Il silenzio colpevole sul nuovo Piano regolatore prossimo a giungere in Consiglio

Ritratto di Giovanni La Barbera

2 Febbraio 2020, 20:23 - Giovanni La Barbera   [suoi interventi e commenti]

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Poche riflessioni sul prossimo Piano Regolatore di Cefalù

In realtà non si tratta di un vero e proprio nuovo Piano, ma di una Variante Generale, dal momento che il processo di gestione del territorio è iniziato con il PRG elaborato dall'Architetto Giuseppe Samonà e dal Sociologo Carlo Doglio nella seconda metà degli anni 60.

Ormai è abbastanza diffusa la conoscenza degli avvenimenti di quegli anni, cioè di come la proposta di PRG Samonà-Doglio sia stata stravolta dall'avidità degli interessi fondiari, tanto da indurre i progettisti, riconosciuti tra i più importanti cultori italiani delle discipline che si occupano di pianificazione territoriale ed urbana, e non solo, a misconoscere il loro Progetto tanto da rifiutarsi di firmarlo nella sua stesura definitiva.

Si considera comunque il processo di pianificazione iniziato da allora, e questa, gravemente tardiva, proposta in elaborazione, quando sarà disponibile, andrà intesa propriamente, come Variante Generale all'attuale Strumento.

Vediamo, sempre brevemente, come è nello stile di questo Blog che ci ospita, di mettere in evidenza alcune della attenzioni che la politica, e più in generale le diverse componenti pensanti della struttura sociale cefaludese, quali possono essere alcuni aspetti salienti, che dovrebbero caratterizzare questa nuova epoca.

In generale, nel mio modo di pensare, cerco di tenere in costante considerazione il rapporto di interazione che sussiste, in questo processo sociale, tra Progettazione e successiva Gestione.

Un Piano postula sempre la configurazione di un Programma, cioè: azioni di servizio entro le quali si prevede che possa svolgersi la libera creatività del mondo individuale, inteso nell'accezione privatistica.

Questo inscindibile rapporto pone il Piano non come (sic et simpliciter) insieme di norme esprimenti il dominio (potere) delle pubbliche istituzioni, ma come modello normativo, di servizio, alla libera iniziativa, mediante il quale prendono corpo e si realizzano la varietà dei rapporti sociali.

Questa visione strumentale del Piano porta a considerare come fondamentali due concetti, che sono totalmente sconosciuti alle esperienze della Pubblica Amministrazione che ci riguarda, ma non solo.

Il primo

Il Piano in quanto strumento di sintesi tratta di sistemi complessi e per tale ragione necessita di essere gestito da una cultura la cui prassi gestionale metta sotto il controllo amministrativo il monitoraggio dei fenomeni.

Anche da qui la necessità di una Pubblica Amministrazione predisposta e organizzata a registrare gli effetti di ritorno delle azioni concrete delle politiche intraprese. Cioè, Amministrazioni capaci di mettere in valore le conoscenze che provengono dalle retroazioni, degli atti amministrativi, retroazioni che, se adeguatamente interpretate, danno la misura dell'efficacia delle stessi.

Ovviamente mi riferisco ad una pubblica amministrazione ipoteticamente preparata alle valutazioni indotte dalla gestione. E qui, un altro punto dolente per cui occorre pensare a modernizzare i presidi burocratici.

Ciò nondimeno, voglio pensare che l'occasione del nuovo PRG porti a una partecipazione tesa alla revisione critica delle esperienze amministrative maturate tra gli ultimi anni ‘60 a oggi. Ovviamente, sotto questo profilo sono da considerare sia lo Strumento generale che i successivi Piani Particolareggiati.

Se non fosse così, a poco, molto poco, servirebbe il nuovo Piano in direzione della crescita della consapevolezza del rapporto Comunità e uso del suolo.

Il secondo

Il tema dell'Ambiente. Questo è necessariamente da approfondire, sia in quanto sono mutati i tempi e le generazioni degli anni 70-80-90 e sia perché al di là della retorica ambientalista, questo deve essere la centralità del nuovo Piano.

In questo approfondimento critico occorrerebbe cercare “la giusta misura” senza farsi impressionare da ideologie che non vogliono tenere in conto quanto raccomandato dai i diversi “summit” internazionali relativi alle prospettive per la sopravvivenza del pianeta.

Si legge nella dichiarazione dell'ONU sull'ambiente, svoltasi a Stoccolma nel 1972:

La terra, dimora dell'umanità costituisce un tutto

caratterizzato dall'interdipendenza ".

e nel principio n. 4 specifica, più solennemente ancora:

"per raggiungere lo sviluppo sostenibile, la protezione

dell'ambiente deve essere parte integrante del processo di sviluppo e non può essere considerato separatamente.

Dunque sviluppo si (altrimenti la città progressivamente muore), ma mettendo al centro la sostenibilità come concetto complesso che, ahimè, richiede una maturità culturale al cui nobile scopo non siamo molto allenati.

Qui, per concludere, vorrei rimarcare, come mio modo di pensare, la necessità di sviluppare, con l'educazione relazionale, lo spirito critico su ogni decisione di qualsiasi istituzione, che riguarda il contesto del governo del territorio.

Questo richiede, pur rispettando la gerarchia delle funzioni e delle responsabilità istituzionali, di non abbandonarsi alle decisioni sovraordinate come fatti ineluttabili, accettando con spirito servile, per esempio, i vincoli imposti al nostro territorio da decisioni provenienti a partire dall'Europa, dallo Stato e dalla Regione, dimenticando, appunto, che dobbiamo capirli ed eventualmente criticarli “cum grano salis”.

Non è inutile ricordare, ancora, che la nostra Costituzione attribuisce ai comuni autonomia all'interno della distribuzione, di tale prerogativa, nel sistema istituzionale, e che, se si fa attenzione, ogni vincolo posto sul territorio, passa sempre, in qualche misura, dalla consultazione dell'Ente comunale.

Occorre quindi cimentarsi con un ragionamento ponderato, in grado di valutare i vincoli per la tutela ambientale, come aspetti centrali del più ampio problema della pianificazione.

E' auspicabile che in questa ottica una legislazione (riforma urbanistica), ridisegni, tra le altre cose, metodi e procedure per la formazione e l'attuazione degli strumenti urbanistici locali.

Vedremo in altro momento come nella nostra regione dal dopoguerra a oggi le vere spinte ordinatrici nell'uso del suolo siano state improntate da un agire anarchico, che è stato ed è causa dell'assenza diffusa della cultura del metodo della programmazione.