Infantilismo e rimbambimento senile

Ritratto di Angelo Sciortino

15 Luglio 2013, 15:04 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Comincio a scrivere senza la certezza che, nonostante le tante notizie di ieri – l'intervento del Sindaco a Radio Cammarata, il documento dei Consiglieri d'opposizione, il documento del Presidente Antonio Franco – ci sia qualcosa che merita una riflessione.

La verità è che non ci sono tante notizie, ma una sola e unica notizia. La notizia che in fondo non c'è notizia, come se il tempo scivolasse addosso su un paese popolato di statue immobili, che sono insensibili persino alle sollecitazioni meteorologiche: né si bagnano sotto la pioggia né si asciugano sotto il sole.

Di tanto in tanto si ascoltano casualmente commenti di uomini che sembrano destinati a passare dall'infantilismo al rimbambimento senile, non attraversando la fase della maturità. E questi uomini sembrano essere la maggioranza dell'opinione pubblica. Di quell'opinione pubblica che dovrebbe seguire i comportamenti dei suoi rappresentanti eletti e dovrebbe giudicare le loro scelte, giungendo persino a levare alta la propria voce, quando tali scelte mettono in pericolo il loro futuro e quello dei propri figli. Ma se essa, in maggioranza, è infantile o rimbambita, come può capire e giudicare? Come può rendersi conto che quel che sta decidendosi sulla sua testa sia frutto di una scelta logica e ragionevole? E se c'è questa incapacità di giudizio, come possiamo pretendere che i rappresentanti scelti siano migliori di noi, se li abbiamo scelti in forza della nostra immaturità?

Lo so, riflettere su queste cose non porta soltanto al pessimismo, ma persino alla disperazione. La disperazione, che s'impadronisce di noi, quando riusciamo a vedere uno spiraglio di luce verso l'uscita, ma non riusciamo a convincere gli altri a non procedere in senso opposto; la disperazione di chi si trova insieme ad altri sulla stessa barca, ma non riesce a convincerli a evitare di agitarsi, perché rischiano di farla capovolgere e affondare.

Ma allora perché scrivere? Soltanto per dire, quando la barca affonda, ve l'avevo detto? Sarebbe una ben magra consolazione. Oppure per dare ragione a Martin Luther King, che diceva: per farvi dei nemici non occorre che dichiarate guerra, basta che diciate ciò che pensate? Ma io ho già più nemici di quelli che posso fronteggiare con le mie povere forze.

Perché, allora, mi ostino a scrivere? Credo che si tratta di un demone socratico, che me lo impone. Lo stesso che lo impone ad altri uomini, la cui compresenza mi è di consolazione, perché mi strappa alla solitudine. E poi, perché conservo sempre la speranza di strappare alla solitudine e al solipsismo altri uomini, maturi e ragionevoli abbastanza per ravvedersi.

Certamente non strapperò mai dalla solitudine tutti coloro che pensano o con me o contro di me. Costoro sono troppo autoreferenziali e non sono in grado di considerare l'amicizia diversa dalla complicità e la critica uno stimolo a scelte più ragionate e corrette. Per costoro troppo spesso valgono i versi del Poeta:

L'occhio, il contegno, il dir, tutto tradisce

Del reo Liberto l'anima codarda,

Cui Schiavo in fronte la Viltà scolpisce.