Disegno e lavori donneschi: “L’Idea Cristiana” e la moda femminile

Ritratto di Rosalba Gallà

13 Agosto 2013, 16:53 - Rosalba Gallà   [suoi interventi e commenti]

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DISEGNO E LAVORI DONNESCHI: “L’IDEA CRISTIANA” E LA MODA FEMMINILE
di Rosalba Gallà


Mentre nella R. Scuola Professionale “Regina Margherita” il Corso femminile si andava consolidando, con una pianta organica ben definita e programmi che venivano adeguati alla cultura dei tempi, veniva stampato a Cefalù, a partire dal 1920,  un quindicinale, “L’Idea”, che a partire dal 1926 divenne “L’Idea Cristiana”, espressione, da quel momento in poi, della cultura clerico-fascista. La sede della Direzione si trovava in Piazza Duomo, al numero 6, mentre l’ufficio dell’Amministrazione si trovava in Via Corte, 38. La lettura di questo periodico locale, che alla cronaca cittadina preferiva spesso l’informazione a livello  nazionale, risulta particolarmente interessante perché permette di comprendere quale fosse in quegli anni il ruolo attribuito alla donna e quali fossero le opinioni relativamente ad un aspetto particolare, tradizionalmente considerato tipico del mondo femminile: la moda. Ciò risulta, in questo contesto, di particolare rilievo, visto che le fanciulle cefaludesi che frequentavano la R. Scuola Professionale si esercitavano nei lavori donneschi, che altro non erano che attività di laboratorio legate alla lavorazione dei filati e dei tessuti, con all’interno un percorso che porterà, in particolare negli anni Quaranta,  al taglio e cucito e poi alla sezione abbigliamento.
Le annate del 1927-1929 de ”L’idea Cristiana” risultano illuminanti, per una serie di articoli sui temi della moda, accompagnati da precise valutazioni morali.
Nel numero del 17 luglio 1927, è dedicato ampio spazio a “un richiamo alle coscienze femminili per la battaglia contro l’indecenza della moda” e in un articolo si dà ampia spiegazione del “significato della campagna contro la moda”:

La crociata che si inizia parte da questo concetto fondamentale: la donna secondo il pensiero cristiano non è un oggetto posto in vendita che deve attirare gli avventori facendo mostra di sé, né molto meno un semplice strumento di piacere. La donna è la compagna dell’uomo, è colei cioè che con la gentilezza del suo animo, con la squisitezza dei suoi sentimenti deve addolcire le asprezze inevitabili della vita dell’uomo.
Ora tutto questo delicato lavoro psicologico deve compiersi dalla donna in una forma tutta spirituale basata sul concetto cristiano dell’amore. Ma poiché l’uomo non è soltanto spirito intellettivo, ma anche elemento sensitivo, è necessario che la donna anche dal lato corporeo presenti quelle attrattive estetiche che Iddio volle darle creandola a completamento dell’uomo. Questo concetto fondamentale dell’influsso della donna deve trovare il suo corrispettivo nella foggia del vestire e nell’abbigliamento muliebre. Bisogna evitare nella moda tutto ciò che è procace e inverecondo, ma non per questo bisogna rinunziare a quell’arte del vestire che è finezza di sentimento estetico e che è ammirazione di bellezza pura. Noi abbiamo la tradizione secolare di un’arte squisitamente italiana e non abbiamo bisogno di attendere dall’estero certi gusti depravati nello spirito e che sono negazione di ogni senso estetico.

Viene poi riportato un intervento di Colomba Rattazzi, Direttrice didattica, a cui viene dato il titolo “Certe mamme…”:

Se fosse uno spettacolo che tutti non possono controllare riuscirebbe inconcepibile il modo con cui tante mamme vestono le loro figlie, esponendole agli sguardi inverecondi del primo individuo che passa per la strada. Ho detto, ‘vestono’ ma sarebbe stato più opportuno dire ‘svestono’.
Per certe bambine la gonnellina termina dove dovrebbe cominciare e la nudità non è coperta nemmeno dalla biancheria, che è ridotta ai minimi termini.
Ma se la bambina è florida e la moda vuole così, molte mamme non ragionano più, smarriscono ogni senso del loro dovere.

In questo contesto, quanta solidarietà nei confronti dei poveri uomini!

[…] Così è oggi per la donna: vuol farsi notare per forza, la modestia, la virtù, la destrezza nei lavori donneschi, l’abilità nel governare la casa, oggi sembrano motivi troppo insufficienti a far colpo sugli ambiti ammiratori; e allora si ricorre allo sconcio della moda, sia pure invereconda e brutta, sia pure irragionevole e degradante. […] Ma non c’è anche il babbo in casa? Sì, il babbo c’è: regna ma non governa; degno che qualche volta quello stesso nome gli s’appiccichi nel pretto significato dialettale.
Egli vede le figlie vestite (o svestite) a quel modo, deve anzi condurle lui fuori qualche volta a feste, a musica, a cinema.
C’è quando la sua fibra sana di cristiano all’antica si ribella e protesta. Ahimè! È un disastro: gli vanno tutte contro, moglie e figlie. Ormai è finita la moda delle code e dei falpalà: i vecchi non ne capiscono niente; ormai la spesa è fatta (spesso s’ha ancora da pagare!), e poi tutti vanno così; non bisogna farsi troppo diverso dagli altri ecc.
Il poverino è costretto a battere la ritirata e a subire il dolce giogo delle sue eleganti tiranne! O se vuole ribellarsi, il suo piccolo regno gli si ribella lui invece e proclama la repubblica, se non addirittura la rivoluzione. Me la saluti lei la tranquillità e la pace domestica!

       

L'Idea Cristiana – Anno XVIII – N. 13.14 – 17 Luglio 1927 – Pag. 3 e 4
- dall'emeroteca della Fondazione Culturale Mandralisca -

(cliccare sulle pagine del giornale per ingrandirle)

Anche i medici intervenivano nel dibattito relativo alla moda. Il numero del 6 novembre 1927 riporta il contenuto di una lettera di un medico al British Medical Journal in cui veniva affermato che “la moda dei capelli corti avrà, come risultato, una razza di donne con tanto di barba e di baffi”. Questa affermazione nasceva da ‘scientifiche’ osservazioni per cui “in alcuni villaggi di Giava e di Borneo gli uomini che per tradizione portano i capelli lunghi non hanno né barba né baffi. In altri villaggi i guerrieri che hanno la testa rasata hanno superbe barbe e baffi”.
La deduzione è immediata e più convincente di un sillogismo aristotelico!

Ed ecco alcune “riflessioni medico-sociali” del Prof. D. Giuseppe Giglio presenti nel numero del 25 dicembre 1927, dopo un congresso di economia domestica:

[…] abbiamo fatta opera utile, purché la donna abbandoni la falsa concezione della vita post-guerra.
Bisogna che essa da buona massaia pensi a soddisfare queste particolari esigenze del vivere civile: nutrimento sano per sé ed i suoi, igiene, metodo e nutrizione speciale per i bambini, decoro, pulizia, ordine nella casa.
Bando alla superficialità, alla follia spendereccia, a tutto quello, che è deleteria soprastruttura di guerra, che ha allontanato la donna dalla casa, la madre dai figli, la moglie dal marito.
Noi medici, se non concediamo il lavoro associato nei magazzini, nelle fabbriche, ecc.; permettiamo il lavoro, a domicilio, di sartoria, di donna di modisteria, di maglieria, di sartoria da uomo, di berretti, cravatte, paglie e simili. Possiamo così tutti convenire in un accordo scientifico pratico, e dopo questo accordo, la donna potrà pubblicamente parlarci, nei congressi, dell’Economia domestica e del modo come essa l’intende. Non dimentichi però che la Società vuole a preferenza dalla donna i suoi sentimenti delicati, il suo onore, il suo cuore, la sua mente.
Noi non pensiamo affatto a limitazione nel campo degli studi, ci piace invece vederla emergere nelle lettere, nelle arti belle, nelle scienze, nella Carità, nelle opere di beneficienza, in quella cultura generale, che le darà la plasticità necessaria ad intendere meglio gli obblighi di moglie, di madre, di educatrice.
[…]
Ben fatto quest’altro atto fascista, di spingere la donna a discutere pubblicamente gl’interessi suoi personali e della famiglia.
Sempre avanti così.

Nel numero del 5 febbraio 1928 viene riportato il giudizio di un Porporato che parla alle donne cattoliche:

Noi non possiamo imporre abito agli altri a noi estranei e da noi indipendenti, però non è forse lecito e doveroso con il nostro riserbo e con il nostro contegno dimostrare la nostra disapprovazione?
Vi si distende una mano magari inguantata (contraddizioni dell’iniquità) che però scende da un braccio nudo? Non stringetela e vedrete quella mano ritrarsi tremante ed avvilita. Avete bisogno di un ristoro ed un caffè vi invita? Entrate pure ma il posto vostro sia il più lontano da quello ove siedono persone invereconde. Dovete fare acquisti per la casa? Fate pure ma declinate le botteghe ove al banco prima delle stoffe od altro è esposto ciò che dovrebbe essere velato e segreto. Per via se incontrate certe sciagurate che proprio con l’andare cercano di attirarsi gli occhi e gli sguardi altrui, voi guardate dall’altra parte e lasciate che a quelle guardino persone simili e degne di loro.

Nel numero del 26 maggio 1929, viene riportato l’invito del Vescovo di Udine “contro la moda scandalosa” ed un’esortazione agli uomini perché facciano la loro parte:

Ma se nella campagna per la decenza nel vestire la donna ha la parte precipua, non possono, né debbono ad essa mantenersi estranei gli uomini, i quali anzi sono in grado di esplicare una azione molto efficace. Porterebbero forse certi abiti sconvenienti le figliuole, se i loro babbi ne facessero loro rigoroso divieto e loro interdicessero l’uscita di casa se non in abito decoroso? E non sono forse talvolta i mariti troppo ligi ai capricci muliebri e non legittimano essi col loro consenso certi abbigliamenti?

Sono soltanto alcuni esempi di quello che era il tenore dei discorsi sulla moda femminile e non è privo di importanza il fatto che il quindicinale cefaludese ritornasse così spesso su questi temi.
Questi articoli, probabilmente, venivano letti anche dalle giovani ragazze del Corso femminile della R. Scuola Professionale di Cefalù.

Ringrazio, ancora una volta, mio nipote Gianfranco D’Anna per la disponibilità e per il lavoro di pubblicazione in rete.

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