La crisi ucraina e il pericolo di una guerra

Ritratto di Angelo Sciortino

24 Febbraio 2022, 21:39 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Per adesso in molti parlano della crisi Russia-Ucraina come qualcosa di lontano, ma non c'è dubbio che essa potrebbe interessarci da vicino, se i piani di Putin andassero a buon fine.

Allora una domanda a questo punto della situazione ucraina sorge spontanea: Vladimir Putin si fermerà qui? Sarà difficile. Questo perché, come si evince anche dal discorso col quale ha avviato l’invasione dell’Ucraina, lo “zar” del Cremlino (con tanto di stemma dei Romanov che campeggia alle sue spalle, tra l’altro), accarezza un progetto neo-imperiale. Il suo obbiettivo – che non aveva bisogno di essere dichiarato, perché non era sfuggito agli osservatori più attenti – è quello di rifondare un vero e proprio impero russo. Le ragioni storiche addotte da Putin, benché risibili, sono un ulteriore riprova di tale proposito. L’Ucraina, secondo Putin, non esiste affatto; nasce come un tutt’uno con la Russia ed è solo successivamente che decise di rendersi indipendente, grazie agli errori dei dirigenti bolscevichi, e che tale indipendenza le venne concessa da leader deboli come Michail Gorbaciov (mica “uomini d’acciaio” come lui). Angela Merkel non sbagliò nel definire Putin un “leader ottocentesco”, animato cioè da un fervente quanto anacronistico nazionalismo, desideroso di fondare imperi e animato dalla visione di una “Grande Russia”, o magari dal proposito di assicurare al suo popolo uno “spazio vitale” – quello che nella Germania nazista veniva definito “lebensraum” – a spese di altri popoli, a vario titolo giudicati “inferiori” e in dovere di sottomettersi. Del resto, Putin è intellettualmente figlio di Aleksandr Dugin, teorico dell’eurasiatismo – vale a dire dell’unificazione di tutti i popoli di etnia e lingua russa attraverso lo smembramento degli ex territori sovietici, al fine di costituire un impero capace di combattere l’Occidente liberale e capitalista – e influente membro di Russia Unita (il partito di Putin, per l’appunto), nonché studioso di Julius Evola e René Guénon, noto come il “Rasputin del Cremlino” in ragione del forte ascendente che si dice abbia sul presidente.

Sono tutti questi fattori a suggerire che, se lasciato fare, Putin non si accontenterà di annettere le autoproclamate Repubbliche separatiste del Donbass: prima o poi vorrà prendersi, pezzo per pezzo, tutta l’Ucraina; poi la Bielorussia (posto che tale fusione potrebbe realizzarsi spontaneamente, grazie alla governance del burattino di Putin, Aljaksandr Lukashenko); poi vorrà annettere gli Stati caucasici (che comunque, come dimostrano le recenti proteste per il carovita in Kazakistan soffocate dalle truppe di Mosca, sono già un protettorato russo); poi toccherà agli Stati baltici, o magari alla Polonia, alla Bulgaria o alla Serbia. E che succederà quando avremo i carri armati russi ai confini? Probabilmente rimpiangeremo di non aver avuto un briciolo di coraggio in più e di rispondere adeguatamente quando era tempo di farlo, ridimensionando immediatamente la minaccia russa quando avevamo il tempo e la possibilità di farlo.

Va detto, però, che l’insistenza cinese sull’integrità territoriale dell’Ucraina è ben poco credibile, se si considera che quello che la Russia vorrebbe fare col Donbass la Cina vuole farlo da molto più tempo con Taiwan. In ogni caso, tale atteggiamento “equilibrista” si spiega alla luce del fatto che una guerra potrebbe avere ricadute negative sul commercio cinese: non bisogna dimenticare che il miglior mercato della Cina è proprio l’Occidente. Quello stesso Occidente che potrebbe recidere o ridimensionare fortemente quei rapporti economici, se vedesse il partner commerciale troppo sbilanciato dalla parte del suo nemico. E di certo la sola Russia non ha una quantità di domanda paragonabile a quella dell’intero Occidente, tale da assorbire per intero l’offerta cinese.

Ecco perché sarà forse la Cina a costringere Putin a rinunciare alle sue pretese.