Un safari a Cefalù

Ritratto di Angelo Sciortino

25 Luglio 2012, 12:47 - Angelo Sciortino   [suoi interventi e commenti]

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Quattro giovani norvegesi decisero, durante una delle loro passeggiate fra i fiordi e i boschi del loro Paese, di visitare l'Africa, per partecipare a un safari. Non per cacciare animali, ma per conoscere fisicamente tutti gli animali, che popolano la giungla.

Con grande disappunto appresero, presso l'agenzia di viaggi alla quale si erano rivolti, che tutti i voli e tutti i safari erano stati soppressi a causa dell'instabilità politica di tutti i Paesi africani. La speranza di un viaggio fuori dell'ordinario sembrava essere sul punto di sfumare, quando l'impiegato dell'agenzia propose una soluzione: una diversa destinazione, che offriva attrazioni uguali, se non superiori, a quelle che avrebbe offerto la selvaggia Africa.

“Quale?” chiesero quasi in coro i quattro amici.

“La Sicilia! In particolare un paesino di antichissimo retaggio: Cefalù.” rispose l'impiegato.

Fu così che i quattro amici si ritrovarono all'aeroporto di Palermo, dove furono prelevati da un taxi mandato appositamente per loro dall'albergatore, presso il quale avevano prenotato le camere, seguendo per la loro scelta il nome, che da solo faceva ben sperare: Alberi del Paradiso.

E le speranze non andarono deluse. Quando giunsero, erano già le otto di sera. Furono ricevuti dal titolare, che aveva il nome intonato con quello dell'albergo: Angelo. E come un vero angelo egli apparve ai quattro amici, che non capivano s'erano più stanchi o più affamati. Decise per loro Angelo, consigliando una doccia e poi la cena. Così fecero e al mattino si risvegliarono pronti ad affrontare qualunque fatica.

Fatta colazione, preferirono raggiungere la giungla a piedi. Il verde ordinato e lucente, che circondava l'albergo, lasciava presagire una bella passeggiata. Ma qui cominciarono a raccogliere le prime delusioni. Di verde e di alberi quasi non ce n'erano e i sentieri non erano in terra battuta, ma coperti di uno strano asfalto liso e bucherellato come un colapasta. Accanto a questi strani sentieri, costruzioni più simili a oltraggi estetici, fra i quali ne spiccava uno ancora in costruzione, che voleva somigliare a una chiesa, ma che ai quattro amici apparve come la trasposizione edile di uno scarabocchio di bambino.

Continuarono seguendo le indicazioni ricevute e, dopo aver superato un sottopasso maleodorante e sporco, si ritrovarono all'inizio del sentiero principale della giungla. Tre possenti ficus ospitavano sotto la loro ombra alcuni uomini, che forse, pensarono i quattro amici, stavano riposandosi dopo il safari. Un safari che sarebbe stato interessantissimo, perché avrebbe loro permesso di conoscere animali, che forse non erano noti anche ai più esperti zoologi. Almeno così ricavavano da quel poco che già vedevano.

Strani animali, simili ai mitici centauri, passavano emettendo voci stridule e insopportabili, che non erano barriti o ruggiti o miagolii. Sembravano, piuttosto, il rantolo stridente e struggente emesso talvolta dagli asini in calore. I quattro amici, però, non potevano fare questo paragone, perché non avevano mai visto un asino né ascoltato il suo raglio. Capirono, però, che si trattava di una specie protetta, visto che uomini in divisa da guardaboschi e armati indicavano loro di dirigersi verso sentieri laterali.

I quattro seguirono quindi il sentiero principale, mischiandosi alla scia di altri numerosi amanti di quel safari. Di tanto in tanto passava qualcuno di quegli strani e striduli animali, che poi si dirigeva verso le vie laterali, forse per raggiungere la propria tana. Qualcuno dimostrava di aver fretta e correva come una pantera, qualcun altro s'impennava come un cavallo selvaggio e tutti ragliavano. Ma che animali erano? Lo chiesero a un guardaboschi fermo in una radura sovrastata da una chiesa: “Sono residenti” rispose il guardaboschi. Che strano nome per una specie animale, pensarono i norvegesi.

Comunque, il resto del safari fu così spiacevole, che i quattro giovani decisero di ripartire la sera stessa, specialmente dopo che videro le numerose palafitte costruite sul pendio di un monte vicino, per dare rifugio notturno agli uomini. No, torniamo alla nostra Norvegia, almeno lì non abbiamo ceduto i nostri diritti, per garantire specie protette, che sono nemiche dell'uomo e di se stesse.

A nulla servì il tentativo di Angelo di dissuaderli: la sera stessa, alle sette, salirono sul taxi e si diressero all'aeroporto, per imbarcarsi verso la civile Norvegia, che sarà un Paese con poco sole, ma almeno è rispettoso del silenzio e della libertà altrui.

 

 

 

Commenti

Si caro angelo hai ragione siamo animali protetti e per giunta nemmeno preistorici una razza atipica che sicuramente non saremo mai capaci di nulla!!!!!!