Corsi e ricorsi storici : la contessa Ricci e la società "Porto di Cefalù"

Ritratto di Saro Di Paola

22 Luglio 2013, 09:27 - Saro Di Paola   [suoi interventi e commenti]

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La vicenda del nuovo porto "galleggiante" di Fiume Carbone è di quelle che, "precarietà" a parte, possono lasciare un segno nella Storia e nel Futuro di Cefalù.
Come quello che, a Cefalù, avrebbe potuto lasciare la contessa Ricci.

Per quanti non dovessero conoscere quale sarebbe potuto essere quel segno e per quanti di quel segno si fossero scordati,
ripropongo l'articolo http://www.laltracefalu.it/node/2987 che Pino Lo Presti, il 7 novembre 2010, ebbe a scivere su "L'altra Cefalù" in occasione della manifestazione in ricordo di Pasquale Culotta, nel 4° anniversario della scomparsa, nella quale, indegnamente, venni chiamato a concludere.

Qualcuno, certamente, penserà che ripropongo quell'articolo "pro domo mea".
Non si sarà sbagliato!
Cefalù è, anche, "domus mea"!
Almeno sino a quando il Buon Dio mi concederà di abitarla.

MENO MALE CHE PASQUALE C’ERA"

ritratto di Pino Lo Presti

Dei discorsi pronunciati, l'altro ieri, 5 novembre, in occasione del quarto anniversario della scomparsa di Pasquale Culotta, particolare attenzione ha suscitato quello dell'ing. Saro Di Paola. Riteniamo di riportarlo per esteso soprattutto per la seconda parte in cui ricostruisce alcune vicende, ai più oggi sconosciute o da altri dimenticate, relative al P.R.G. di Cefalù e al P.P. del Centro Storico, drammaticamente illuminanti sul conflitto tra l'incultura di certa nostra imprenditoria e della classe politica da essa espressa e la "Cultura", oggi però pericolosamente priva di quello che fu allora (ma ancor oggi) uno scomodo "baluardo"!

1° PARTE
Sono passati quattro anni da quando, quel 9 novembre del 2006, a Lioni, “si è spenta la voce ” di Pasquale Culotta.
Sin dal 2007, la ricorrenza degli anniversari della improvvisa e immatura scomparsa del Nostro, è stata occasione per incontri e giornate “Ricordando Pasquale Culotta
L’indirizzo culturale e scientifico, il taglio di studio che, con intelligenza, diligenza e acume,
sono stati dati a quegli incontri ed a quelle giornate, mai mi avrebbero fatto pensare che sarei stato chiamato, da Marcello Panzarella e da Flora Rizzo, per “concludere” l’incontro che stiamo celebrando, oggi, nella ricorrenza del quarto anniversario.

Non lo avrei mai pensato perché mi sono sentito, sempre, come mi sento, tuttavia: troppo piccolo per parlare di quel grande Uomo che, Pasquale Culotta è stato, dentro e fuori le mura di Cefalù, e per di più in una occasione in cui, ad ascoltarmi, sarebbe stato un uditorio qualificato e competente quale è quello che sta seguendo l’incontro odierno. Un uditorio qualificato quali sono stati quegli altri che hanno seguito gli incontri dei tre precedenti anniversari.

Sono rimasto, perciò, sorpreso, quando, tre settimane addietro, alla fine di una telefonata di lavoro, Tania mi ha informato che Marcello e Flora, a mia insaputa, mi avevano “chiamato” a concludere.
Poi, quando Tania ha aggiunto che Marcello aveva, addirittura, già preparato la locandina e che, nella stessa, aveva scritto che, a precedermi, sarebbero stati Uomini della levatura Sua e di quella di Pierre Alain Croset, è mancato poco che entrassi in crisi.
Ho avvertito più forti i miei limiti. Più grande la mia inadeguatezza. Pur tuttavia sono qua.
Devo, proprio, provarci a “concludere” su Pasquale.

A sollevarmi dall’ansia che, non posso non dirVelo, mi aveva preso, è stato il ricordo della speranza. Quella speranza che Albino Luciani espresse al mondo intero dalla loggia di San Pietro, il giorno del Suo innalzamento alla soglia Pontificia.
Quasi a giustificare la scelta inedita del doppio nome “Giovanni Paolo” che, per riconoscenza ai Suoi predecessori si era dato, Sua Santità tenne a precisare:

Non ho la sapientia cordis di Papa Giovanni né la preparazione e la cultura di Papa Paolo, però sono al Loro posto, devo cercare di servire la Chiesa.
Spero di riuscirci con l’aiuto delle vostre preghiere
”.

Appreso da Tania che, stasera, sarei stato io a concludere, mi sono detto ciò che, stasera, parafrasando indegnamente Papa Luciani, Vi dico: io “non ho la preparazione e la cultura” di Panzarella e di Croset”. Però, sono stato chiamato, per intervenire. Per parlare di Pasquale. Per “concludere” su Pasquale dopo l’introduzione di Marcello e dopo l’intervento di Croset.
Mi sono, ancora, detto ciò che, stasera, ancora, Vi dico : “Spero di riuscirci”. Con l’aiuto di Pasquale.
Sarà la Sua Amicizia a soccorrermi. Quella Amicizia che Pasquale elargiva, a cuore pieno.
“A beddu cuori”! Quella Amicizia di cui Pasquale sapeva fare dono e di cui Pasquale ha fatto dono a me. Come a tutti voi che siete presenti. Come a tantissimi innumerevoli altri che, oggi, sono assenti. Quella amicizia che io ho sentito e sento, ancora, privilegio.
Come, ne sono certo, l’abbiate sentita e la sentiate, ancora, tutti Voi.

Un sentimento ispirato dalla sincerità e alla sincerità. Come, diversamente, non sarebbe potuto essere. Un sentimento che, nel mio caso, era alimentato dai nostri incontri. Dalla condivisione di tanti pensieri che, nei nostri incontri, ci scambiavamo per trovare spunti di riflessione comune.
Incontri là, nel Suo studio, in via Roma. Incontri nei quali, per anni, eravamo soliti intrattenerci il sabato mattina. Almeno in quei sabati, in cui i Suoi frenetici spostamenti di tutti i giorni Gli concedevano una pausa, riservandoGli il privilegio di restare a Cefalù.

È, proprio, il ricordo di uno di quegli incontri che, stasera, mi dà lo spunto per iniziare, permettendomi, nel contempo, di agganciare il mio esordio al pensiero con il quale Pasquale ebbe a concludere quel Suo scritto “LE RADICI DELL’ARCHITETTURA” che, purtroppo, sarebbe stato il Suo ultimo pubblicato su CASABELLA.
Uno scritto per recensire il libro “Fernando Tàvora. Opera completa” di Antonio Esposito e Giovanni Leoni. Pensiero che, con l’ acume che gli è congeniale, Marcello ha inserito sul manifesto di questo nostro incontro, in alto a destra. Pensiero con il quale, in quello scritto, Pasquale rese merito alla memoria di Tàvora.

"Ora che la sua voce si è spenta,restano vive le opere, i disegni,gli scritti, l’insegnamento
“verso l’architettura”in viam pulchritudinis,
da cui continuare ad attingere ragionamenti e modi di pensare
per fare architettura
"

Parole di Pasquale per Tàvora. Parole che, oggi, noi leggiamo di Pasquale per Pasquale.
Parole che, oggi, noi sentiamo: EPITAFFIO DI PASQUALE PER PASQUALE.

Quell’incontro con Pasquale che, come ho detto, mi dà lo spunto per iniziare deve essere avvenuto un sabato del febbraio del 2006. Ricordo che, quella mattina, Pasquale seduto dietro la sua scrivania, non mi diede, neanche, il tempo di varcare la soglia dello studio. Dalla sua scrivania, con sorriso quasi canzonatorio, col braccio destro alzato e a voce alta, compiaciuto, mi disse: “Di Paola me lo sono venduto !”
Sì, mi chiamò Di Paola, col cognome. Perché Lui che voleva essere, ed era, Pasquale per tutti, quando scorgeva un amico, in lontananza, magari sul lato opposto della strada, aveva il vezzo di salutarlo alzando il braccio destro e chiamandolo per cognome. Era un modo, tutto Suo, per fare festa all’amico.

Non me lo avesse precisato un istante dopo, non sarei riuscito a capire cosa mai Pasquale si fosse venduto. Era accaduto che, il sabato precedente, la riflessione che stavamo facendo mi aveva messo in bocca Cicerone:
Nescire quid ante quam natus sis acciderit id est esse semper puerum.Quid est enim aetas hominis nisi ea memoria rerum veterum cum superiorum aetate contexitur "? Così ebbi a dirGli, mentre discutevamo.
Lui che non perdeva occasione per rammaricarsi di non avere studiato il latino, ma che il significato della mia citazione aveva pur colto, incuriosito mi disse : traduci, traduci ”. Io tradussi: “Ignorare che cosa sia accaduto prima della nostra nascita significa restare sempre bambini. Che cos'è, infatti, l’età, la crescita, la vita dell'uomo se essa non si contesse con quella dei suoi antenati attraverso il ricordo di ciò che è stato”?

A Pasquale piacque. Voleva appuntarsela quella citazione. Mi chiese di riperterGliela. Gliela ripetei. Se l’appuntò. E fu proprio quella citazione dell’Arpinate che Egli si era “venduto”. Infatti, nella settimana intercorsa tra quei due nostri incontri, quella mia citazione, a Pasquale, era caduta “a pennello”. Proprio per quella recensione che, in settimana Egli ebbe a scrivere e che sarebbe stata pubblicata su Casabella del marzo del 2006.
A Pasquale, la mia citazione era caduta a pennello, per dare più peso al pensiero di Tàvora,
per conferire più forza alle parole di Tàvora che Egli aveva ripreso. Parole e pensiero che Alain Croset ci ha riproposto all’inizio del Suo intervento:
NON SI PUÒ PROCEDERE VERSO IL FUTURO SENZA RIVOLGERSI AL PASSATO ”.

Il pensiero di Cicerone, nel pensiero di Tàvora. Il pensiero di Cicerone e di Tàvora nel pensiero di Culotta. Una affinità culturale che ha accomunato, ed accomuna, i due Architetti contemporanei, scomparsi nell’arco di un anno, nella concezione dell’Architettura, nella concezione della modernità dell’Architettura. L’Architettura “essenza stessa dell’abitare dell’uomo sulla terra ”, L’Architettura che deve “accogliere con intelligenza e discrezione la vita degli uomini, il loro tempo, le loro esperienze ”, l’Architettura che deve “essere perfettamente integrata con il luogo ”, l’Architettura che “nasce in un luogo, dalla conoscenza del luogo, per definire quel luogo ”, l’Architettura che deve “permanere nel luogo d'origine in modo naturale, non spettacolare ”, l’Architettura che “istruisce il paesaggio ”, l’Architettura che “non è semplice ripetizione di modelli ”, l’Architettura “artificio correlato organicamente con il ventaglio dei materiali naturali e umani ”, l’Architettura che deve “essere in grado di contrastare i processi di uniformazione e globalizzazione ” , l’Architettura che deve essere concepita perché “l’uomo e la collettività la sentano propria ”, l’Architettura che deve essere concepita “per fare riscoprire il suo senso ed il suo scopo nel costruire un luogo significativo per l’abitare dell’uomo sulla terra ”. L’Architettura che non deve “avere paura della creazione del presente ” , che “plasma la sua modernità su altre modernità ”. L’Architettura espressione dell’Uomo, espressione “aetatis hominis”, “in viam pulchritudinis ”.

Potrei allungarla all’infinito questa mia disarticolata “compilation”, o se volete, carrellata antologica, di pensieri e di parole di Tàvora e di Culotta. Compilation, o carrellata, nella quale è arduo distinguere le parole e i pensieri di Culotta da quelli di Tavora, le parole e i pensieri di Tàvora da quelli di Culotta.
Ma, mi fermo qui, non vado oltre. Infatti, la carrellata, pur scombiccherata, pur nel malo modo in cui sono riuscito a metterla insieme, fa emergere nitida quella concezione dell’Architettura che, indubbiamente, ha accomunato, ed accomuna, i due grandi Maestri.

Pur incompleta e disordinata, è stata già sin troppo eloquente, per farci comprendere il ruolo e la funzione che il Loro pensiero attribuiva, ed attribuisce, al progetto di Architettura ed all’Architettura. L’uno e l’altra che nascono nel luogo per definire il luogo, per ridefinirlo,
a servizio dell’Uomo e della collettività.
Il progetto di Architettura, processo di definizione del luogo. Di ridefinizione del luogo. L’Architettura definizione del luogo. Ridefinizione del luogo.
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2° PARTE
Per “concludere” su Pasquale, perciò, null’altro dirò di Architettura. Correrei il rischio di essere scontato, di annoiarVi. Di apparire presuntuoso.
Di architettura e dell’architettura di Pasquale molti di Voi che siete presenti sapete molto più di me. Sapreste dire molto meglio di me. Di architettura e dell’architettura di Pasquale tantissimi di Voi ben altro di quanto io potrei continuare a dirVi avete da insegnarmi.

Io voglio concludere su Pasquale parlandoVi di un’ altro Pasquale. Un Pasquale che la stragrande maggioranza di Voi conosce meno o non conosce affatto. Voglio parlarVi del Pasquale giovane cefalutano degli anni sessanta. Voglio parlarVi del Pasquale, studente in architettura e neo laureato in architettura. A Cefalù, negli anni sessanta.

Non potrei, però, parlarVi di quel Pasquale se prima non vi parlassi della Cefalù di quegli anni. Un’altra Cefalù. Una Cefalù che, personalmente, non finirò di rimpiangere. Mai !

Era una Cefalù nella quale i primi “casermoni” in cemento armato avevano cominciato a divorare la campagna di agrumeti e di orti. Quelli che, dal lato di occidente, incorniciavano nel verde le rare ville che, i più fortunati tra i suoi emigrati in America avevano costruito
ai lati della settentrionale sicula. Una Cefalù nella quale gli indigeni, quelli che amano, e amiamo, chiamarci cefalutani, avevano cominciato a lasciare le abitazioni del centro storico
nelle quali, sino ad allora, avevano vissuto e vivevano.

Stalle al piano terra, delle vie, delle viuzze, dei vicoli e dei cortili del centro storico. Stalle prive di tutto, anche della luce, con il wc e il lavandino nel sottoscala. Case con una stanza e un sottoscala per piano, con la “tannura a ligna” ed il forno in muratura, all’ultimo piano.

Tanti di quei cefalutani che, in quegli alloggi umidi e maleodoranti avevano vissuto e vivevano, dormendo, anche, sui pavimenti che, di notte, diventavano stese di materassi,
non resistettero al miraggio del “quartino” nei primi “palazzi nuovi”. Non resistettero al miraggio dell’appartamento con l’ingresso, con il corridoio che disimpegna le stanze, con la “cucina all’americana”, con la vasca nel bagno e con il piatto doccia nel “doppio servizio” .

Tanti di quei cefalutani, rapiti dal miraggio, cominciarono ad alienare case e stalle. I primi ad acquistarle furono i madoniti. Di Pollina, di San Mauro, di Gratteri, di Isnello, di Gangi…. Quei madoniti che, a loro volta, non resistettero al miraggio di Cefalù e che furono i primi a lasciare i loro paesi agli anziani.
Cefalù, in quegli anni, era un paese in forte regressione. Proprio in quei settori che, sino ad allora, avevano trainato la sua economia : la pesca, l’agricoltura, l’artigianato. Dalle Madonie, oltre che al nord Italia e all’estero, si immigrava a Cefalù. Da Cefalù si emigrava per la Svizzera, per la Francia, per Milano, per Torino……

Il turismo era “poco più di una parola vaga ”. Dentro le mura, l’albergo Barranco a porta Terra e due piccole locande una sulla via Umberto I e l’altra sul corso, offrivano, soltanto, poche camere. Più che ai turisti, agli avventori. Per una notte, o due. Ad occuparle erano commessi viaggiatori e commercianti di passaggio.
Fuori le mura, ad occidente, soltanto il Jolly Hotel sulla statale, e, a Santa Lucia, le capanne del Club Med che, avevano, da poco, soppiantato le tende del Village Magique.
Peppino De Gaetani, “Mazzarrà” dal nome del paese di origine, aveva, da poco, trasformato la stalla per mucche in bar, con pista da ballo. Quel bar che De Gaetani, a poco a poco, andò ampliando per trasformarlo, prima in trattoria, poi in ristorante ed, infine, in quel complesso alberghiero che, da circa quaranta anni sono gli hotels “Santa Lucia e le Sabbie d’oro”.

Ad oriente, in nome del turismo, l’imprenditoria aveva già saccheggiato, o stava saccheggiando, la Calura. Con quelli che, nel 1971, Samonà ebbe a definire “orrori” : un grande scatolone in cemento armato e una gradonata di scatolette anch’esse in c.a. che scendeva, e scende, fin sulla rena.
In quegli anni, senza le autostrade, Palermo, Enna, Caltanissetta, Mussomeli, Pietraperzia……, erano lontanissime da Cefalù. Raggiungere Cefalù da quelle località per una giornata al mare o per una notte in discoteca o al “lounge bar, come avviene oggi, era impensabile.
Cefalù, in quegli anni, oltre che in pesante regressione economica, era, anche, in crisi politico-istituzionale.
La politica cittadina, nelle sue istituzioni, aveva dato forfait. Il Consiglio Comunale era stato sciolto. Le sorti del Comune erano rette da un commissario prefettizio. Si era nel 1962. Alla vigilia di una nuova tornata elettorale.

Pasquale Culotta, allievo architetto poco più che ventenne, aveva intuito la gravità delle ripercussioni che l’espansione edilizia ed il turismo, i due processi appena innescati, avrebbero potuto determinare sul territorio tutto.
Uno sviluppo senza regole del centro urbano e del territorio, uno sviluppo in quel disordine ed in quella improvvisazione che avevano, già, lasciato, irreversibile, il loro segno, in null’altro sarebbe potuto sfociare se non nella congestione urbana e nel saccheggio del territorio.

Pasquale fu tra i primi, se non il primo, ad intuirlo. A cogliere la drammaticità del momento,
a rendersi conto della inderogabile necessità, di un Piano Regolatore Generale che dettasse le regole della mutazione, che tracciasse le direttrici dell’espansione, che indicasse le modalità e le linee dello sviluppo. Su tale necessità, cominciò, perciò, a sensibilizzare un gruppo di giovani amici, universitari come Lui ma, di altre facoltà. Trovò humus fertilissimo nella “intelligentia” e nell’amore per Cefalù di Angelo Culotta, Francesco Gallotta, Totò Di Paola e Agostino Di Benedetto. Stilò, firmò e fece stampare un manifesto dal titolo “UN CONVEGNO CHE VA FATTO”.
Chiese, alla autorità competente, di promuovere un convegno di studiosi per aprire un dibattito sui più urgenti problemi economico-urbanistici di Cefalù. Un convegno che si sarebbe dovuto imperniare sul tema della “NECESSITÀ DI UN PIANO REGOLATORE A CEFALU’”.

L’autorità competente, cioè il commissario prefettizio, a Cefalù era “di passaggio”, perciò, presa visione del manifesto, si limitò a consegnarlo all’Uomo Politico “più in vista del tempo” : il dott. Giuseppe Giardina.
Il sindaco per antonomasia di Cefalù riconobbe in quei giovani alto senso civico. Di quei giovani colse lo spessore, l’impegno, le qualità. Chiese loro di scendere nell’agone elettorale, di impegnarsi, in prima persona, al suo fianco, nel partito della Democrazia Cristiana. 

La proposta del dottore Giardina mise in crisi Pasquale e i suoi amici. Infatti, loro che non avevano tessera di partito, nonostante si fossero formati su “base cattolica … all’università erano divenuti di idee socialiste: avevano letto di Salvemini e di Gramsci ”. Perciò, i giovani si chiesero se, per Loro, sarebbe stato coerente e giusto accettare l’impegno nella Democrazia Cristiana. Decisero di “doverci provare ” . Ma, dei cinque, chi si sarebbe dovuto “sacrificare” ? Scelsero Pasquale Culotta. Sarebbe stato Lui, che aveva stilato il manifesto, a fare quella che il gruppo di giovani pensava sarebbe stata, soltanto, una “comparsa”.

Si sbagliarono. Quella di Pasquale non fu una comparsa. Candidatosi consigliere comunale, risultò tra gli eletti. Ma non solo ! Il dott. Giardina, rieletto sindaco il 19 dicembre del 1963,
Lo volle in giunta, PRIMO ASSESSORE ALL’URBANISTICA DEL COMUNE DI CEFALÙ. L’assessore all’urbanistica che, senza tema che alcuno possa smentirlo, possiamo affermare sia stato il più illuminato tra quanti, in quella funzione, a Pasquale sono succeduti, dal 1965 ai nostri giorni. Me e te compresi, caro Marcello.

E siamo al dunque ! Per “la mia conclusione” è di quel Pasquale Culotta, che voglio parlarVi. Di quel Pasquale, giovanissimo cefalutano, prima, assessore e, poi, consigliere comunale. Di quel Pasquale, a Cefalù, Uomo Politico per caso. Ma Uomo Politico con le maiuscole.
Pasquale fu assessore per meno di diciotto mesi. Dal 19 dicembre del 1963 al 10 maggio del 1965. Un breve periodo che, però, Gli bastò per lasciare il segno.
Infatti, quelli con Pasquale assessore all’urbanistica furono diciotto mesi assolutamente decisivi, per quella Cefalù che ci ritroviamo. Una Cefalù che, per quanto avvenne dopo quei diciotto mesi e per quello che è, possiamo dire, con assoluta certezza, non sia quella che Egli, da assessore, si era prefigurata. Quella che Egli, da cefalutano con tanto sale in testa, avrebbe voluto. Ma una Cefalù che, con altrettanta certezza, possiamo dire sia assolutamente migliore di quella che sarebbe stata se Pasquale non fosse sceso nell’agone politico.

La nostra certezza è nei fatti, e per i fatti, che Lo videro protagonista, assolutamente decisivo e determinante, da assessore, prima, e da consigliere, dopo.
Fu l’assessore Culotta a scegliere ed indicare nel professore Giuseppe Samonà l’urbanista cui affidare la redazione del programma di fabbricazione e del Piano Regolatore Generale.
Fu il giovane assessore che riuscì a fare convergere su Samonà il voto favorevole del Consiglio comunale. Per Pasquale fu, però, una scelta che Gli si sarebbe ritorta contro.
Non molto tempo dopo. Giusto quello che, ai maggiorenti del Consiglio e a tanti altri cefaludesi, fu necessario per rendersi conto che quello di Samonà sarebbe stato un piano Regolatore serio, che, con Samonà, i compromessi sarebbero stati impossibili.
Presto Pasquale venne additato come l’untore di manzoniana memoria. Contro di Lui si fomentò un “dalli all’assessore” che si adoperava per mettere un freno alla “deregulation” nella edificazione e, con esso, un blocco all’attività edilizia divenuta trainante per l’economia cittadina.
I diciotto mesi di assessorato fecero ascrivere al giovane Culotta un altro merito.
Quello di salvare LA ROCCA di Cefalù dal più grosso dei rischi che, la pietra di Cefalù, aveva corso nei suoi cento milioni di anni di vita.

È una pagina della storia di Cefalù datata 1964. Una pagina che esalta, nella sua autenticità e nella sua forza, quel rapporto con la “Rocca” e, quindi con Cefalù, che avrebbe, poi, contraddistinto tutta la vita di Pasquale. È una pagina che Egli, non più ventenne studente di Architettura nella facoltà di Palermo, ma sessantenne docente di Architettura nella stessa facoltà, ebbe a raccontare, nel corso della conferenza dal titolo “CEFALU’ : 40 ANNI DI PROGETTO URBANO”, che Marcello Gli aveva chiesto di tenere agli studenti del suo laboratorio di laurea e che Pasquale tenne, nella sala del Museo Mandralisca.
Giusto sette anni addietro, nel novembre del 2003. Una conferenza che Marcello ha, interamente, deregistrato.

Dalla de registrazione di Marcello Vi leggo, è Pasquale che parla :

Nel 1964, quando ero ancora assessore e assieme studente di architettura, tornando una sera da Palermo mi recai al Municipio, dove all'ultimo piano trovai in corso una riunione della Commissione per i Lavori Pubblici. Essa era allora presieduta ……. dall'ing. Nino Vazzana. Vedendomi sopraggiungere, subito esclamò: “Pasquale! Abbiamo approvato un progetto straordinario, bellissimo. Faremo cose importanti!”. Chiesi di che si trattasse e risultò che una società immobiliare di Roma………. si era proposta per la realizzazione di un intervento da cinque miliardi (che in lire del 1964 erano una cosa davvero enorme). L'idea era quella di costruire degli alberghi sulla Rocca, con un casinò e teatri ”.

Il Comune avrebbe regalato la Rocca, l’immobiliare romana, in cambio, sulla Rocca, avrebbe realizzato alberghi, un casinò e teatri, garantendo l’occupazione a centinaia di famiglie cefaludesi.
In quel periodo che, per Cefalù, era di regressione economica, nessun’altra proposta sarebbe potuta essere più accattivante. La proposta, perciò, era stata accolta con grande entusiasmo.

Continua Pasquale :
Dissi a Vazzana : è tutto sbagliato……Che avete fatto? che avete fatto!”. Incredulo l'altro rispose: “Ma che stai dicendo, sei pazzo ?”

Quella presa di posizione di Pasquale, “pazza” per Vazzana e per tantissimi altri, aprì, a livello locale, un dibattito “politico, sociale e culturale ” talmente straordinario da suscitare vasta eco a livello nazionale.

Cesare Brandi, che allora insegnava a Palermo e che Pasquale andò a trovare, intervenne con un articolo sul Corriere della Sera. Pasquale, “utilizzò percorsi e conoscenze favoriti dal suo essere studente di architettura ” per coinvolgere nella discussione Bruno Zevi e Italo Insolera.
La vicenda si concluse con una straordinaria assise pubblica cefaludese ”, alla quale intervennero personalità della levatura del Prof. Vincenzo Tusa, Soprintendente alle Archeologie della Sicilia Occidentale; del Prof. Giuseppe Bellafiore, docente di Storia dell'Arte, dell'arch. Porcinai che, allora, insegnava alla Facoltà di Architettura di Firenze e che, allora, in Italia, era l'unico professore di Arte dei Giardini.
Prima dell’assise Pasquale guidò Porcinai in una visita-sopralluogo sulla Rocca. Quella visita a Porcinai bastò per fargli dire, intervenendo nel dibattito :
"Anche un albero può alterare, ed altererà, se lo pianterete, questo paesaggio ".
Porcinai fece il riferimento estremo alla mutazione che, sulla Rocca, l’impianto di un solo albero avrebbe potuto provocare, per significare che:

qualunque modificazione avrebbe dovuto essere sottoposta a controllo ”.

Come ebbe a precisare Pasquale quello di Porcinai non fu:

un discorso contro la modificazione, ma il richiamo di un grande progettista alla necessità del controllo della modificazione ”.

Fu quel richiamo di Porcinai a suggellare la “pazzia ” , ovviamente tra virgolette, di Pasquale. Fu quel richiamo a dare l’imprimatur a quell’ “è tutto sbagliato” con il quale Pasquale aveva spento sul nascere l’entusiasmo che aleggiava sulla proposta dell’immobiliare romana. Come disse Pasquale nella conferenza tenuta al Mandralisca :

La città, si convinse che era più giusto lasciare quel patrimonio al godimento di tutti ”.

Dopo la morte del sindaco Giardina, avendo annusato l’aria di fronda nei Suoi confronti,
Pasquale rassegnò le dimissioni da assessore. Ovviamente, non venne confermato assessore nella nuova giunta che si andò a formare. Sicché al dibattito sul PRG Egli partecipò da semplice consigliere.
La disamina del contributo che Pasquale diede a quel dibattito sarebbe estremamente lunga.
Perciò, mi limiterò a fare alcuni flash, soltanto, sul contributo che Egli ebbe a dare in relazione ad alcune proposte d’intervento nel centro storico che, nel corso del dibattito, vennero avanzate da altri consiglieri.
Un contributo che ha avuto la sapienza di dare con quel rispetto che, negli anni a venire e sino alla Sua morte, avrebbe, fortemente e positivamente, contraddistinto lo stile ed i modi con i quali Pasquale Culotta ha amato relazionarsi con gli altri.

Egli ebbe la predisposizione all’ascolto ed al dialogo, la pazienza e la capacità di convincere con le argomentazioni. Ascolto, pazienza ed argomentazioni furono le sole armi che Pasquale dispiegò per evitare che, in Consiglio, potessero prevalere scelte che, per il centro storico di Cefalù, sarebbero state nefaste.
Le limitazioni e i divieti imposti dal prof. Samonà all’attività edilizia privata nel centro storico, non erano affatto accette a molti consiglieri.
La volontà prevalente era quella di aprire brecce nella vincolistica e restrittiva normativa che Samonà aveva dettato nel suo PRG. Perciò, in Consiglio vennero avanzate proposte le più varie. Le più aberranti. Si finì, addirittura, per mettere in discussione la perimetrazione del centro storico.
Per avanzare dubbi sulla valenza stessa del centro storico. Si tentò di sminuirne il valore.

Un autorevole consigliere ebbe, testualmente, a sostenere :
….si finisce con il considerare storico e, quindi, meritevole, di tutela e di conservazione, anche il tugurio maleodorante, le abitazioni vecchie, cadenti, puntellate e malsane che testimoniano una grande miseria che affligge, tutt’ora, la nostra gente…….. ” ,
“solo il Duomo e le sue immediate adiacenze conservano le caratteristiche monumentali di una storia gloriosa ………....l’indiscriminato divieto di sopraelevazioni e di nuove costruzioni finisce con il condannare al totale perimento gli antichi fabbricati anche in quelle zone nelle quali non sono in discussione l’alterazione di una struttura architettonica abbisognevole di tutela……”
“Perciò e per non costringere la povera gente a vivere in condizioni incivili l’interesse primario deve essere quello di favorire ed incoraggiare, con le sopraelevazioni, le ricostruzioni, le nuove costruzioni ed il riempimento dei cosiddetti vuoti del centro storico…….
.”
A quell’autorevole consigliere, Pasquale Culotta, con grande lucidità scientifica, con grande lungimiranza politica e con la grande pacatezza di chi ha, nella capacità di argomentare, nella consapevolezza e nella “scientia” delle sue affermazioni, la forza per essere convincente, ebbe testualmente a replicare :
…..La libera iniziativa sul centro storico non può favorire la povera gente che vi abita ma favorirebbe iniziative di altro tipo che tralasciamo di definire speculative……Il danno sul centro storico sarebbe irreparabile, questa struttura urbana va difesa e capita……..Sappiamo che il pregio, il valore e l’uso che ne deriva dell’antica Cefalù, non è solamente nella Cattedrale e nelle sue adiacenze architettoniche, ma nella compattezza della struttura urbana, nella unicità del disegno della struttura urbana, nelle vedute interne ed esterne che si colgono camminando ed osservando nel centro storico, nei tetti, nella plasticità e nel colore dei tetti. La disuniforme composizione plastica dei tetti, vista da Santa Lucia, dalla Rocca e da qualunque altro punto di vista esterno dà denominazione e carattere universale a Cefalù……Se parliamo di intervenire per l’igiene allora è chiaro che dobbiamo bloccare qualunque sopraelevazione, la larghezza delle strade, appena 3,4,5 metri non consente maggiori altezze….

Ad un altro autorevole consigliere che ebbe a proporre di far proseguire il lungomare, dalla piazza Colombo che sta di fronte a questa “Caserma Botta” che ci ospita, sino alla piazzetta del molo vecchio,
Pasquale Culotta replicò :
…….. Il lungomare che dovrebbe tagliare i piedi alle case che prospettano a mare, è un esempio di eccesso, di non utilità. Il pedone che dovrebbe camminare sotto questa magnifica cortina cosa accanserebbe ? Quali prestigiose vedute gli apriremmo ? La cortina delle case, per apprezzarne la bellezza compatta e pittorica, va vista da punti di vista abbastanza individuati. Il molo, piazza Cristoforo Colombo sono i punti più vicini che ne consentono il godimento. Andarci sotto non consentirebbe alcuna godibilità delle case, ma solamente del mare. Ma il mare lo vediamo da tantissimi punti………

A quell’altro consigliere comunale che, per non deludere i commercianti del Corso Ruggero, era contrario alla sua pedonalizzazione e proponeva di realizzare un parcheggio pubblico dietro il Palazzo di Città con una piazzetta ad angolo tra la via Vittorio Emanuele e la via XXV Novembre, Pasquale Culotta, dopo aver precisato che :

……da quelle parti (cioè dalle parti che si sarebbero dovute sventrare) abitava un tale Mandralisca…
e che
……per comprare non entriamo con la macchina dentro al negozio…
replicò con il paradosso di un conteggio aritmetico :
…… calcolando in 4.000 le macchine per i residenti e per i forestieri che entrano nel centro storico per affari e per compere…… per reperire i posti macchina dovremmo abbattere tutte le case che vanno dal corso Ruggero alla via Vittorio Emanuele, lasciando le sole facciate con i commercianti sul corso Ruggero…..
Convincere con le argomentazioni e con i paradossi, fu questo il contributo con il quale il giovane consigliere riuscì in quella tutela ed in quella valorizzazione del centro storico di Cefalù cui, dopo, alla fine degli anni settanta. Egli stesso insieme a Bibi Leone, avrebbe dato fondo con la elaborazione di quello che è stato, ed è, uno dei primi e, sino ad oggi tra i più apprezzati piani particolareggiati dei centri storici di tutto il territorio nazionale.

Le pagine di storia di Cefalù che ho riesumato per sottoporle alla Vostra attenzione e che, a metà degli anni sessanta, videro il giovanissimo Pasquale Uomo Politico a Cefalù, sono di quelle che meritano qualche riflessione.
Ed è, proprio, con alcune mie riflessioni su quelle vicende, che mi avvio a chiudere questo mio intervento.

Non oggi, nel 2010, ma già da parecchi lustri, nessuno mai, a Cefalù, avrebbe avuto la “pazzia”, questa sì, di avanzare quelle proposte che, pure, a metà degli anni sessanta, vennero avanzate. In nessuna sede. Né in quella per eccellenza del dibattito politico, né in altre.
Già da parecchi lustri, alla costruzione di due o tre alberghi multipiano sulla Rocca di Cefalù, con un casinò e con qualche teatro e, perché no, con piscine e discenderie a mare,
alla sopraelevazione con uno o due piani delle case del centro storico, alla realizzazione di una “piazza” con parcheggi a raso dietro il municipio, al prolungamento del lungomare sino a piazza Marina lungo quella cortina di case che ha veicolato Cefalù nel mondo intero, che è stata immortalata da Tornatore nelle più suggestive sequenze de “Nuovo Cinema Paradiso”nessuno ha, mai più, pensato.
Per fortuna. Sarebbe stato, infatti, come se mezzo secolo di cultura della tutela e della salvaguardia dell’ ambiente e dei centri storici fossero passati invano.

Però, solo a pensare che quelle proposte di cui Vi ho detto furono avanzate, nella assise pubblica del Consiglio Comunale, in sede di dibattito sul Piano Regolatore Generale, da parte di autorevoli esponenti della politica del tempo, anzi da parte dei capigruppo dei partiti di quella maggioranza che aveva espresso il sindaco e la giunta della prima amministrazione di centro sinistra della storia di Cefalù, non possiamo non ritenere che la Rocca ed il centro storico di Cefalù abbiano corso rischi veramente grandi.
Alla lumaca con le antenne nelle torri della Cattedrale, sarebbe potuto accadere tanto di più e tanto di peggio di quanto, di fatto, è poi accaduto.
Perciò, oggi nel 2010, non possiamo non compiacerci dicendo : “meno male che Pasquale c’era”. Meno male che Pasquale c’era e che sia riuscito a sventare quegli autentici attentati al centro storico di Cefalù e alla Rocca, oggi Sito di Interesse Comunitario che tutti auspichiamo diventi sito del patrimonio dell’Unesco.

Meno male che Pasquale c’era e che sia riuscito a disinnescare quelle che altrimenti non possono essere definite se non autentiche mine.
Pasquale in quegli anni cruciali della storia di Cefalù c’è stato ed ha lasciato il segno !
Come nessun altro Uomo Politico ha lasciato !
Sarebbe bastato solo quel segno che Pasquale ha lasciato da Uomo Politico e nessuno di quegli innumerevoli altri che Pasquale ha lasciato, da Uomo di Architettura e da Uomo di Scienza, null’altro di quanto Pasquale ha fatto per Cefalù, dentro e fuori le mura, null’altro di quanto Pasquale ha rappresentato per Cefalù, dentro e fuori le mura, da Uomo di Architettura e da Uomo di Scienza, per far sì che, in questi primi quattro anni dalla Sua scomparsa, la Città si fosse ricordata di Lui. Avesse reso onore alla Sua memoria.
Sarebbe bastato solo quel segno che Pasquale, giovanissimo Uomo Politico, ha lasciato
in quel momento cruciale della storia di Cefalù, per far sì che le istituzioni della Città avessero, magari e soltanto, presenziato ufficialmente a quegli incontri “ ricordando Pasquale Culotta ” che l’Università di Palermo, il Rotary Club, l’Archeo Club, Marcello Panzarella, Caterina Di Francesca e Flora Rizzo, hanno organizzato, nella ricorrenza dei precedenti anniversari e di questo che stiamo celebrando oggi.

Ed, invece e purtroppo, in questi primi quattro anni Cefalù, la Sua Cefalù, nulla ha riservato a Pasquale. In questi primi quattro anni, da parte delle istituzioni, nei confronti di Pasquale, soltanto, insensibilità. Neanche il concorso, la partecipazione e la presenza ufficiale
alle giornate in Suo ricordo.

Sino ad oggi, Cefalù non ha avuto “memoriam rerum veterum”. Sino ad oggi, Cefalù, per continuare a dirla con Cicerone, non ha minimamente pensato a “contexere suam cum superiorum aetate”.
A dolersene non sarà certamente Pasquale e, neanche, Cicerone. A dolercene siamo noi che,
continuiamo ad amare Cefalù, malgrado le istituzioni e malgrado tutto.
Come Pasquale l’ha amata. Malgrado le istituzioni e malgrado tutto.

Saro Di Paola, 5 novembre 2010