Urge una riforma per avere finalmente una Giustizia

Ritratto di Angelo Sciortino

7 Giugno 2020, 21:49 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Non so se ci avete fatto caso, ma quando si parla di riforme (e in Italia ce n'è grande bisogno) a mobilitarsi sono tutti coloro che ne subirebbero le conseguenze, ma non coloro che ne trarrebbero un sicuro vantaggio. Manca, per esempio, un potere esecutivo forte, esiste però un blocco contrario a ogni riforma in questo senso. Questo blocco di potere ha al suo centro in apparenza il Pd e la sinistra politica, ma in realtà ormai il suo nucleo forte dominante è il cosiddetto “Partito dei giudici”, che in realtà è un Partito dei pubblici ministeri politicizzati. In assenza di una stampa capace di informare correttamente l'opinione pubblica, sono falliti due tentativi di riforma costituzionale, in occasione dei referendum costituzionali del 2006 (riforma di Silvio Berlusconi) e del 2016 (riforma di Matteo Renzi). È interessante notare che entrambe quelle riforme non prevedevano immediatamente la riforma della Giustizia e dell’ordinamento giudiziario, ma i loro promotori, sia Silvio Berlusconi, sia Matteo Renzi, erano entrambi osteggiati dal blocco di potere antiriformista e dal suo vero nucleo dirigente, il partito dei pubblici ministeri, perché i due leader avevano manifestato l’intenzione di attuare un’ampia riforma della Giustizia e per questo andavano fermati.

Fa riflettere che nel caso di Renzi, leader del PD e quindi della sinistra, non piacesse alla magistratura politicizzata, quindi è una ulteriore prova che una riforma della Giustizia e dell’ordinamento giudiziario in Italia non solo è necessaria e urgente per restaurare lo stato di diritto e fermare la correntocrazia antimeritocratica nel CSM, come hanno dimostrato le intercettazioni intorno al caso Palamara, ma anche per sbloccare la democrazia italiana, paralizzata dal potere di interdizione acquisito nel tempo dal Partito dei Pm politicizzati, divenuto l’avanguardia dominante (e resa fortissima dai poteri di polizia giudiziaria attribuiti dalla legge ai Pm) del blocco di potere contrario a ogni riforma.

Questo blocco di potere è basato su un patto tacito tra due minoranze organizzate: il Partito dei Pm politicizzati, che, pur essendo minoritari nell’insieme della magistratura, egemonizzano l’Anm ed il Csm ed i partiti della sinistra, strutturalmente minoritari nell’elettorato. Ad essi si è aggiunto però di recente il Movimento dei 5 stelle e insieme costituiscono una maggioranza sia pure fittizia. Ormai, grazie alle intercettazioni intorno al caso di Luca Palamara, è chiaro ed evidente che il Partito dei Pm garantisce alla sinistra una lotta giudiziaria permanente contro i suoi avversari di turno di destra, impallinandoli con inchieste giudiziarie sia quando i “reprobi di destra” sono al governo, sia quando sono all’opposizione, mentre la sinistra garantisce al Partito dei Pm una feroce opposizione ad ogni riforma dell’ordinamento giudiziario.

È chiaro che la sinistra senza l'aiuto di questo partito dei PM non potrebbe stare al potere, non avendo sufficienti consensi elettorali. Alcuni grandi giornali e la televisione, poi, contribuiscono con impegno degno di miglior causa a questo circo politico-giudiziario quando si aprono le cacce antifasciste, ieri contro Craxi e Berlusconi, oggi contro Renzi e Salvini. Talvolta nel mirino possono capitare anche persone lontane dalla politica, ma in qualche modo eccellenti al punto da fare notizia, magari solo per soddisfare il protagonismo e le ambizioni politiche di un Pm, e per far vendere più copie ad un giornale. Esemplare è il caso della virologa Ilaria Capua che nel 2014 fu accusata di epidemia dolosa a fini di arricchimento in un’inchiesta giudiziaria e mediatica (ad opera del settimanale L’Espresso) risultata dopo anni del tutto infondata, come era evidente sin dall’inizio per l’assoluta mancanza di prove.

Dell’esistenza del Partito dei Pm politicizzati e di quella del circo politico-mediatico-giudiziario le intercettazioni intorno al caso di Luca Palamara hanno fornito tante evidenze empiriche ormai arci-note, che non è necessario richiamarle qui. Una riforma della Giustizia complessiva sarebbe necessaria ed urgente dunque per varie ragioni:

per restaurare lo stato di diritto e mettere al riparo i cittadini, politici e no, dagli abusi e arbitri di un potere giudiziario e mediatico rivelatosi irresponsabile, impunibile e fuori controllo;

per restaurare la separazione dei poteri inficiata dall’esondazione della magistratura politicizzata nel territorio del potere parlamentare, esecutivo ed amministrativo;

per sbloccare il sistema politico democratico italiano attualmente bloccato dall’esistenza di un blocco di potere politico-giudiziario-mediatico, che ha al suo centro un Partito dei Pm politicizzati ed un circo mediatico giudiziario che insieme possono incidere surrettiziamente sul sistema democratico, concretizzando un potere di veto contro una o più parti e leader politici;

perché la riforma della Giustizia e dell’ordinamento giudiziario sarebbe la riforma-madre dalla quale potrebbero scaturire tutte le altre riforme: da quella del sistema politico, oggi bloccato dal potere di veto del blocco antiriformista, a quella della II parte della Costituzione nelle norme che impediscono e rallentano il processo decisionale politico, a quella burocratica, fino alle riforme economica e fiscale.

C'è però un ma: una vera riforma della Giustizia è impensabile con l’attuale governo costituito da due forze, che a quel Partito dei Pm sono legate a filo doppio e anzi in concorrenza tra loro per accaparrarsene i favori. Una vera ed efficace riforma della magistratura e dell’ordinamento giudiziario richiederebbe inoltre non solo modifiche legislative, ma anche costituzionali, perché richiederebbe una riforma non solo del sistema elettorale del Csm, (capace con il sorteggio dei candidati tra i magistrati di Cassazione di abolire le correnti), ma anche la composizione stessa del Csm (in maniera da equilibrare il numero dei non togati a quello dei togati e da dividere lo stesso Csm in due parti, una per la magistratura requirente ed una per i giudici in senso proprio). Una riforma costituzionale richiederebbe anche l’abrogazione dell’obbligatorietà dell’azione penale, divenuta ormai uno sberleffo alla ragione, dato che a un Pm basta aprire un fascicolo e riporlo negli scaffali per esercitare in effetti un potere autocratico ed insindacabile di scegliere quale reato perseguire e quale rinviare sine die. La separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante è ottenibile, invece, con legge ordinaria, ma a essa come, anche più che alle altre riforme, il Partito dei Pm politicizzati è ferocemente avverso perché farebbe cadere la sua dominanza sul resto della magistratura, a dispetto della sua minoritarietà, in specie nell’Anm e nel Csm. A una vera riforma della magistratura si oppone ovviamente il Pd e l’intero schieramento di sinistra perché essa farebbe crollare il blocco politico-giudiziario e mediatico su cui è basata gran parte delle sue possibilità di governare abbattendo grazie a inchieste giudiziarie i suoi avversari di turno. Ci sarà sempre un Pm disposto a dire, come ha fatto Luca Palamara: “sì ha ragione, non dovrebbe essere indagato e rinviato a giudizio, ma ora va attaccato”. Il Pd e la sinistra ringraziano e ringrazieranno sempre, anche perché, grazie all’alleanza con i Pm politicizzati, coprono il loro vuoto politico, la loro debolezza e inconsistenza strategica.

Infine specchio della impossibilità di una vera riforma della giustizia è il diffuso miraggio della “auto-riforma” della magistratura. Persino i magistrati più riformisti insistono sul feticcio dell’autoriforma, perché altrimenti sarebbero isolati dal Partito dei Pm politicizzati con gravi ripercussioni sulla propria carriera. E forse rischierebbero l’isolamento e l’ostracismo della stragrande maggioranza della corporazione, come è avvenuto a quei magistrati che si erano incautamente detti favorevoli alla separazione delle carriere tra Pm e giudici, come hanno testimoniato vari magistrati non politicizzati, tra cui di recente in tv Alfonso Sabella. Una variante dell’autoriforma è quella che l’attuale ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede ha in animo di fare – come egli stesso ha dichiarato – con il consenso dell’Anm che consulta regolarmente: la sua timida idea del doppio turno e dei collegi regionali per l’elezione dei membri togati del Csm non eliminerà di certo le correnti e, quindi non inficerà l’esistenza e il potere del Partito dei Pm politicizzati. Il Movimento 5 stelle è del resto in competizione con il Pd per sostituirlo nell’alleanza organica con il Partito dei Pm e per accaparrarsene i favori. Tutto ciò rende una riforma vera ed efficace della Giustizia praticamente impossibile e rende quindi l’Italia, sic stantibus rebus, irriformabile.