Per un nuovo rapporto tra uomo e natura

Ritratto di Luca Sciortino

16 Marzo 2020, 13:38 - Luca Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Una delle domande che molti di noi si pongono è se vi sia un legame tra l’epidemia da Covid-19 e i danni ambientali che abbiamo inferto al nostra pianeta. Una risposta affrettata nega ogni relazione, chiamando in causa il fatto che i virus hanno da sempre infettato l’uomo e causato epidemie. Gli stessi coronavirus comprendono molte specie, delle quali quella chiamata HCoV-NL ha infettato l’uomo già a partire dal 1200.

In realtà, una vasta messe di conoscenze in tema ambientale ci suggerisce che il legame c’è, eccome. Prima di tutto, la capacità dei virus di attaccare l’uomo è legata alla distruzione degli habitat naturali delle specie selvatiche. Per dare un ordine di grandezza, dal 2010 e al 2020, secondo il recente rapporto di Greenpeace, circa 50 milioni di ettari di foreste sono andate distrutte a causa dell’aumento della produzione agricola e dalle conseguenze dal riscaldamento globale. Distruggere gli habitat naturali, come i boschi, costringe le specie viventi a venire più a contatto fra loro e a vivere in spazi ristretti molto vicino all’uomo.

Questa stretta convivenza rende più facile ai virus la diffusione da una specie animale a un’altra e, soprattutto, rende più probabile il salto di specie, il cosiddetto spillover, quel fenomeno per cui in seguito a una mutazione un virus passa dall’animale all’uomo. Con il sorgere dell’agricoltura, diecimila anni fa, i salti di specie si sono moltiplicati: la scabbia e il morbillo dai cani, il vaiolo e la tubercolosi dai bovini fino alla peste dai roditori e la stessa influenza dagli uccelli acquatici. Ma in tempi recenti la maggioranza delle malattie stanno arrivando da animali selvatici, per esempio diverse specie di pipistrelli hanno fatto da serbatoio a molti virus che sono passati all’uomo, anche attraverso altri animali come il maiale o il cammello che facevano da ospiti di amplificazione: esempi sono l’Hendra, il Nipah, probabilmente l’Ebola e i Coronavirus come il MERS-CoV emerso nel 2012, il SARS-CoV tra il 2002 e il 2004, e oggi il SARS CoV-2.

Anche se non abbiamo prove nel dettaglio, possiamo immaginare che i cambiamenti climatici abbiano sconvolto le migrazioni delle specie animali in maniera tale da farle venire più in contatto, favorendo la trasmissione di nuovi patogeni da una specie a un’altra. Quando poi rubiamo l’habitat a queste stesse specie, o direttamente o tramite gli incendi e altre conseguenze del riscaldamento globale, diveniamo il serbatoio ideale dei virus, che hanno così a disposizione più di sette miliardi di individui per replicarsi e aumentare il loro successo evolutivo.

C'è poi un secondo fattore cruciale nella relazione tra problemi ambientali ed epidemie: l’inquinamento atmosferico, sia esso dovuto al traffico di auto o dall’uso di biomasse per il riscaldamento, è associato con un maggiore rischio di polmonite e con una maggiore difficoltà di far fronte alle sue complicanze. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, nel 2015 sono morte in tutt’Italia 60200 persone per l’esposizione al PM2,5, 20500 per quella agli ossidi di azoto e 3200 per l’ozono. Quest’ultimo è responsabile dell’abbassamento delle difese immunitarie, proprio quelle che dovrebbero farci resistere all’attacco del virus Covid-19. Soprattutto nella pianura padana, a causare il 45 per cento del PM10 sono le stufe a pellet, al momento incentivate dal governo.

Nel 2006, nel suo libro “La vendetta di Gaia”, lo scienziato James Lovelock teorizzò che la Terra è una sorta di organismo vivente: Gaia, appunto, dal nome della dea Terra degli antichi Greci. Come non possiamo capire il funzionamento di un essere umano esaminando separatamente i vari organi, allo stesso modo non possiamo comprendere i mutamenti planetari se studiamo le componenti fisiche e biologiche della Terra trascurandone le relazioni specifiche.

Come ho raccontato nel mio ultimo libro "Ritratto dell'anima del mondo", gli antichi Greci consideravano il mondo come dotato di un'anima. Questa visione ha attraversato i secoli in diverse forme attribuendo un'anima anche alle cose: boschi, laghi, fiumi, luoghi, erano dotato di un'anima, un frammento dell'anima universale. Oggi abbiamo perso questa visione e abbiamo attribuito esclusivo valore economico alle cose. Così, se una foresta ha esclusivo valore economico la possiamo distruggere per sfruttare quel luogo ai nostri fini.

L’uomo ha vissuto con la strategia del parassita, dell’essere che vive a spese di un altro organismo. Se ne nutre, cresce, si riproduce e prospera. Eppure, la sua non è una strategia lungimirante. Le energie dell'organismo ospite diminuiscono giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Finché un giorno accade l'inevitabile: l'organismo ospite si avvia a una fine certa.

Fa pensare che l’”organismo Terra” abbia prodotto nel suo seno un virus capace di forzarci a interrompere le attività economiche e il trasporto, così da determinare una drastica riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Quasi come se ci costringesse a fare ciò che non abbiamo voluto fare noi mettendo in campo politiche ambientali efficaci. E quando ieri per qualche ora si è temuto che il virus avesse colpito il presidente del Brasile Jair Messias Bolsonaro, responsabile di una politica irresponsabile di distruzione della foresta Amazzonica e risultato poi negativo al test, qualche cinico avrà pure pensato che si trattasse della vendetta di Gaia.

Non è più il momento delle ideologie di destra o sinistra. E' il momento di politiche per la difesa del nostro pianeta. Per un nuovo rapporto tra uomo e natura ancora tutto da ripensare alla luce della terribile esperienza che stiamo vivendo.

 

 

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