Per capire meglio la Russia di oggi

Ritratto di Angelo Sciortino

30 Giugno 2022, 18:18 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Non c'è mezzo migliore per comprendere il presente di quello di affidarsi ai grandi scrittori. È quello che ho fatto rileggendo Grossman. Grossman partecipò alla guerra in prima linea, dal 1941 al 1945, descrivendone nei suoi taccuini gli aspetti più eroici e più inquietanti. Nel 1944 raccontò in particolare il massacro di migliaia di ebrei ucraini a Berdicev, la sua città natale, ad opera dei nazisti. Insieme a Il’ia Erenburg curò poi Il libro nero, in cui furono documentate le stragi compiute dai nazisti sugli ebrei russi, ma tutto il materiale raccolto fu sequestrato dall’ NKVD dopo la guerra, quando la politica antisemita di Stalin non consentiva più di volgere particolari attenzioni alle vicende ucraine e alle comunità ebraiche in particolare. Se i nazisti avevano commesso terribili atrocità, Stalin si era reso responsabile della terribile carestia ucraina del 1932-1933 e di feroci persecuzioni nei confronti della popolazione ebraica.

Qualche anno più tardi, in Tutto scorre, Grossman scriverà che Lenin, il fondatore dell’Internazionale comunista, aveva in realtà preparato il terreno per uno sviluppo inaudito dell’autocrazia e della sovranità nazionale. Il principio della “non-libertà”, coltivato con zelo da Ivan il Terribile, come da Pietro il Grande e da Caterina, e accolto da Lenin, giunse poi al suo massimo trionfo con Stalin, nell’identificazione di stato, partito, polizia segreta. In tutto ciò Grossman vede il baratro profondo che separava lo sviluppo dell’Occidente, “fecondato dalla crescita della libertà”, dallo sviluppo della Russia, “fecondato dalla crescita della schiavitù”. Il comunismo sovietico aveva assunto in sé i tratti del dispotismo asiatico, che lo contrapponevano alle liberaldemocrazie e alle socialdemocrazie occidentali, ferocemente avversate. La Russia postsovietica, la Russia di Putin, ha ereditato questo modello autocratico, che si esprime nelle forme di una democrazia illiberale e nel rifiuto dei principi fondamentali dello stato di diritto.

Tutto scorre rappresenta una continuazione della dilogia. Si salvò dal sequestro di tutti gli scritti di Grossman e fu pubblicato postumo a Francoforte nel 1970. Qui il disincanto nei confronti del sistema sovietico diviene aperta denuncia. Il romanzo narra la vicenda di Ivan, che, avendo trascorso trent’anni nei Gulag, torna libero dopo la morte di Stalin. Ivan vive in una condizione di spaesamento, a Mosca come a Leningrado, e sceglie di stabilirsi in campagna dove si dedicherà al lavoro di fabbro. Anna, una vedova di guerra di cui si innamora, gli racconterà le atrocità commesse contro i kulaki e la tragedia della carestia degli anni trenta voluta da Stalin.

Grossman si chiede spesso se si possa accettare la concezione hegeliana secondo cui tutto ciò che è reale è razionale, perché, se fosse così, rischieremmo di giustificare la disumanità. Si sarebbe forse sentito più vicino ad Alexandr Herzen, per il quale era impossibile dimostrare un ordine razionale della storia, che gli appariva come “l’autobiografia di un pazzo. Parole, queste, commentava Isaih Berlin, che anche Voltaire o Tolstoj avrebbero potuto pronunciare con uguale amarezza.

Grossman è sicuramente l’erede dei grandi russi del XIX secolo, del Dostoevskij de I Demoni e de I fratelli Karamazov e del Tolstoj di Guerra e pace, ma l’autore con cui avvertiva il legame più forte era Cechov, perché riconosceva in lui un umanesimo fondato sulla libertà e sulla bontà. Grossman, come Cechov, privilegiava la bontà sul bene, perché riteneva che le dottrine del bene portassero con sé il difetto insormontabile di porre al vertice “un’astrazione, non gli individui umani”. Consapevole di questo, il folle in Dio Ikonnikov può dire, in Vita e destino, che “anche Erode non versava sangue in nome del male”. La “tentazione del bene”, che caratterizza i totalitarismi descritti in tutta l’opera di Grossman, dimentica infatti gli individui per i quali questo bene era stato pensato e, come scrive Todorov, si traduce tragicamente in una “pratica del male”.