Quando rientrava da Palermo, diretto a Castel di Lucio, si fermava a casa nostra per alcuni giorni. Io e mia sorella, di un anno più piccola, ne eravamo felici, perché sapevamo che lo zio ci avrebbe fatto passeggiare in lungo e largo alla scoperta di un territorio per noi bambini altrimenti irraggiungibile.

Così ecco Santa Lucia, ancora senza il Club Med e senza l'Hotel Santa Lucia, allora rappresentato da una stalla del vecchio De Gaetani, trasformato poi, con il primo turismo, in un piccolo e fatiscente bar, prima di divenire l'attuale albergo. E che cosa dire delle passeggiate sulla Rocca? Tutto sempre condito dalle spiegazioni storiche dello zio Stefano.

Adesso basta. Vi chiedo un po' di comprensione per un vecchio, che ormai vive soltanto di ricordi.

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